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“Governo, tutti contro tutti. Il Pd: stanno esplodendo”, di Ninni Andriolo

Un battello alla deriva, si cerca di chiudere una falla e se ne apre un’altra. Il governo naviga a vista, mentre il comandante impegna le sue energie per cavarsi dagli impicci giudiziari che lo investono. Più di un ministro sembra sull’orlo di una crisi di nervi. Altro che “maggioranza solida” e legislatura che non è a rischio. Il Corriere di ieri dava conto dell’attacco all’arma bianca di Renato Brunetta a Giulio Tremonti. “E’ ora di cambiare passo – si sfogava il ministro della Pubblica Amministrazione – Tremonti esercita veti ciechi e conservatori sull’attività di tutti noi: ha praticamente commissariato l’esecutivo”. Che i rapporti tra Brunetta e il super titolare dell’Economia non siano idilliaci lo sanno anche i bambini. Il 13 novembre scorso, durante la seduta del Consiglio, “Giulio” minacciò di prendere a “calci nel sedere” il collega di governo.

SCORTESIE
Ma qui i rapporti personali, come “le scortesie”, c’entrano e non c’entrano, con buona pace di Maurizio Sacconi che cerca di gettare acqua sul fuoco con un eloquente “chi se ne frega delle liti Tremonti-Brunetta”.
Per dirla con Rosi Bindi, in realtà, Berlusconi “non è più in grado di esercitare una premiership”. Altro che “coesione della maggioranza”, commenta Casini. Mentre il Pd Damiano ironizza sulla “maionese impazzita” del centrodestra. Il vero nodo del contendere, in realtà, è la politica economica dell’esecutivo, con il nervosismo dei ministri costretti a tirare la cinghia. “Lui ha fatto benissimo il signor no durante la crisi – spiega Brunetta, parlando di Tremonti – Ora deve fare il signor sviluppo assieme a tutti gli altri”. Il ministro si fa paladino degli umori dei colleghi e fa capire che anche il Cavaliere la pensa come lui. Ma rimane con il cerino in mano a leggere le dichiarazioni pro-Tremonti dei diversi reparti della maggioranza. Il fatto è che prima di spostarsi dall’Arabia in Quatar – dopo un giro di telefonate con Roma e le proteste di Tremonti che tornava a minacciare le dimissioni attraverso Gianni Letta – il premier si metteva in contatto con il super ministro per annunciargli una presa di distanze da Brunetta.
«La linea di politica economica fondata sul criterio della disciplina di bilancio e seguita dal ministro dell’Economia – spiegava il sottosegretario, Paolo Bonaiuti – è ispirata dal Presidente del Consiglio e seguita dall’intero governo». Poche parole, un’altra toppa, l’ennesimo tentativo di non riaprire la contesa anche con la Lega di Bossi che – ricordiamolo – scese in campo direttamente per difendere Tremonti bersagliato dal fuoco amico Pdl che ne chiedeva la testa. E che annusava, tra l’altro, l’insofferenza del capo del governo nei confronti di “Giulio” poco disposto ad assecondare gli annunci sul taglio delle tasse.
La polvere fu messa sotto il tappeto con un armistizio siglato ad Arcore. Berlusconi cercò di placare i suoi bollori e quelli degli scontenti facendo intendere che aveva commissariato Tremonti e assicurando che il rigore sarebbe stato coniugato con lo sviluppo. Da allora, però, tutto è tornato come prima e il premier, impegnato giorno e notte per disinnescare i processi che lo riguardano, ha lasciato briglia sciolte su tutto ciò che non riguarda
la giustizia. L’attacco di Brunetta a Tremonti, per dirla tutta, appare come un richiamo pressante al premier, prima che al super ministro.
L’appello è alla collegialità sulla «politica economica del governo».
Le dichiarazioni di Brunetta, per il tempismo di un’esplosione che smentisce le rassicurazioni sulla concordia ritrovata nella maggioranza, non sono piaciute per nulla a Berlusconi. Che, sempre ieri, dall’Arabia, ha cercato di disinnescare un’altra mina, smentendo che al ministro Alfano sia stato prospettato il dimissionamento qualora i tempi del «processo breve» si dilatassero. «Una totale e assoluta falsità», spiega Palazzo Chigi. Ma la grana più grossa è l’ira di Tremonti.
E non è un caso se ieri, dopo la solidarietà del premier, il ministro del Tesoro ha incassato quelle di La Russa, Bondi, Matteoli, Ronchi, Calderoli e Maroni. Mentre il solito Capezzone, cercando di conciliare il diavolo con l’acqua santa, dopo le proteste di Brunetta lasciato solo a menar fendenti, se l’è cavata con un salomonico riferimento agli italiani che «devono essere grati » sia a Tremonti che a Brunetta.

L’Unità, 23 novembre 2009

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