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“Nei panni degli altri”, di Concita De Gregorio

Ho partecipato a diversi dibattiti, ieri, sul tema della violenza contro le donne. Era la Giornata mondiale: le giornate mondiali si moltiplicano, ce n’è una per ogni emergenza quasi ogni giorno e scolorano un poco. Troppe emergenze nessuna emergenza. Sarebbe molto se servissero almeno a parlare del tema. Non è detto che succeda, al di là dell’enfasi del nome. È la ragione per cui lo faccio qui: perché ci sono emergenze che si possono anche rinviare a domani, questa no. Sabato ci sarà una manifestazione di piazza, anche queste si susseguono. Anche queste sarebbe buona cosa che servissero a farci fare un piccolo passo avanti nell’analisi e nella soluzione delle questioni che si pongono. Non solo slogan, intendo. Abbiamo bisogno, in Italia, di buone leggi che favoriscano una cultura a sostegno delle persone più deboli. La nostra copertina di oggi è dedicata a questo: i più deboli. Non contano, nessuno se ne occupa. Le donne non sono deboli, oggi. Non dovrebbero esserlo più: eppure. La cultura condivisa, il sentire comune negli ultimi vent’anni sul tema dei ruoli e delle funzioni legate al genere ha fatto passi indietro da gigante: le ragazze di vent’anni oggi vivono una condizione non diversa da quella delle nostre nonne con qualche difficoltà in più. Più mercato del corpo, più esibizione, più aggressività verbale e fisica tollerata in pubblico e non è questione di ipocrisia: è che se permetti che la sopraffazione avvenga in pubblico per mano di ‘testimonial’ riconosciuti come autorevoli – nelle istituzioni e in tv – come puoi pretendere che non succeda in cucina. Che le donne si vergognino in larghissima parte di denunciare le violenze di cui sono oggetto – fisiche, prima di tutto, ma poi anche psicologiche, economiche, politiche – è la spia di quel che intendo dire: la vergogna è il sentimento di chi in fondo crede di essere in errore. Che la colpa sia sua. Che se questo succede è perché non ha saputo non farlo accadere o non ha saputo sopportarlo. Dovresti sopportare, figlia mia, dice in un bellissimo film – «Ti do i miei occhi» – la madre alla giovane picchiata. Come se fosse nella natura delle cose. Come se l’errore fosse non essere abbastanza forti da far finta di nulla, dire ho urtato nella mensola sono caduta dalle scale. Manca completamente la censura sociale del comportamento violento. Manca la disapprovazione collettiva del bullismo, del machismo. La censura reciproca: nessuno ferma un ragazzo che dà fastidio a una ragazza per strada perché se lo fa gli altri lo indicano come omosessuale. Mancano padri che non siano fieri delle conquiste seriali dei figli maschi. Mancano madri che sappiano essere meno indulgenti con loro. Mancano leggi che suscitino questi sentimenti, che li ergano a norma. Leggi anche disuguali se disuguali sono le condizioni di partenza. Ci sono paesi in cui un gesto violento se compiuto da un uomo su una donna è punito più severamente: si chiama uguaglianza sostanziale, ripristina la disuguaglianza di partenza. Manca il rispetto che si deve a chi subisce. Manca la capacità di mettersi nei panni dell’altro, dell’altra. Se vince la cultura dei “vincenti” le donne perderanno. Non fanno la guerra, in genere. È una perdita di tempo: hanno altro da fare.
L’unità 26-11-09