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“Temporanei e badanti dignità al lavoro”, di Luisa Grion

I contributi consentono all´Inps di coprire maternità e pensioni. E di normalizzare un´attività destinata a crescere ancora. Si aspettavano 600mila domande, ne sono arrivate la metà. Si fatica a capire che rispettare le regole significa anche rispettare le persone. Una famiglia italiana su dieci ammette che non potrebbe farne a meno, eppure badanti e colf sono e restano un pianeta sommerso: una su quattro delle collaboratrici presenti sul territorio nazionale risulterebbe priva di documento di soggiorno; fra le straniere – che sono la netta maggioranza – una su due lavorerebbe del tutto o parzialmente in nero. Mettendo insieme i dati resi disponibili dalle più recenti indagini sulle collaboratrici familiari – professioniste senza le quali, in buona parte della case italiane, non si sopravviverebbe – il quadro dipinto da Istat e Acli resta sconfortante.
A poco sono valse le campagne di emersione contributiva portate avanti negli anni scorsi dall´Inps. Sotto tono è stato anche il risultato della maxisanatoria appena conclusa (fine settembre): l´eccezione “strappata” alla legge che punisce la clandestinità con l´espulsione della persona non regolarizzata non ha dato gli effetti sperati. Governo, sindacati, parrocchie – stimando la presenza di un milione circa di colf e badanti straniere non ufficializzate – si aspettavano almeno 600-700mila domande. In realtà ne sono arrivate solo 300mila.
Molti datori di lavoro hanno preferito rimanere nel sommerso: un po´ per convenienza, un po´ per la rigidità dei requisiti richiesti. Al di là della tipologia e dei tempi del lavoro fino ad allora effettuato (erano richieste almeno 20 ore di contratto settimanali, un alloggio decente, un inizio rapporto non successivo al 30 marzo 2009) la famiglia che voleva far emergere il suo rapporto di lavoro con la colf o la badante doveva infatti pagare sull´unghia 500 euro di contributo forfettario e dimostrare (se monoreddito) entrate per almeno 20mila euro l´anno. Il che, in un paese ad alta evasione fiscale, non è cosa di poco conto. Per molti, dichiarare quella cifra avrebbe significato fornire allo Stato dati diversi da quelli denunciati nella dichiarazione dei redditi. Così, dicono le stime, almeno mezzo milione di famiglie ha preferito far finta di nulla e rischiare la denuncia.
Per le altre, invece, si è aperto un nuovo mondo, fatto di regole rispettate, di posizioni a norma, ma anche di contributi da pagare. Dopo aver presentato la domanda on line ed essere stato convocato dallo Sportello unico per l´immigrazione per verificare l´esattezza e la verità dei dati trasmessi, dei pagamenti e dei certificati medici, il datore di lavoro è chiamato infatti a versare i contributi per il lavoratore assunto. Per ricordare tale obbligo dal prossimo dicembre in tutte le case dei datori che hanno usufruito della sanatoria arriverà una lettera dell´Inps che inviterà a provvedere – pagando le quote a partire dal primo luglio 2009 – anche in assenza di contratto e indipendentemente dall´accoglimento della domanda. Adempiendo ai contributi prima della sottoscrizione del contratto di soggiorno, si ricorda nel documento indirizzato al datore di lavoro, si eviterà di doverlo poi fare in una unica soluzione a partire sempre dal mese di luglio.
L´importo trimestrale – avvertirà la lettera – sarà calcolato sulla base delle ore di lavoro settimanale e delle retribuzioni minime riferite al livello contrattuale dichiarate nella domanda di emersione. Se i dati non saranno coerenti con quelli effettivi la famiglia potrà avvalersi dei bollettini in bianco allegati (con le istruzioni) alla lettera dell´Inps. I versamenti potranno essere effettuati alla posta, attraverso il circuito della pubblica amministrazione “Reti amiche”, o collegandosi al sito www.inps.it – servizi on line – cittadino – lavoratori domestici.
Perché si devono pagare i contributi? Perché farlo permette all´Inps di coprire la liquidazione delle pensioni, dell´indennità di maternità, degli assegni familiari, dell´indennità di disoccupazione, antitubercolare, cure termali e rendite da infortunio sul lavoro e da malattie professionali. E soprattutto permette di dare dignità al lavoro di colf e badante, professione che – in un paese destinato a un rapido invecchiamento della popolazione e sofferente di un gap sull´occupazione femminile che va recuperato – è destinato a una costante crescita. Già dal 2001 a oggi, secondo il Censis, il numero di colf e badanti è aumentato del 37 per cento. Si occupano di tutto: della pulizia della casa (83 per cento), di pasti (54); degli anziani (50 per cento) o semplicemente del far compagnia a chi non ce l´ha (37 per cento) prestando assistenza sanitaria. In una parola suppliscono a “mancanze” di cura non garantite né dalle famiglie, né dallo Stato. Tanto che – commenta il Censis – «la mancata regolarizzazione di questa professione comporterebbe un aumento di ricoveri degli anziani, con ripercussioni sul servizio sanitario nazionale». Ritenere che tale copertura possa continuare a risultare invisibile è impensabile.
La Repubblica 22.11.09