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“Io blogger picchiata dalla polizia di Fidel Castro”, di Rachele Gonnelli

“Sono stata solo venticinque minuti in mano alla polizia politica, ma sono stati venticinque minuti veramente molto intensi, ancora mi fa male tutto: la schiena, il petto, un occhio». Yoani Maria Sanchez, una dei blogger più famosi al mondo, vincitrice di numerosi premi internazionali di prestigio, parla al telefono dalla sua casa nell’Avana Vecchia. Racconta di ciò che gli è successo venerdì scorso come di «un sequestro stile camorra, di quelli che si leggono nel libro di Roberto Saviano”.

Lei Saviano, un altro assediato, lo avrebbe volentieri incontrato alla Fiera del Libro di Torino di quest’anno dove erano ambedue ospiti d’onore come scrittori. Ma non ha potuto: le autorità di Cuba glielo hanno impedito. Non sta molto simpatica alla nomenklatura cubana. Il suo sito Generazione Y non è di quelli che fanno sconti all’apparato fidelista, alle sue chiusure e ottusità. Parla di giovani come lei – ha 34 anni – che invece di sognare e di scappare in America, cercano una via diversa per il futuro dell’isola. Ecco perchè dà fastidio.

Cosa ti è successo venerdì?
«Ero per strada, stavo andando a una marcia per la non violenza organizzata da alcuni giovani artisti al Vedado, quartiere residenziale dell’Avana. Ero quasi arrivata al luogo del concentramento, la calle 23 del Barrio nuevo, in compagnia di altri due blogger come me, Orlando Luis Pardo e Claudia Cadelo, e di un’altra amica che invece non è una blogger, quando siamo stati fermati da tre sconosciuti a bordo di un’auto nera di fabbricazione cinese».

Erano armati, in divisa?
«No, nessuna uniforme o tesserino, anche la macchina non aveva una targa con la matricola statale. Però non ho alcun dubbio che si trattasse della polizia politica. Ad un certo punto uno di loro ha telefonato col cellulare per chiamare una pattuglia della polizia che tenesse d’occhio le altre due donne mentre loro se la prendevano con me e Orlando. E la pattuglia è arrivata. Nessun altro a Cuba può dare ordini alla polizia».

Ma cosa volevano? Intimidirvi?
«È stato un sequestro in pieno stile camorrista. Non avevano carte, ordini di arresto contro di noi. Neanche sapevano perfettamente cosa fare. Infatti al cellulare chiedevano ad un superiore: “Adesso cosa facciamo? Non vogliono salire in macchina”. Quando qualche passante si è fermato per vedere cosa ci succedeva lo hanno mandato via dicendo “sono controrivoluzionari, non immischiatevi”. Poi ci hanno immobilizzato e infilato dentro.

Dentro l’auto?
«Sì. Mi davano botte sulle parti scoperte, mi insultavano. Sono riuscita a prendere con la bocca una carta che uno di loro teneva in un borsello e mi colpivano per farmela sputare. In un atto disperato ho afferrato uno per i testicoli. Mi ha schiacciato il petto con il ginocchio fino a togliermi il respiro».

È durato molto?
«No solo una ventina di minuti, poco più ma molto intensi. Ho fatto a tempo a pensare: non ne uscirò viva».

Perchè tutto questo?
«Il loro vero obiettivo era impedire che partecipassimo alla manifestazione a calle 23, dove ci aspettavano. Ma questo l’ho ricostruito dopo. Mentre mi hanno brutalmente infilato in macchina insieme a Orlando, mi chiamavano per nome, mi picchiavano e mi insultavano, ero solo terrorizzata. Ad un certo punto mi hanno detto “sei arrivata fin qui e ora non andrai a fare nessun altra pagliacciata” e mi si è gelato il sangue nelle vene. Ho pensato “di qui non esco viva”. Invece dopo un altro po’ di maltrattamenti ci hanno scaricato ad un isolato di distanza da casa mia».

I tuoi amici che ti aspettavano in piazza erano più delusi o più preoccupati?
«Oh, questa è bella. Penso che in piazza fossero preoccupati non vedendoci arrivare. Ma Claudia Cadelo, che è stata rilasciata per prima, è corsa a collegarsi a Internet e ha raccontato cosa era successo. La notizia è arrivata ai dimostranti quando la manifestazione non si era ancora sciolta. Così almeno una parte dell’effetto che volevano provocare non c’è stato».

Ti era mai successo niente di simile prima?
«Di essere picchiata mi era già successo ma non così. L’ultimo episodio di questo genere risale all’agosto del 2008. Ero ad un concerto organizzato per la liberazione di Gorki – rocker cubano molto dissacrante che nelle sue canzoni denuncia il conformismo di massa e la doppia morale imposta dal regime, ndr – e anche allora furono gli uomini della polizia politica, in borghese, a picchiarci. Allora dissero che a picchiarci era stata la gente inferocita contro di noi. La polizia sarebbe intervenuta subito dopo non per sgombrarci dall’angolo della Tribuna anti-imperialista dove ci eravamo piazzati ma per difenderci dal linciaggio. Strano che tutti quelli che ci hanno picchiato sapessero le arti marziali, come pure quei tre che ci hanno intercettato venerdì.

Porti ancora i segni delle percosse?
«Non mi hanno fratturato nessun osso e non ho ferite da cui è uscito del sangue. Ma sono piena di lividi e di dolori alla colonna vertebrale e al petto. Da un occhio non ci vedo tanto bene. Non hanno voluto lasciare segni evidenti sul mio corpo. Sono dei professionisti delle intimidazioni. Come i camorristi, no?».
L’Unità 08.11.09