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“Un’agenda economica per il nuovo Pd”, di Boeri Tito

Il ministro dell’Economia prende tempo sostenendo che non sa cosa può fare, che attende il gettito dello scudo per decidere. La verità è che non sa cosa deve fare, non ha un progetto. Più che i soldi gli mancano le idee. Si limita a reagire alle richieste degli altri che, ovviamente, diventano sempre più pressanti. Per questo è oggi essenziale che ci sia un’opposizione in grado di imporre la propria agenda. Nel vuoto di idee, imporre un’agenda al governo è una missione tutt’altro che impossibile. Lo dimostrano i primissimi passi di Dario Franceschini, quando il neosegretario aveva posto al centro del confronto politico una riforma, quella degli ammortizzatori sociali.
Sarà un partito mai nato, ma sicuramente il Pd è un progetto che sta a cuore a molti italiani: lo dimostrano i 3.067.821 cittadini che sono andati a votare il 25 ottobre. Bersani ha vinto in 20 regioni su 20. E’ un risultato non da poco in tempi in cui si levano forti i venti di secessione e i partiti tendono a diventare fragili coordinamenti di partiti locali (chi seguirà l’esempio del Pdl Sicilia?). Bene che il neo-segretario valorizzi questi punti di forza, rassicurando il popolo delle primarie sulla sua intenzione di non tornare indietro, di accettare il principio secondo cui le principali cariche di un partito che ha un’identità nazionale debbano essere messe al vaglio di un elettorato che rappresenta questa identità molto meglio degli iscritti. Basti pensare che gli iscritti al Pd della Campania sono più di quelli di Lombardia, Piemonte e Veneto messi in insieme. Non sarebbe una dichiarazione di rito. Prima del voto Bersani aveva chiesto al popolo delle primarie di limitarsi a confermare il voto degli iscritti, per non creare fratture . Come se gli iscritti non potessero compiere errori nel selezionare i leader!
La prima settimana del neosegretario se ne è andata con incontri coi partiti di opposizione. Anche l’agenda della seconda e della terza settimana contemplano molti incontri al vertice, fra cui uno, attesissimo, con Casini. Si parlerà di alleanze, battono le agenzie. Non credevamo che fossero questi i problemi della gente. E speriamo che non sia la composizione dei gruppi parlamentari dopo le ultime dipartite, la presidenza del Copasir dopo l’abbandono di Rutelli,il lavoro di cui si intende occupare prioritariamente il neo-segretario.
Bersani è noto perle sue lenzuolate. Bene che questa volta sia più parco. Tre, quattro, cinque, al massimo idee forti, chiare, da lanciare e da ripetere fino alla nausea. Ha ragione a porre al centro di tutto il lavoro perché è li che si investe nella maggiore risorsa del nostro paese, il capitale umano. Ma cosa vuole fare in concreto per facilitare la transizione della nostra struttura produttiva verso i suoi nuovi vantaggi comparati, per proteggere chi perde il lavoro e al contempo accelerare la ristrutturazione dell’industria italiana, per contrastare il precariato facendo sì che si investa di più nella formazione di chi entra oggi nel mercato del lavoro, per spingere verso il nostro paese immigrazione maggiormente qualificata? Bene che prenda posizione, che dica la sua sulle tante proposte da tempo in discussione: il contratto unico a tutele progressive, la riforma degli ammortizzatori sociali, il sistema a punti per l’immigrazione, il visto per gli studenti stranieri. Bene che dica se intende migliorare e al tempo stesso accelerare l’attuazione della riforma-rinvio dell’università del ministro Gelmini.
E’ un compito molto difficile fare l’opposizione a un governo populista. Ad essere realistici, responsabili, si rischia di essere scavalcati dalla demagogia. Ne sa qualcosa l’ala sinistra della Cgil superata da Tremonti nel suo inno al posto fisso. Bersani ha detto che il suo Pd si occuperà «dei problemi della gente». Che «occupazione e lavoro» saranno «al centro delle priorità». Bene. Abbiamo vissuto sin qui la crisi con un governo che ha scelto di non scegliere e che ora, pressato dalle parti sociali più che dall’opposizione, dimostra ancor più di non avere alcun disegno di politica economica.
Ci sono, comunque, alcuni principi cardine che possono essere affermati anche stando all’opposizione, che fanno bene al Paese e non riducono i consensi. Primo, proprio perché il nostro paese ha bisogno di migliorare il modo con cui utilizza il proprio capitale umano, vanno evitati in tutti i modi i provvedimenti settoriali e selettivi, che avvantaggiano alcune imprese di fatto a svantaggio delle altre. Bene opporsi, dunque, agli incentivi solo per l’auto o agli sgravi solo per le piccole imprese. Ci vogliono misure orizzontali, regole uguali per tutti. Il secondo principio è che i veri tagli alle tasse si fanno con tagli altrettanto veri alle spese. Chi li propone, dunque, ha il dovere di indicare dove troverà le risorse per finanziarli. Tenendo conto che circa due terzi della spesa pubblica in Italia è concentrata in tre voci: autonomie locali, interessi sul debito pubblico, su cui il Governo ha pochissima voce in capitolo, e previdenza. Non è credibile un impeto a tagliare le tasse da parte di chi non ha intenzione né di intervenire sulla previdenza né di sanzionare le amministrazioni inefficienti, e che ha regalato 4 miliardi alla Regione Sicilia dopo che questa aveva aperto una voragine nei conti della sanità. Non lo è nemmeno da parte di chi non prende le distanze da Bassolino, per molti anni Governatore di un’altra Regione gestita malissimo. Bersani ha un’occasione per distanziarsi da queste pratiche: denunci pubblicamente il fatto che il recente accordo fra Stato e Regioni permette che siano gli stessi Governatori responsabili del dissesto a commissariare le Regioni coi conti in rosso! E’ un paradosso che significa rinunciare a sanzionare nell’unico modo possibile, politicamente, le amministrazioni inefficienti. Terzo principio, ci sono tante riforme fondamentali per il Paese che possono essere fatte senza aumentare le spese o tagliare le tasse. Anche solo riordinando il gettito tributario, abbassando le tasse sul lavoro e aumentando quelle sulle attività mobiliari e immobiliari, si può migliorare l’utilizzo del nostro capitale umano.

La Repubblica, 5 novembre 2009