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“Il mistero delle tasse scomparse”, di Paolo Baroni

Tasse sparite nel nulla, decine di Comuni sull’orlo del crack ed almeno un migliaio di posti di lavoro a rischio. Sembra un giallo, mentre in realtà è una classica storia all’italiana di affari&politica, privatizzazioni e cattiva gestione, amministratori a volte conniventi e amici influenti.

Ufficialmente (sono stime del Tesoro) il «conto», oggi, è di 89 milioni di euro; ma potrebbe salire a 200, qualcuno dice anche 4-500 milioni di euro. A battere cassa sono 135 Comuni, ma anche questa cifra sembra destinata a lievitare perché non passa giorno che un sindaco, dal Piemonte alla Sicilia, non presenti una denuncia contro la società Tributi Italia per il mancato versamento nelle casse comunali di Ici, Tarsu, Tosap e via dicendo. La società parla di «tensioni finanziarie» e scarica la colpa sul taglio dell’Ici sulla prima casa che ha ridotto di 40 milioni di euro i suoi incassi. Dice che sta trattando con le banche un finanziamento da 70 milioni (schierando come advisor un big come Ubaldo Livolsi) e che farà fronte a tutti i suoi impegni. Intanto però fioccano le cause e gli esposti alla Corte Conti non si contano.

La continuità aziendale è a rischio ed i suoi 1200 dipendenti reclamano 4 mesi di stipendi arretrati e scioperano. Tributi Italia nasce nell’86 a Taranto col nome di Publiconsult. Inizialmente si occupa di raccolta della pubblicità poi passa a riscuotere le imposte su insegne e cartelloni stradali. E’ un business che funziona e che la fa crescere in fretta: nel 1994 si trasforma in spa, nel 2004 cambia il nome in «San Giorgio» e si sposta a Chiavari, nel 2008 dopo aver acquisito «Gestor», «Rtl», e «Ipe» diventa «Tributi Italia» e trasloca a Roma, nell’elegante via Veneto.

Arresti e denunce
Il «patron» del gruppo è Giuseppe Saggese, 48 anni figlio di un magistrato in pensione, arrestato una prima volta nel 2001 per corruzione (mazzette ad alcuni consiglieri comunali di Pomezia) e poi ancora nell’aprile 2009 per peculato. Da otto anni è la sorella Patrizia a ricoprire l’incarico di presidente di un gruppo che nel frattempo ha conquistato la leadership nel settore delle esattorie private con 364 milioni di ricavi lordi 2008 (88 netti), 184 agenzie dirette e 14 società partecipate. La prima denuncia contro Tributi Italia risale al 1999: parte da Aprilia dove il Comune vuole veder chiaro nella gestione dell’Aser, una società mista promossa assieme a Pomezia e partecipata dalla Publiconsult. Da allora in poi è stata una vera e propria escalation.

Le procure di Bari, Bologna, Brindisi, Napoli, Saluzzo, Velletri, Latina, Sassari e Siracusa hanno avviato indagini per peculato, sotto le Due torri i magistrati hanno ipotizzato anche reati come falso, frode e truffa aggravata dopo che Gestor-Tributi Italia aveva presentato fidejussioni false. Idem ad Alghero, dove Tributi Italia è presente nella società mista «Secal».

Indagine della Camera
Alle denunce si sono presto affiancate le interrogazioni parlamentari: in Senato e alla Camera, dal Pd ad An ai radicali. Una delle più recenti porta la firma del tarantino Ludovico Vico (Pd) che ha sollevando il caso del Comune di Ferrandina, in credito per 1 milione e 232 mila euro coi Saggese.

La Commissione finanze della Camera ha disposto una serie di audizioni sentendo sindaci, Associazione dei Comuni, concessionari esattoriali e ministero. Ed il rappresentante del Tesoro, cui spetta la vigilanza su queste attività, non ha potuto che ammettere l’evidenza dei fatti. «Scenario inquietante», lo definiscono i deputati della VI Commissione nella risoluzione votata mercoledì scorso con cui si chiede al governo di cancellare Tributi Italia dall’albo del ministero come chiedono da mesi tutte le amministrazioni invischiate in questa vicenda.

La lista dei creditori
I Comuni serviti da Tributi Italia sono 498. Almeno 150 denunciano mancati riversamenti. Molte amministrazioni, a causa degli ammanchi, rischiamo il dissesto finanziario. Altri ancora sono costretti ad indebitarsi per pagare gli stipendi. A vantare crediti sono grandi città come Bari (2,2 milioni), Bergamo (2,2), Bologna (2), Forlì (2) e Cagliari (1,6). Ma sono soprattutto le realtà minori a soffrire: Pomezia è in credito per 21,4 milioni (ma per la Finanza il «buco» sarebbe addirittura di 137), Aprilia per 20 (solo per il 2008), e poi ci sono Augusta (5 milioni), Nettuno (3,2) e Fasano (1,9). Ma la lista dei clienti-creditori è sterminata: va dalla Sicilia al Lazio (15 almeno i comuni inguaiati), dalla Puglia (Foggia, Fasano, Bisceglie) alla Campania, dal Piemonte (Vercelli, Rivalta, Grugliasco, Saluzzo) a Lombardia (Trezzano e Meda), Emilia e Liguria (Spotorno, Noli).

Sono oramai diverse decine i comuni che hanno dato disdetta «causa mancato riversamento dei tributi», ma la società dei Saggese si è sempre rifiutata di riconoscere la risoluzione unilaterale: «di qui – ci spiega Vico – contenziosi enormi, minacce di penali, richieste milionarie di danni. In molti casi è stato segnalato al Tesoro che Tributi Italia ha continuato ad inviare cartelle esattoriali anche dopo essere stata dichiarata decaduta, causando confusione nei cittadini e caos nella gestione dei tributi». Il Comune di Aprilia ha chiesto l’elenco delle cartelle esattoriali inviate, coi nomi dei destinatari e gli importi, sospettando l’emissione di «cartelle pazze» allo scopo di gonfiare i crediti. E’ andata in causa, Tributi Italia ha schierato l’avvocato Niccolò Ghedini, il legale di fiducia di Berlusconi, ed ha vinto ottenendo 15 milioni di risarcimento…per danno di immagine.

La difesa dei Saggese
Tributi Italia dice di poter far fronte alle difficoltà («siamo qui – ripete Patrizia Saggese – non siamo scappati con la cassa»). E a fronte del «buco» di 89 milioni accertato dal Tesoro rivendica 142 milioni di crediti sulle evasioni grazie anche ad aggi pagati a peso d’oro (30%). «Le attività di esattoria devono tornare sotto il controllo dei Comuni – sostiene Vico -. Bisogna cambiare registro: servono nuove regole più severe e soprattutto occorre una legge ad hoc per rimborsare i Comuni danneggiati e metterli in condizione di tornare da subito a disporre delle loro tasse». Altrimenti per molti sarà la bancarotta.

La Stampa, 30 novembre 2009