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“Museruola ai diritti dei garanti”, di Michele Ainis

Nella crociata bandita dal presidente del Consiglio contro i due garanti della Costituzione – il Capo dello Stato e la Consulta – ogni giorno è giorno di battaglia. Ieri Berlusconi ha invitato seccamente il primo a interessarsi dell’uso politico della giustizia, invece di pensare ad altro. L’altro ieri ha accusato la seconda di congiurare con le toghe rosse contro i provvedimenti normativi del governo. Ma con quali munizioni spara il presidente Berlusconi? Non leggi, non decreti, non atti provvisti del gran sigillo dello Stato. No, si tratta semplicemente di parole. E sulle parole viaggiano umori e malumori, che a propria volta determinano il clima complessivo delle nostre istituzioni. Per misurarlo, più che un costituzionalista servirebbe un meteorologo. Anche la Costituzione, però, è intessuta di parole. Anche le sentenze della Corte. La loro colpa? Quella di consentire ai giudici di demolire ogni riforma, appellandosi a «un organo di garanzia trasformato in organo politico» – Berlusconi dixit – «che abroga le leggi fatte dal Parlamento». Non è così: la Corte non abroga le leggi, le annulla. Due parole, due significati, benché in entrambi i casi vi si rifletta una valutazione negativa sulla legge. Tuttavia l’abrogazione esprime un giudizio politico, che infatti spetta alle due Camere; l’annullamento un giudizio giuridico, in termini di validità costituzionale, e a pronunziarlo è per l’appunto la Consulta. Sennonché quest’ultima – secondo la dottrina Berlusconi – si comporta in realtà come un partito, nel senso che impone la sua agenda alla politica. Secondo errore. Ogni sentenza incide sul governo della polis, anche quella scritta da un giudice di pace. A maggior ragione quando la sentenza abbia una legge per oggetto, come succede alla Consulta. Non foss’altro perché le leggi rappresentano il veicolo della decisione politica, la sua forma specifica. Per evitare d’immischiarsene, i giudici costituzionali dovrebbero mettersi in pensione.

E tuttavia – aggiunge Berlusconi – come si spiega che la Consulta accenda sempre il rosso del semaforo sulle scelte del governo? Terzo errore. Nell’ultimo deposito di pronunzie costituzionali (il 30 novembre) quelle d’annullamento sono state 4 su 14, e in quelle 4 alcune altre questioni venivano respinte. La volta precedente (il 16 novembre) 2 su 17: l’11%. Significa che la Corte usa il farmaco dell’incostituzionalità con il contagocce, e dunque assolve quasi sempre il Parlamento. Lo fa questa Corte di comunisti col colbacco, lo hanno fatto tutte le altre Corti che l’hanno preceduta. Perché l’annullamento d’una legge è un fatto traumatico per la vita delle istituzioni, e perché almeno in quel palazzo prendono sul serio la «leale collaborazione» invocata da Napolitano. Che cosa rimane, allora, delle parole pronunziate dal presidente Berlusconi? Per l’appunto un clima, un’atmosfera di sospetti e di veleni. E questo clima serve a preparare una riforma costituzionale che metta la museruola ai due garanti. Sul metodo, nulla da eccepire: è la via più democratica per regolare i conti fra politica e giustizia, giacché l’ultima parola l’avremo noi elettori, attraverso un referendum. Sul merito, c’è una lezione che faremmo bene a ricordare, quando verrà il momento. È incisa nella Déclaration che scrissero i rivoluzionari francesi del 1789: «Ogni società nella quale la garanzia dei diritti non è assicurata, né la separazione dei poteri determinata, non ha Costituzione».