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“Crisi, i consumatori: saldi a Natale”, di Laura Matteucci

Tutti a sperare nel regalo di Natale, che però sono in molti a prevedere deludente, ultimo atto di un anno disastroso. Più che un regalo, un miracolo. Confcommercio stima che nel 2009 il calo dei consumi si attesterà intorno al 2%, Confesercenti concorda, le associazioni di consumatori parlano addirittura di un -2,5-3%, che aumenta a -4% per chi è a reddito fisso. In termini assoluti, significa che gli italiani a fine anno avranno speso qualcosa come 25-30 miliardi in meno rispetto al 2008. Un crollo proporzionale alla perdita di potere d’acquisto, che secondo Federconsumatori quest’anno rispetto allo scorso sarà di 980 euro, 3.600 per chi (centinaia di migliaia di persone) ha un cassintegrato o licenziato in casa, spiega il presidente Rosario Trefiletti.

A Natale, le stime convergono, gli italiani spenderanno in regali meno del già magro 2008: in media 174 euro contro 190. Per consolarsi, partiranno, fosse anche solo per due giorni: il turismo terrà, dice Confesercenti, si sposteranno in 16 milioni. Ma questa sarà l’unica nota positiva. Tanto che i consumatori (Trefiletti ha in mente un Natale a meno 35%) insistono: anticipate i saldi proprio al periodo natalizio, stile Usa. Le organizzazioni di categoria respingono la proposta al mittente: «non possiamo, già abbiamo gravi difficoltà», dice il presidente di Confesercenti, Marco Venturi.

E a loro volta chiedono al governo di detassare le tredicesime e tagliare gli sprechi miliardari della spesa pubbica, ovviamente invano. L’immobilismo nella ricerca di soluzioni non può che generare mostri. CIRCOLO VIZIOSO È l’80% degli italiani a dichiarare di spendere meno, rileva l’Osservatorio sui consumi. Oltretutto, quello di quest’anno è un crollo che si assomma al meno 0,9% del 2008, e che la prevista risalita, l’anno prossimo, allo zero virgola qualche decimale non riuscirà a ripianare. Il commercio affonda nella crisi: con meno soldi in tasca si compra meno, la produzione cala, basti pensare alle auto o agli elettrodomestici, e i negozi arrancano quando non chiudono (Confcommercio prevede un saldo negativo delle attività di 20mila unità al 31 dicembre). Il circolo vizioso non è ancora chiuso, c’è l’altro lato della medaglia: nel settore del commercio sono circa 15mila i lavoratori colpiti dalla crisi, di cui 3mila con contratto di solidarietà, più di 2mila in mobilità e 4.500 in cig (il numero di ore concesse nei primi 9 mesi equivale al complessivo dell’ultimo triennio, e registra più 330% sul 2008).

Tutte persone che avranno sempre meno da spendere, e così via. Non bastasse, questi solo i dati dell’emergenza. Cui va aggiunta tutta un’area grigia di imprese, soprattutto nella grande distribuzione (400mila addetti), che sopravvivono cercando in ogni modo di ridurre l’incidenza del costo del lavoro: aumentando l’uso del part-time, che già raggiunge il 70% dei lavoratori, e dei contratti atipici, chiedendo una sempre maggiore flessibilità, facendo saltare gli integrativi, come hanno fatto Pam e Carrefour, quest’ultima obbligata al ripristino almeno fino al 31 dicembre dal Tribunale di Torino cui i sindacati si sono rivolti. Dice Maria Grazia Gabrielli, della segreteria nazionale Filcams-Cgil: «È impensabile che a pagare la crisi siano solo i lavoratori, sempre più vincolati alle esigenze delle imprese. Le condizioni di lavoro peggiorano ovunque: se l’idea è andare al ribasso, significa che quando la crisi sarà finita ripartiremo da posizioni peggiori per tutti».
L’Unità 29.11.09