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«La metà degli studenti italiani non capisce quello che legge», di Anna Maria Sersale

ROMA – Dopo i dati severi del Censis, sulla scuola anche l’Europa boccia l’Italia. La capacità di lettura dei nostri studenti è al di sotto di quello che è necessario in un Paese evoluto. Complessivamente in Italia il 50,9% dei ragazzi tra 15 e 18 anni si colloca al di sotto del “punto 3”, che secondo l’Ocse rappresenta il livello base di competenza necessario «per confrontarsi in modo efficace nei contesti e nelle situazioni di vita quotidiana che richiedono l’esercizio della lettura». Carenze di questo tipo impediscono a un giovane di avere un ruolo pienamente attivo nella società. Il dato è contenuto nel Rapporto 2009 dell’Unità di analisi e studi della Direzione generale Education della Commissione Europea. Un dato che per la sua drammaticità dovrebbe scuotere non solo i Palazzi del potere (che fine fa l’Italia?) ma la scuola, gli insegnanti e le famiglie tutte. In poche parole, gli esperti della Commissione europea ci dicono che un ragazzo su due non è in grado di capire quello che legge! Parliamo di un testo con terminologie che, considerata l’età e la formazione scolastica, non dovrebbe costituire un problema.
La metà dei giovani, invece, è caduta in una fascia di analfabetismo moderno, collocandosi al di fuori del “letteratismo”, che non è saper leggere, ma capire che cosa si legge. Una emergenza, questa, che comporta implicazioni anche per l’economia. In proposito l’Ocse ha più volte messo in guardia gli stati membri: «Una società è considerata evoluta quando ha un’alta percentuale della popolazione sopra il livello 3».
Chi finisce sotto accusa? La scuola per prima, a causa della sua inadeguatezza. Ma non solo la scuola. Le responsabilità di un fenomeno di così vaste proporzioni sono molteplici e complesse. Però, prima di individuare le colpe che hanno portato a questo disastro, continuiamo a esaminare i dati contenuti nel Rapporto 2009 (ancora inedito) redatto dalla Direzione per l’Education.
«L’Italia ha un trend stabilmente negativo – osserva la Commissione di Bruxelles – anziché migliorare nelle performances di lettura i giovani italiani sono in regressione». La caduta non riguarda solo l’Italia, anche altri Paesi hanno problemi con le nuove leve, ma noi siamo quelli messi peggio di tutti. Perfino nella fascia di eccellenza siamo in coda agli altri: la percentuale di studenti italiani che si colloca nel livello più elevato della scala complessiva di lettura è appena del 5,2%, contro una media dell’8,6%. Che fare? Gli esperti di Bruxelles mettono sotto accusa «i metodi didattici tradizionali, basati sull’insegnamento frontale» non in grado di arginare gli effetti dell’era digitale, con il boom dell’audio-visual e del linguaggio degli sms, che abitua a risparmiare sintassi e vocali. Insomma, per Bruxelles ci vorrebbero «modelli più consoni alle esigenze dei ragazzi, basati sulla partecipazione attiva di questi». Tradotto in parole povere significa che la linea diretta del sapere, con l’insegnante in cattedra, è vecchia e obsoleta, e vanno cercate nuove strategie. Ma quali? Per parlare di cambiamento bisognerebbe svecchiare la classe docente. L’età degli insegnanti, osserva ancora il Rapporto, costituisce un freno. Basti pensare che in Italia quelli con meno di 30 anni sono solo l’1,1%. Nell’istruzione superiore i docenti con i capelli grigi da noi sono davvero troppi: infatti il 55% ha ampiamente superato la soglia dei cinquanta. Percentuale che in Europa scende al 32,4%. Risultato: siamo lontani dagli obiettivi da raggiungere nel 2010 stabiliti con i patti di Lisbona.
Al contrario, ci sono Paesi che marciano spediti. Norvegia e Finlandia sono al top, nella fascia più alta perché hanno investito nel sistema di istruzione. Sono al di sopra del livello 3 anche Germania, Francia, Usa e Gran Bretagna, insomma quei Paesi occidentali che producono l’80% del Pil mondiale.
Restano alti gli abbandoni: 19,7% (dovremmo scendere al 10%, ma il fenomeno è anche legato alle condizioni socio-economiche delle famiglie, vedi il caso di Rovereto). Per fortuna non è tutto negativo, l’Europa dice che almeno 85% dei giovani che ha raggiunto i 22 anni di età dovrebbe avere un diploma. Ebbene, la media Ue attuale è del 78,5%, l’Italia segue a breve distanza con il 76,5% (nel 2000 eravamo al 69,4%). Certo, resta il dubbio che la fascia di illetteratismo riguardi anche una parte dei diplomati (si vedrà con l’ingresso nel mercato del lavoro).
Un altro miglioramento lo abbiamo registrato all’università: riguarda i laureati in materie scientifiche. L’Europa si è accorta che in Italia c’è una ripresa degli iscritti a matematica, fisica e chimica, complessivamente +15%. Significa che i provvedimenti adottati negli ultimi anni, sconto sulle tasse, ma soprattutto una più attenta attività di orientamento degli studenti, ha dato i suoi frutti.

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Berlinguer: «Siamo indietro perché incapaci di sfruttare le tecnologie», di A. Ser.

ROMA – Dove abbiamo sbagliato, perché i nostri studenti sono così indietro?
«Una scuola modellata su un impianto che risale al primo Novecento – aula, cattedra, banchi – è oggi totalmente estranea ai bisogni culturali dei giovani. Non sviluppa le capacità di apprendimento una scuola incapace di sfruttare le nuove tecnologie, non compete con il boom dell’audio-visual, con gli sms, con tutti quegli stimoli che bombardano i giovani. Una scuola modellata su un impianto vecchio non accresce la capacità di studio e di comprensione e non raggiungerà mai gli obiettivi di Lisbona. Continuerà ad arrancare e, temo, continuerà a perdere e a disperdere un patrimonio enorme di intelligenze. Se si vuole una scuola di tutti, se si vuole una scuola capace davvero di premiare il merito e le capacità dei più bravi senza per questo lasciare indietro le vocazioni degli altri, occorre che la scuola italiana abbandoni definitivamente la “trasmissività” del sapere dalla cattedra ai banchi». All’intervista risponde Luigi Berlinguer, ex ministro dell’Istruzione, ora uno degli esperti di Bruxelles, che nel Parlamento europeo discute con i colleghi delle future strategie di education.
Quali sono le proposte per il futuro?
«I sistemi educativi devono combinare lo sviluppo delle conoscenze e delle abilità specifiche, insieme alla creatività, alla curiosità, all’intuizione, al pensiero critico, al problem solving, alla sperimentazione, all’assunzione dei rischi, all’abilità di apprendere dai fallimenti, all’uso dell’immaginazione al ragionamento per ipotesi, fino al senso di imprenditorialità. In una parola: bisogna passare dall’insegnamento strutturato cattedra-alunno-compiti a forme nuove, utilizzando pratiche di “student oriented” con lavoro in piccoli gruppi, autovalutazione degli studenti e loro partecipazione alla pianificazione».
Berlinguer, lei parla di una nuova era…
«Certo, la scuola deve rendersene conto, come con l’avvento della stampa si aprì, per la prima volta nella nostra civiltà, la possibilità di lettura ad un numero di persone fino ad allora inimmaginabile, oggi il web è il nuovo Gutenberg. Google, materia di cui mi occupo personalmente nel Parlamento europeo, sta concludendo accordi con gli editori per riversare nella Rete milioni di volumi. Per la prima volta miliardi di esseri umani avranno la possibilità di un accesso agevolato ai saperi. E per la prima volta, al contrario della stampa, della televisione, della radio, della scuola “trasmissiva” chi legge ha la possibilità di dialogare e commentare (è l’era dei web social network). Ma la nostra scuola non sfrutta nemmeno lontanamente questo patrimonio. Eppure quello che si apprende nel 70% dei casi non arriva dagli edifici scolastici. Se non si cambia la sfida è persa. La perdono quei ragazzi e quelle ragazze che, nella scuola che sa solo trasmettere saperi, vengono bocciati e aumentano le fila dei “dispersi”. E vedremo l’Italia, patria del classico, di Michelangelo, di Leonardo, di Galileo e di Vivaldi arrancare dietro Singapore, Corea, Finlandia. La “tradizione” è incomparabile ricchezza, è bagaglio culturale per viaggiare verso il nuovo. Ma in Italia rischia di trasformarsi in peso e restaurazione se non cambierà profondamente l’impianto didattico delle nostre scuole».

dal Messaggero

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