attualità

“E Berlusconi prepara un’altra mossa: via il concorso esterno in reati di mafia”, di Liana Milella

Sono rimasti impigliati nel processo breve. Già sanno che non gli potrà servire per le future accuse di mafia. Ma ci stanno dentro e ormai devono andare avanti. Sono costretti a dirsi, tra di loro, come hanno fatto ieri sera durante la riunione della consulta del Pdl per la giustizia: “Dobbiamo rassegnarci a vedere questa legge bocciata dalla Consulta”. Amara constatazione che farà andare su tutte le furie il Cavaliere. Ma tant’è. Troppe, e ormai irrimediabili, le contraddizioni. Cercheranno di metterci mano, ma la partita è difficile. Per questo si concentrano su altro, su quella che definiscono “una strategia complessiva” per salvare Berlusconi non solo dai processi di oggi, ma anche da quelli di domani”.

È l’inizio di una battaglia lunga. Che parte con l’immunità parlamentare, che passa attraverso una legge interpretativa per fissare in modo certo le date di un reato e quindi della prescrizione, e finisce con una sortita che per la prima volta, nella sequenza delle 19 leggi ad personam per Berlusconi, previene un’incriminazione e un processo, quello (futuribile) per mafia.

Vogliono mettere mano al reato di concorso esterno in associazione mafiosa. Quello per cui è sotto processo a Palermo Marcello Dell’Utri. Quello che all’inizio fu contestato a Giulio Andreotti. Quello che colpì (ma finì in un’assoluzione) il famoso giudice “ammazza sentenze” Corrado Carnevale. Quello che ha portato alla sbarra tanti politici nelle zone di mafia, camorra, ‘ndrangheta. Un reato che in realtà non esiste, perché nel codice penale non c’è, ma che “vive” per le pronunce convergenti della Cassazione. Quindi un delitto assodato, consolidato, fermo nella storia del diritto.

Ma quel crimine adesso si avvia ad avere una macchia. Potrebbe essere utilizzato dalla procure di Caltanissetta, Palermo e Firenze per indagare il presidente del Consiglio. E questo è davvero troppo. Quindi i consiglieri giuridici del premier si stanno muovendo in anticipo per terremotarlo. Ragionano tra di loro, giusto in queste ore, su dove sia meglio aggredirlo, se incidere sui termini della prescrizione, oppure se “normare” ex novo il delitto, ma con paletti tali da renderne l’applicazione difficilissima.
È l’operazione più a rischio che abbiano mai tentato. Ma è quella che “davvero serve al presidente”, come vanno dicendo tra loro. Che scatenerà un nuovo e duro conflitto con i magistrati. Ma con una possibile imputazione per mafia è una battaglia che vale la pena giocare. Assieme, e stavolta con il pieno appoggio di Fini, i piediellini si stanno per buttare nell’avventura dell’immunità parlamentare, del pieno ritorno all’articolo 68, come lo scrissero nel ’48 i padri costituenti. È di ieri, alla Camera, la nuova proposta dell’ex presidente della Provincia di Roma Silvano Moffa, un altro finiano che entra in scena. Nelle caselli di tutti i deputati ha depositato tre pagine, due di relazione e una di testo, che rimette in pista il vecchio articolo della Carta. A ieri sera aveva già raccolto quasi 150 adesioni tra quelli del suo partito. La proposta numero 2954 ha preso il via. Prima di depositarla Moffa ha chiesto, come rivela lui stesso, “il via libera di Fini”. Che glielo ha dato. Dimostrando un’apertura verso il Cavaliere e le sue difficoltà con la giustizia.

A questo si lavora dietro le quinte. Sulla scena invece resta il processo breve a cui ormai bisogna mettere la pezza giusta, “almeno per fargli passare la firma del capo dello Stato”, come dicevano ieri sera alla consulta pdl. Per questo il Guardasigilli Angelino Alfano continua a svenarsi per negare i dati negativi dell’impatto e ad affermare la razionalità della legge che “è buona anche se serve in due casi a Berlusconi”. I tecnici, ancora stasera e sempre alla consulta, cercheranno di rappezzarla per tagliare via le incostituzionalità più clamorose come l’anomala lista dei reati e la regola sull’entrata in vigore. Più reati inclusi, valida per tutti i processi. Ma l’impatto schizzerà ancora più in alto rispetto ai dati forniti dal Csm e, proprio per questo, Napolitano potrebbe bloccarla.

******

Un progetto irragionevole, di Carlo Federico Grosso

Ieri in materia di giustizia vi è stato ingorgo. Guardasigilli e magistrati hanno continuato a litigare sulle cifre del disastro della giustizia conseguente al «processo breve». Maggioranza e governo, ad onta di ogni critica, hanno iniziato a discutere in Senato il disegno di legge con l’intenzione di approvarlo entro Natale. Il Csm ha convocato, ed ascoltato, i capi dei maggiori uffici giudiziari d’Italia per fare chiarezza sull’impatto delle nuove norme ipotizzate. Ed, in effetti, un po’ di chiarezza è stata fatta, poiché dall’audizione è emerso che una percentuale elevata di processi in corso, con la riforma, sarebbe destinata ad estinguersi. E, fra di essi, molti processi importanti.

Una cosa è, pertanto, certa. Piaccia o non piaccia al ministro Alfano, il nuovo «processo breve» rischierà comunque di determinare uno sconquasso. Per il passato, insieme ai processi di Silvio Berlusconi, come hanno confermato al Csm i dirigenti consultati, rischieranno di essere travolti centinaia di processi in corso.

Per il futuro, non ha comunque senso imporre per legge una uguale durata massima di anni due (o se si vuole tre) per il giudizio di primo grado a tutti i processi, qualunque sia il tipo di reato trattato o la tipologia del procedimento.

Come ben sa chiunque abbia maturato un minimo d’esperienza nelle aule di giustizia, vi sono processi che possono esaurirsi in un battito d’ala, ma vi sono processi che a causa della difficoltà dell’accertamento dei fatti, per il numero dei testimoni che occorre esaminare, a cagione della necessità di esperire perizie tecniche complesse, non hanno tempi definibili a priori, dureranno in ogni caso più a lungo. Imporre una barriera fissa a pena di prescrizione processuale, significa pertanto rischiare di mandare a monte, comunque, anche nel futuro, i processi più importanti e delicati. Significa, per altro verso, trattare in modo uguale situazioni processuali che possono essere fortemente diseguali: il che comporta, sicuramente, violazione del principio costituzionale di ragionevolezza.

In questa prospettiva, qualche anno fa avevo già espresso riserve nei confronti del progetto elaborato, in casa Ds, dai senatori Finocchiaro, Calvi e Fassone, un progetto che, quantomeno, non aveva l’obbiettivo di salvare dai loro processi singole persone. A fortiori ritengo che occorra rifiutare, oggi, l’analogo progetto Pdl Gasparri, Quagliariello, Bricolo, peggiore perché costituisce, altresì, legge palesemente «ad personam». Né ci racconti il Guardasigilli che si tratta di un progetto elaborato pensando alle esigenze dei cittadini ad avere processi penali rapidi e giusti. Ben altri sarebbero, infatti, gli interventi necessari per realizzare l’obbiettivo di una giustizia a misura del cittadino: riorganizzazione degli uffici e dei servizi, potenziamento e redistribuzione delle risorse, modifiche del sistema dei reati e delle pene, interventi su taluni nodi problematici del processo, maggiore impegno coatto di tutti gli addetti ai lavori.

D’altro canto, come è emerso ieri nell’audizione organizzata dal Csm, la prospettiva del «processo breve», e dei suoi effetti «salvifici», potrebbe indurre molti imputati a rinunciare a richieste di patteggiamento, determinando così un ingolfamento ulteriore dei processi, un conseguente allungamento dei tempi complessivi della giustizia penale e pertanto, assurdamente, il moltiplicarsi delle estinzioni.

Al di là della tristezza dei nuovi contenuti legislativi, colpisce, per altro verso, il degrado del dibattito politico del momento. Non si era mai sentito un Guardasigilli che, rivolto ai magistrati, parlasse di un loro «clamoroso abbaglio» sulle cifre e li invitasse a non «giocare con i numeri». Nessun parlamentare si era permesso di affermare, come ha fatto invece l’onorevole Gasparri, che l’Associazione Nazionale Magistrati «spara fesserie». Nessuno aveva osato sostenere, come ha fatto il presidente della commissione Giustizia del Senato Berselli, che ascoltare in commissione il parere di autorevoli costituzionalisti sulla legittimità costituzionale del disegno di legge è una «inutile perdita di tempo» e che i costituzionalisti italiani vanno, comunque, «presi con le molle».

La realtà è che, al di là dell’irragionevolezza di trattare in modo eguale tutti i processi penali a prescindere dalla specifica tipologia dei reati considerati e dalle peculiarità del singolo processo, il disegno di legge sul «processo breve» presenta diversi, evidenti, profili d’illegittimità costituzionale: in primo luogo, il trattamento diseguale dei censurati e degli incensurati e l’esclusione del reato di clandestinità e degli altri reati connessi al testo unico sull’immigrazione. Forse si cercherà, adesso, di porre qualche rimedio al disastro normativo. Ma come ha rilevato la presidente della commissione Giustizia della Camera, Giulia Bongiorno, ora ogni cambiamento rischia l’effetto paradosso: «Più si cerca di rendere il provvedimento conforme alla Costituzione, più si allarga l’impatto (negativo) del ddl sulla collettività».
La Stampa 25.11.09