economia

“Tremonti bond a rischio flop”, di Gianluca Paolucci

Dovevano servire, i Tremonti bond, per dare credito alle piccole e medie imprese e per sostenere i parametri patrimoniali delle banche, messi a dura prova dalla crisi finanziaria. Due modi di guardare lo stesso problema – parametri patrimoniali più solidi significano anche maggiore capacità di dare finanziamenti -: la solidità del sistema del credito. E un dato di fatto: non arrivano, inceppati dalla farraginosa burocrazia italica. Delle quattro banche che ne hanno fatto richiesta – Banco Popolare, Bpm, Mps e Creval, per un totale di 4,05 miliardi – solo due hanno completato l’iter e solo una, il Banco Popolare, li ha incassati. In settembre, Giulio Tremonti dirà che le banche che non vi avrebbero fatto ricorso non facevano l’interesse del Paese. Quelle che lo hanno fatto, aspettano ancora i soldi. «Una volta manca una carta, la volta successiva una firma», si sfoga uno dei banchieri coinvolti. Sembra quasi la solita storia di malaburocrazia, del cattivo rapporto tra imprese e pubblica amministrazione. Ma in questo caso non è l’artigiano che si lamenta con le lentezze degli uffici comunali ma alcune delle principali banche del Paese e di uno strumento che avrebbe dovuto «puntellare» il sistema creditizio ed evitare la catastrofe vista in altri paesi. Le tappe. Il decreto ministeriale sui Tremonti bond, introdotti con il «decreto anticrisi» un anno fa, arriva il 25 febbraio. Il primo a farne richiesta è il Banco Popolare, che lo annuncia il 10 marzo scorso.

Il Banco emetterà 1,45 miliardi di euro di Tremonti bond, che serviranno essenzialmente per poter effettuare l’opa sulla controllata Italease. Il 20 giugno, tre mesi dopo, arriva la firma del protocollo con il ministero. «Incasseremo entro un mese», assicura il numero uno Saviotti. Arriveranno in settembre, ma almeno sono arrivati. Va peggio a Mps e Bpm, che ne hanno richiesti rispettivamente 1,9 miliardi e 500 milioni. Entrambe iniziano a muoversi da marzo. Bpm arriverà alla firma del protocollo il 21 settembre, Mps non c’è ancora arrivata. «Stiamo ultimando il negoziato con il ministero», ha spiegato il direttore generale Antonio Vigni il 13 novembre scorso. Per Bpm, due mesi dopo la firma del protocollo, ancora niente. Fatto sta che alla banca milanese, di certo non ostile al ministro dell’Economia, qualche fastidio l’attesa lo sta creando. La popolare meneghina vorrebbe infatti ritirare dal mercato un bond ibrido venduto agli istituzionali, ma Bankitalia ha detto che deve aspettare l’incasso dei Tremonti bond per mantenere i famosi parametri patrimoniali. Anche per il Credito Valtellinese (200 milioni di euro) i tempi sono ancora lunghi. L’iter è partito alla metà del mese di giugno e ha coinvolto dapprima Bankitalia che, per dare il suo nulla osta, ha impiegato 3 mesi: insieme ai Tremonti bond ha dovuto esaminare anche l’emissione di bond convertibili da parte della banca. Da metà settembre la procedura è al ministero dell’Economia. Al termine della settimana scorsa la commissione bilancio della Camera ha dato parere positivo, arrivato insieme ai bond di Mps.

Anche per Creval, l’iter è giunto alla firma del protocollo soggetto al decreto di finanziamento del presidente del Consiglio. I passaggi da che la pratica giunge al ministero dell’Economia sono 12, si sfoga un secondo banchiere. Il problema dei T-bond – prosegue – è che non c’è visibilità dello stato di avanzamento del processo, che si svolge – tranne in alcune tappe – quasi completamente al buio, senza che la banca abbia un referente unico del procedimento sulla data prevista dell’emissione di questi strumenti, con il relativo pagamento, spiega lo stesso banchiere. A parte gli impegni presi con la firma del protocollo (adottare un codice etico, incrementare nel prossimo triennio i crediti concessi alle Pmi rispetto al biennio 2007-2008, con un aumento del 6 per cento medio annuo per Bpi e del 7 per cento per Bpm, favorire i crediti assistiti dal Fondo centrale di garanzia per le Pmi e a finanziare lo stesso: Bpi con uno stanziamento di 21,75 milioni di euro, Bpm con 7,5 milioni, sospendere le rate dei mutui prima casa per il periodo di un anno nel caso di Bpi, di diciotto mesi in quello di Bpm), resta la scarsa trasparenza anche verso il mercato. «Rimangono sconosciuti – scrivono Andrea Maltoni e Marco Palmieri su Lavoce.info – alcuni dati fondamentali come la scadenza dei prestiti (e) il tasso di interesse adottato fra le soluzioni contenute nel modello di prospetto. Sono tutti elementi che non possono essere taciuti, se non scontando il problema di un’incertezza fra gli investitori che potrebbe finire per ritorcersi contro le banche stesse». Dal ministero fanno sapere che «l’iter è particolarmente complesso». L’attesa comunque non si protrarrà per molto: il termine ultimo è il 31 dicembre ed entro quella data le banche «volenterose» sperano di incassare.

La Stampa, 23 novembre 2009