partito democratico

Presidenza Pd, Bersani insiste su Bindi «Non ci sono incompatibilità», di Maria Zegarelli e Andrea Carugati

«Non esiste incompatibilità. All’Assemblea nazionale sarà uno il nome che verrà proposto per la presidenza del partito». E quel nome è Rosy Bindi, ribadiscono al Nazareno per mettere fine all’ennesima polemica di giornata nel partito. Il segretario Pierluigi Bersani anche ieri ha sentito al telefono la vicepresidente della Camera e le ha ribadito che sull’incariconon ha cambiato idea. Così come Bindi ha ribadito che per quanto la riguarda non ha nessuna intenzione di dimettersi dal ruolo istituzionale che attualmente ricopre. «Per quanto mi riguarda si prendano pure la presidenza del partito, se è questo che vogliono, ma non usino l’argomento dell’incompatibilità perché non esiste, nel codice etico si parla di cariche monocratiche di governo», ha spiegato a margine di un incontro nella sede della stampa estera su «Le donne italiane: rompere il silenzio». Ecco, lei è una che zitta non riesce a starci, così i sassolini dalle scarpe se li toglie subito. «Vorrei ricordare che ci sono precedenti al riguardo: Romano Prodi e Anna Finocchiaro». A difenderla Livia Turco: «Saprà svolgere benissimo il ruolo di garanzia».

IL BILANCIO
Bersani intanto traccia il bilancio di questi primi giorni di guida del partito caratterizzati da incontri istituzionali e politici. La sua sarà, dice, una segreteria che adotterà «un modo di lavorare dialogante e aperto», ci sono i presupposti per avviare «un’azione comune con le altre opposizioni», caratterizzando il «Pd come il perno» di queste forze e rimettendo al centro il tema delle riforme «un po’ trascurato negli ultimi tempi» proprio dal suo partito.Malavora anche alla squadra e al nuovo assetto. Gestione plurale, la linea, perché «non possiamo mica ragionare “abbiamo vinto e ora alla conquista”», ha risposto a chi gli rimproverava un’eccessiva apertura alla minoranza. In questa direzione «inclusiva », anche l’incontro di ieri con Piero Fassino, quello che più lo aveva deluso quando annunciò l’appoggio a Franceschini: l’ex segretario ds sarà confermato responsabile Esteri. Ed è probabile anche che Beppe Fioroni continui ad occuparsi di Scuola e Formazione e Gentiloni di Comunicazione. «Questonon vuole dire annacquare la maggioranza», ha spiegato Bersani, «ma gestire un partito fatto da più anime». E forse è in questa ottica che Rosa Villecco Calipari o Sandro Gozi (mozione Marino) saranno nominati per una delle due vicepresidenze del gruppo alla Camera. Intanto alla Fiera diRomasi lavora per l’assemblea nazionale di domani, dove Bersani terrà il suo primo discorso da leader, prima dell’elezione del presidente, della direzione e del tesoriere. Cambia lo stile rispetto all’era Veltroni- Franceschini: sedie a semicerchio intorno al palco, per dare un’idea «più avvolgente»; torna il dibattito, archiviato dai segretari precedenti. Il discorso del neo-segretario durerà poco meno di un’ora (farà anche le conclusioni), e spazierà su tutti i principali dossier. «Il cuore del discorso sarà la costruzione dell’alternativa, il cesto in cui far cadere la mela…». Si pare con l’Inno di Mameli, il verde sarà il colore dominante, «ma con un pizzico di bianco e di rosso». La musica? Torna la Canzone popolare di Prodi, non si esclude qualche nota di Vasco.
L’Unità 06.11.09

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Nel Pd saremo ingombranti, di Marco Damilano
L’ex ministro, capo dell’ala post-democristiana, assicura che non intende seguire Francesco Rutelli nella nuova impresa centrista e spiega: “Nel Pd di Bersani noi cattolici siamo troppi per essere indipendenti o indifferenti”. Colloquio con Giuseppe Fioroni

“Nel Pd di Bersani noi cattolici siamo troppi per essere indipendenti o indifferenti. Al massimo, saremo ingombranti”, assicura l’ex ministro Giuseppe Fioroni, capo dell’ala post-democristiana che non intende seguire Francesco Rutelli nella nuova impresa centrista fuori dal Partito democratico. Almeno per ora.

Rutelli ha lasciato il Pd denunciando il fallimento del progetto. Se ne andrà anche lei?
“Sono profondamente dispiaciuto dalla scelta di Francesco. È uno dei fondatori e ha creduto nel Pd più di me, all’inizio. Come allora forse ha avuto troppa fretta nel farlo nascere, così oggi è troppo affrettato nel dichiararlo fallito. C’è un fatto politico: nei gazebo hanno votato in tre milioni, nonostante tutte le traversie. Segno che i nostri elettori sanno che il Pd è nato e desiderano cresca bene. Non vogliono un Pd di Veltroni o di Bersani, ma il loro Pd. Un partito che sia uno strumento di partecipazione e non il megafono di un leader”.

Anche lei, però, ha dato segni di insofferenza. Per la segreteria ha appoggiato Dario Franceschini. E ha fatto sapere di non sentirsi a casa in un Pd egemonizzato dagli ex ds…
“La sfida di Bersani è farci sentire tutti a casa. I grandi partiti popolari affrontano un congresso per arricchirsi: nessuno esce dal congresso così come è entrato, nessuno dei militanti, tantomeno può farlo il segretario. Bersani deve ricostruire un comune sentire del partito e apprezzare le differenze come una potenzialità del Pd. Deve organizzare un partito meno elitario e salottiero, meno condizionato dagli editoriali dei giornali e più vicino ai territori. È la carta che abbiamo per non fare la fine dell’Impero romano nell’era della decadenza, che aveva la presunzione di civilizzare il mondo e invece è stato cacciato dai barbari, come sta accadendo per noi in alcune zone conquistate dalla Lega”.
Bersani ha ripetuto che sui temi etici serve una posizione unica del Pd. Lei condivide?
“La libertà di coscienza non può essere la foglia di fico che copre l’anarchia delle scelte. Ma sulla concezione della vita e della morte non decide l’iscrizione a un partito, ma il profondo della propria coscienza. È giusto e indispensabile avere una linea, ma ai singoli va riconosciuta la possibilità di esprimere la loro idea”.

Altro retropensiero sulla segreteria Bersani: farà un partito di sinistra, lascerà all’Udc il compito di rappresentare il centro…
“Diamo tempo a Bersani di costruire il Pd, anche con il nostro contributo. Ma noi non possiamo assolutamente rinunciare a rappresentare i ceti moderati e i cattolici di questo paese. Per governare avremo bisogno dei loro consensi, non può essere un compito affidato a questo o quell’alleato”.

Rutelli dice che voi ex dc siete irrilevanti nel Pd: “indipendenti di centrosinistra”, vi chiama.
“Francesco mi conosce troppo bene, sa che non ho la vocazione a fare la mosca cocchiera. E il congresso dimostra nei fatti il ruolo che rivestiamo nel Pd. Siamo troppi per essere indipendenti o indifferenti. Al massimo, ingombranti”.

Per dimostrarlo lei chiederà un incarico di peso?
“Cosa faremo insieme ce lo dirà Bersani. Ciascuno di noi non ha bisogno di gradi per contribuire alla crescita del Partito democratico, ma di una profonda e vera agibilità politica. E credo sia un’aspirazione legittima”.
L’Espresso 05 novembre 2009

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La sfida politica di Bersani comincia domani. Con tutte le sue insidie, di Stefano Folli

Il vero cammino politico di Pierluigi Bersani comincia adesso. Finora il nuovo segretario del Partito democratico ha provato a riordinare gli equilibri interni, sistemando i muri pericolanti del centrosinistra. Operazione riuscita a metà. Domani, di fronte all’assemblea che ratificherà la sua elezione, dovrà fare molto di più. Dovrà cominciare a parlare di politica e di strategie. Ed essere meno generico di quanto è stato fino a oggi. A Berlusconi che ha buttato sul tavolo, una volta ancora, l’ipotesi di elezione diretta del premier, vale a dire una sostanziale rivoluzione degli assetti istituzionali, Bersani ha opposto che «noi abbiamo altre idee». È bene che precisi quali sono.
Non c’è dubbio che il cosiddetto «populismo» o «leaderismo» berlusconiano non può piacere all’opposizione. Non piace a Bersani come a Casini. In un certo senso incoraggia e rafforza la rete di contatti che il neosegretario tesse con altre forze interessate a capire dove andrà il Pd. A cominciare dai radicali di Pannella ed Emma Bonino, ai quali il laico Bersani ha dedicato particolare attenzione.
Ma dire di «no» a Berlusconi non può bastare. La prima uscita del capo dell’opposizione non può essere all’insegna del puro conservatorismo, secondo il vecchio slogan «la Costituzione non si tocca». Se il premier gioca la carta del plebiscito personale, sia pure solo sul piano retorico, il Pd dovrà opporre la sua visione istituzionale alternativa, ma non immobilista.
Questo vale per la questione dell’elezione diretta, che è insidiosa ma non attuale, e vale a maggior ragione per il tema della riforma della giustizia. Il Pd ha nel suo patrimonio le proposte istituzionali di Luciano Violante, su cui in passato erano state raggiunte alcune intese: è plausibile che Bersani voglia ricominciare di qui. Consapevole, peraltro, che la strategia del presidente del Consiglio è soprattutto elettorale. Più che ad accordi con l’opposizione, a cui non crede, Berlusconi si prepara a prendere la rincorsa per presentarsi davanti agli italiani, nelle regionali di primavera, come l’unico innovatore e riformatore presente sulla scena politica.
Del resto, non ha annunciato pochi giorni fa che «è l’ora dei falchi»? I falchi non cercano accordi. Qualsiasi compromesso con l’opposizione equivarrebbe, nella sua idea, a un appannamento d’immagine. Viceversa, un successo elettorale rimetterebbe al loro posto gli alleati che lo incalzano, da Fini a Bossi, e dai quali una volta di più Berlusconi si sente infastidito e soffocato.
Si capisce perciò che la partita tra governo e opposizione è in questo momento subordinata a quella che si gioca all’interno del centrodestra. Almeno fin quando non sarà chiara la mappa delle candidature, prime fra tutte la Lombardia, il Veneto e il Piemonte. Senza contare che il tema del «salvacondotto giudiziario» per il premier (leggi prescrizioni accelerate) è ancora irrisolto.
Stando così le cose, il quadro è destinato a restare instabile. Il che non è un danno per Bersani. Gli dà il tempo di organizzare una linea. E di cancellare, se ne sarà capace, quell’impressione di grigiore che gli avversari gli hanno subito appiccicato addosso. All’assemblea il neosegretario si presenta dopo l’addio di Francesco Rutelli, cui si è aggiunto ieri quello di Calearo. Un atto di sfiducia verso la capacità del partito di modernizzarsi e di modernizzare l’Italia. E qui è il punto cruciale su cui Bersani deve dare risposte convincenti.
Il Sole 24 Ore 06.11.09