economia

“La finanziaria nènè: nè rigore, nè sviluppo” , di Tito Boeri

I contenuti della Finanziaria 2010 sono ormai chiari. Non sarà leggera perché prevede una manovra lorda di 8 miliardi. Non sarà di sviluppo perché è priva di idee. Non affronta i problemi strutturali del paese e non sostiene la domanda interna. Né sarà di rigore perché apre nuovi rubinetti di spesa, difficili poi da richiudere e alimentati da entrate una tantum. Non sarà neanche una Finanziaria di equità perché non interviene per ampliare la platea dei beneficiari dei pur modestissimi interventi di contrasto alla povertà. Una proposta per costituire una prima rete.

Ormai sono chiari i contenuti della Finanziaria 2010. Non sarà leggera perché prevede una manovra lorda di 8 miliardi. Non sarà di sviluppo perché è priva di idee. Non affronta i problemi strutturali del paese e non sostiene la domanda interna. Né sarà di rigore perché apre nuovi rubinetti che sarà difficilissimo chiudere, alimentati peraltro da entrate una tantum, che pregiudicano entrate future, come quelle dello scudo fiscale. Ma non sarà nemmeno una Finanziaria di equità perché non interviene per ampliare la platea dei beneficiari dei modestissimi interventi di contrasto alla povertà varati nel mezzo della peggior crisi del Dopoguerra. Insomma sarà una Finanziaria Nené. Ma a differenza del bomber del Cagliari, non ci farà vedere delle reti.

Le cronache politiche narrano di fibrillazioni interne alla maggioranza sulla conduzione della politica economica. Ci sarebbe un partito del rigore cui si contrappone un partito dello sviluppo. La mediazione sarebbe stata trovata nel procedere in due fasi: prima il rigore, poi lo sviluppo. C’è anche chi sostiene, come il ministro Sacconi, che questa è una Finanziaria sociale, di grande equità. Ci accontenteremmo di una Finanziaria che fosse almeno una di queste cose: di rigore o di sviluppo (perché i due termini non sono affatto antitetici) oppure di equità (perché ce n’è tanto bisogno, soprattutto dopo la crisi). Ma non sarà nessuna di queste tre cose, purtroppo.

NÉ RIGORE

Come volevasi dimostrare, la Finanziaria di due articoli ha creato le condizioni per il maxiemendamento cosmico. Sono oltre 2.400 gli emendamenti presentati alla Finanziaria e al Bilancio, molti dei quali provenienti dalle fila della maggioranza. Spaziano su tutto lo spendibile umano. C’era da aspettarselo: quando manca un progetto, una definizione di priorità, ognuno si sente legittimato a chiedere qualcosa per il gruppo che rappresenta, anche quando si è nel mezzo di una grande crisi e non c’è trippa per gatti.
Dalla “manovra ultralight” siamo così passati a una manovra da 8 miliardi (lordi perché il saldo netto sarà zero). Ci saranno tanti piccoli interventi per accontentare un po’ tutti. Si apriranno così tanti nuovi rubinetti che sarà poi difficile chiudere. A questi vanno aggiunte le risorse per il contratto del pubblico impiego, non contemplate dalla manovra, ma che finirà per pesare sui conti pubblici nel 2010. Né ci sono le risorse per rifinanziare la cassa integrazione in deroga che rischia di replicare gli sprechi della nostra rete idrica: dato che non costa nulla alle imprese, queste potrebbero continuare ad attingere copiosamente allo strumento anche quando la crisi dovesse rientrare.
Per finanziare questi interventi si utilizzeranno per lo più le entrate una tantum (a scapito di entrate future) dello scudo fiscale, più alcune poste incerte, come le risorse recuperate con controlli sulle pensioni di invalidità e i soliti tagli alle spese delle amministrazioni locali, non si sa come imposti e attuati. Si tratta dunque di una Finanziaria con coperture incerte e per lo più una tantum, a fronte di spese tutt’altro che transitorie.
Difficile peraltro parlare di rigore anche nella conduzione della politica economica sin qui. In televisione il ministro Tremonti ha ricostruito l’andamento dei nostri conti pubblici dal suo ritorno alla scrivania di Quintino Sella come caratterizzato da una caduta delle entrate (“se ne sono andate un bel po’ di entrate”) in presenza di una “tenuta delle spese”. In realtà non è affatto così.
Come si evince dalla tabella qui sotto, tratta dalla Relazione previsionale e programmatica, i saldi di bilancio primari (al netto della spesa per interessi calata di ben 6 miliardi, come a suo tempo previsto su lavoce.info), sono peggiorati tra il 2008 e il 2009 di circa 44 miliardi. Il peggioramento è attribuibile solo per 10 miliardi a un calo delle entrate (soprattutto di quelle tributarie). I restanti 34 miliardi sono tutti legati a un incremento della spesa primaria, che aumenta del 5 per cento in termini nominali (2,7 in termini reali). Se poi guardiamo alla composizione degli incrementi della spesa, ci rendiamo conto che sono quasi tutti concentrati nella spesa pensionistica e nel pubblico impiego.

2008 2009
Totale spesa primaria 694.032 728.539
Interessi 80.891 74.013
Entrate tributarie 457.424 444.064
Contributi sociali 214.718 213.910
Altre entrate 59.802 63.633
Totale entrate 731.944 721.607
saldo primario 37.912 -6.932
Indebitamento -42.979 -80.945

NÉ SVILUPPO

Anche nel 2010 saranno le pensioni a fare la parte del leone. Secondo i bilanci previsionali dell’Inps, i contributi previdenziali dovrebbero calare (caleranno ancora di più se continuiamo a terrorizzare i lavoratori immigrati che hanno in questi anni permesso la tenuta delle entrate contributive), mentre la spesa dovrebbe aumentare di circa il 2 per cento. Quindi, saranno una volta di più i trasferimenti dalla fiscalità generale a ripianare il bilancio.
Come già accennato, l’altra componente destinata ad assorbire gran parte delle risorse “liberate” per il 2010 è il rinnovo del contratto del pubblico impiego. Ci saranno poi le solite spese “incomprimibili” per Anas e Ferrovie.
Non ci saranno invece nella Finanziaria né provvedimenti di riduzione delle tasse per rilanciare i consumi, né interventi che siano in grado di rilanciare l’offerta, come le proposte formulate su questo sito a sostegno della crescita. Solo un lungo elenco di interventi, ciascuno di piccola entità: dagli sgravi alle banche che concedono moratorie sui debiti alle piccole imprese (adesso sappiamo che non erano certo un segno di buona volontà) ai finanziamenti delle spese per i processi immobiliari.
Insomma, lo sviluppo non si vede. A meno che lo sviluppo non siano le pensioni e il pubblico impiego.

NÉ EQUITÀ

Possiamo almeno consolarci con l’equità? Purtroppo anche su questo piano la manovra è deludente. Il ministro Brunetta ha qualche giorno fa definito come “populiste” misure come la social card e la Robin tax. Difficile dargli torto. Ci si aspettava che la cosiddetta “carta acquisti” venisse rifinanziata e potenziata. Invece sembra destinata a uscire mestamente di scena. Del milione e trecento mila beneficiari previsti se ne sono intravisti, nel massimo storico di giugno, meno di 600mila. Il numero si è poi progressivamente ridotto man mano che i figli dei beneficiari superavano la soglia dei tre anni. Oggi abbiamo circa 450mila utilizzatori della carta acquisti. Logica avrebbe voluto che si rimuovessero i vincoli anagrafici (figli con meno di tre anni o ultra65enni). Non sarà così. Perché? Una risposta forse ce l’abbiamo. La Lega non vuole. Solo un sesto dei beneficiari risiede al Nord, due terzi al Sud e nelle isole. Quando circa il 50 per cento dei poveri assoluti vive al centro-nord. È un portato del fatto che i requisiti di reddito non tengono conto delle differenze nel costo della vita fra regioni. Del resto, i criteri sembrano fatti unicamente per contenere le spese piuttosto che per raggiungere i più poveri.

UN MINIEMENDAMENTO

C’è un lungo elenco di cose da fare per far ripartire il paese, con molte riforme a costo zero. Le stiamo elencando sul sito. Basta scegliere. Se questo esecutivo non è davvero capace di definire le priorità, si limiti almeno a rispettare gli impegni presi col paese. Aveva promesso 3 miliardi e 200 milioni nel 2009 per il bonus famiglia e la carta acquisti. Ne ha spesi circa la metà e ha ricevuto donazioni (da Eni, Enel e amministrazioni locali) per circa 350 milioni. Con questi fondi può costruire una rete contro la povertà. Allarghi subito la platea dei beneficiari della carta acquisti rimuovendo i vincoli anagrafici: i poveri vanno aiutati a tutte le età. Stimando che la povertà assoluta in Italia riguarda circa 3 milioni di persone, raggiungendole tutte si arriverebbe a un costo complessivo di circa un miliardo e mezzo, meno di quanto risparmiato nel 2009 rispetto agli stanziamenti per bonus famiglia e social card. Servirebbe anche per cominciare a testare l’utilizzo dell’Isee a fini delle rilevazioni sulle situazioni di bisogno.
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