economia, lavoro

“L’agonia del lavoro domina il Natale, ma il Paese parla d’altro”, di Rinaldo Gianola

A una settimana da Natale il bollettino della crisi italiana è un elenco interminabile di aziende in difficoltà e di lavoratori in lotta, spesso disperati perchè non vedono la strada per uscire da un lunghissimo tunnel. La gravità della situazione dovrebbe portare il tema del lavoro e del rilancio economico in primo piano nell’agenda del governo e della politica. I telegiornali e i talk show dovrebbero sentire l’impegno morale, prima ancora che professionale, di piazzare i volti e le voci dei lavoratori nei titoli di testa, come si fa con le notizie più importanti. Non si può continuare a vendere fumo, non si può continuare a dire che la crisi è finita e stiamo meglio degli altri quando ogni giorno si moltiplicano le notizie di aziende in difficoltà, di tagli occupazionali, di ristrutturazioni. I precari sono già stati cacciati e nessuno se ne ricorda. Le donne hanno pagato e sono tornate a casa. Ora, dicono le statistiche, non si iscrivono più alle liste di disoccupazione, tanto hanno perso la speranza di un’occupazione stabile. I “garantiti” col posto fisso hanno potuto usufruire della cassa integrazione, ma in molte imprese, anche grandi, sta finendo il periodo di copertura delle 52 settimane. Adesso, nei prossimi mesi, anche se il pil darà qualche segnale di ripresa, arriverà il peggio per l’occupazione. L’impatto più negativo della crisi sul mercato del lavoro è atteso per l’anno prossimo, forse si estenderà fino al 2011. Gli ultimi dati statistici, in Italia e in Europa, a questo proposito lasciano poche speranze. Nel terzo trimestre di quest’anno, dice l’Istat, l’Italia ha perso oltre 500mila posti di lavoro rispetto allo stesso periodo dell’anno precedente. Non andava così male dal 1992. Per recuperare i posti che sono andati smarriti non si può pensare che una crescita economica dello 0,5 o dell’1% possa fare miracoli dopo aver accusato un arretramento del 5-6% negli ultimi due anni. Il dramma sociale è una questione europea, non solo italiana. Tra il marzo 2008 e l’ottobre di quest’anno in Europa sono scomparsi oltre 6 mili di posti di lavoro. Nell’Unione i disoccupati sono circa 22 milioni, di cui più di un quarto sono giovani. In questi giorni che portano al Natale sembra che l’emergenza economica e sociale si stia accentuando. Il tessuto imprenditoriale soffre, è in difficoltà, la crisi in questa fase sembra colpire con più forza quelle imprese che avevano finora resistito mentre nella grande «fabbrica diffusa» del Nord est sono artigiani, piccole imprese. autonomi a mostrare segni di cedimento. E in molti casi, se non si lanciano velocemente consistenti salvagente, il rischio è che la coda della recessione porti alla cessazione di tante imprese. Quasi ci fosse un regista cinico dietro questa crisi italiana, nei prossimi giorni che portano al Natale ci saranno una serie di incontri e annunci che potrebbero drammatizzare ulteriormente il momento. Uno dei passaggi chiave sarà la presentazione del piano Fiat da parte dell’amministratore delegato Sergio Marchionne la prossima settimana. L’incontro fissato per il 22 dicembre, alla vigilia della pausa natalizia e mentre alcune fabbriche sono in cassa integrazione, potrebbe portare la conferma della chiusura, o meglio della cessazione di Termini Imerese come impianto produttore di auto. L’attesa e la tensione sono molto alte anche per Pomigliano e gli altri stabilimenti del Mezzogiorno. Ma non è solo l’auto a preoccupare. Da Marghera all’hinterland milanese, dalle aziende meccaniche dell’Emilia Romagna fino all’accaio di Taranto, le aree di difficoltà sono sempre più estese. In questa congiuntura le sollecitazioni dei sindacati affinchè il governo dia una mano ai redditi di lavoratori e pensionati, con un organico intervento fiscale, sono andate deluse. Così come il pd ha proposto invano un piano di interventi a favore di artigiani e imprese, e di sostegno ai ceti più deboli buttati fuori dal mercato del lavoro. Ma, dialogo o non dialogo, toni bassi o alti, il governo è andato avanti spedito sulla Finanziaria senza nemmeno discutere un articolo con l’opposizione. Un mese fa Tremonti fece l’elogio pubblico del posto fisso. Era solo una battuta ad effetto per conquistare un titolo di Minzolini al tg1, niente di più.
L’Unità 18.12.09

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In un anno bruciati 500mila posti di lavoro, di Roberto Mania
In un anno si sono persi più di mezzo milione di posti di lavoro. E non è finita. Mentre i mercati finanziari hanno ricominciato a crescere e l´economia ha arrestato la sua discesa, per quanto la ripresa si prospetti molto lenta, l´occupazione continua, ininterrottamente, a calare come non accadeva dal 1992. Lo dice l´Istat nella sua ultima indagine sulle forze lavoro, relativa al terzo trimestre del 2009.
Un insieme di dati che disegnano la nuova fase della crisi con la diminuzione degli occupati (-2,2%) e l´incremento della disoccupazione (8,2%, mai così alto dal 2004), in particolare. Con l´inizio della perdita di posti di lavoro anche tra gli assunti, a cominciare da quelli delle piccole imprese, con contratti standard a tempo indeterminato (-110 mila unità) e non più soltanto tra gli atipici (-220 mila contratti a termine e – 42 mila collaboratori) e i più giovani; con l´aumento di chi cerca lavoro soprattutto nelle regioni del nord industriale; con il lavoro autonomo (-136 mila) e quello straniero (il cui tasso di disoccupazione è passato dal 6,9 al 10,6%), infine, che non sono più in grado di tamponare l´emorragia del settore manifatturiero e l´espulsione dei lavoratori italiani.
Nuove direzioni, dunque, in una economia chiaramente segnata da una ripresa senza lavoro, ma anche alcune conferme. Come quella del costante aumento delle persone che si scoraggiano e non cercano più lavoro, al centro-sud, si sa, ma, ora, pure al nord, dove la percentuale cresce di più: +2,8%, con un picco addirittura del 4,4% nell´area del nord-est. Riguarda le donne, da sempre costrette in parte a ritirarsi dal mercato del lavoro per dedicarsi alla famiglia, ma adesso anche gli uomini. In tutto sono quasi 15 milioni le persone di età compresa tra i 15 e i 64 anni che sono fuori dalle statistiche sul mercato del lavoro. Proprio l´esercito degli “inattivi” spiega perché – secondo l´analisi dell´Isae, l´Istituto di studi e analisi economica del ministero dell´Economia – il tasso di disoccupazione sia ancora contenuto, anche rispetto alla media del 9,8% nella zona euro.
E i dati sull´occupazione in calo e la disoccupazione in crescita non possono non essere aggravati dalla massa di lavoratori in cassa integrazione. Nella settimana in cui i rilevatori dell´Istat hanno effettuato le interviste, sono stati 281 mila i lavoratori occupati a dichiarare di non aver lavorato: un numero più di cinque volte superiore alle 52 mila unità di un anno fa.
D´altra parte lo racconta anche la cronaca che la crisi da finanziaria sta trasformandosi in sociale. Con la ricomposizione dei mercati mondiali le aziende devono ristrutturasi, cioè tagliare e anche chiudere. Come hanno deciso i giapponesi della Yamaha, campione del mondo: chiusura dello stabilimento di Lesmo (Monza). Quattro operai, nonostante la neve, sono saliti sul tetto dello stabilimento per protesta e il ministro del Lavoro, Maurizio Sacconi, ha convocato per oggi aziende e sindacati. Protesta sul tetto, e produzione bloccata, anche a Pomigliano dove la Fiat non intende confermare un centinaio di contratti a termine. A Fabriano e Nocera Umbra prosegue la lunga agonia della Antonio Merloni (6 mila persone coinvolte, indotto compreso) in amministrazione controllata ma senza compratori. E gli operai si ribellano anche alla Fincantieri: blocco del cantiere contro la decisione dell´azienda di non pagare per intero il premio di efficienza (750 euro).
La Repubblica 18.12.09

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La disoccupazione sale all’8,2% Persi in un anno 500 mila posti, di Luciano COstanti
Mezzo milione di senza lavoro in più, un tasso di disoccupazione che galleggia intorno all’8%. Gli ultimi rilevamenti di Istat e Confindustria, se non sono speculari, si avvicinano di molto disegnando una situazione che resta assai difficile anche se poi il Centro Studi di viale dell’Astronomia assicura che la rirpesa è avviata e non deraglierà».
Entrando nel dettaglio, l’istituto di statistica dice che il tasso di disoccupazione ad ottobre ha raggiunto l’8,2%, il peggiore dato dal 2004. Una percentuale che significa che il numero dei disoccupati, ad ottobre appunto, è arrivato a quota 2.039.000 unità. E’ il peggior calo dal 1992. Più in particolare, nel terzo trimestre di quest’anno l’occupazione è scesa di 508.000 unità rispetto allo stesso periodo del 2008 (-2,2%) mentre è calata di 120.000 rispetto al secondo trimestre dell’anno in corso. L’emorragia si è fatta sentire soprattutto al Nord che ha perso 274.000 posti, 196.000 al Sud, mentre il Centro è riuscito a contenere le perdite: 38.000 unità. Secondo l’Istat il risultato deriva «da un’ulteriore caduta dell’occupazione autonoma, dei dipendenti a termine e dei collaboratori, cui si aggiunge una significativa flessione dei dipendenti a tempo indeterminato. Il calo dell’occupazione si è concentrato soprattutto nel settore dell’industria in generale (386.000 posti) con un picco nell’industria in senso stretto (307.000)». In discesa il tasso di occupazione che passa dal 59% al 57,5%. Aumentano le persone in cerca di lavoro che nel trimestre hanno raggiunto quota 1.814.000 e 2.039.000 a ottobre.
I dati che ieri sono usciti dal Centro Studi di Confindustria non si distaccano molto da quelli dell’Istat anzi ne costituiscono una sostanziale conferma. Dunque, alla fine di quest’anno il tasso di disoccupazione si attesterà al 7,6%, all’8,7% nel 2010 e salirà al 9% nel 2011. Tra il 2008 il 2009 si sono persi 470.000 posti e altri 195.000 sono a rischio tra il 2010 e il 2011: dipenderà dalla capacità di riassorbimento dei cassintegrati. Se essa fosse del 70%, i posti che andrebbero perduti salirebbero a 665.000; se fosse del solo 40%, si arriverebbe a una perdita di 770.000 posti. A dimostrazione che la ripresa sarà «lenta, faticosa, in salita e ostacolata da venti contrari». Comunque, secondo le previsioni di Confindustria, «all’Italia saranno necessari quattro anni, cioè fino al 2013, per tornare ai livelli di Pil pre-crisi, dopo una perdita che nel biennio di recessione ha riportato l’economia italiana indietro di quasi otto anni». Il Pil, secondo le stime di Confindustria raggiungerà il -4,7% nel 2009 per poi entrare in territorio positivo l’anno prossimo (+1,1%) e consolidarsi nel 2011 (+1,3%). La «nottata sta passando» dice il Centro Studi di viale dell’Astronomia ribadendo l’identico concetto espresso un mese fa, «ma il Paese deve cambiare passo investendo sulla ricerca e sul capitale umano e concentrando le risorse su obiettivi prioritari». Emma Marcegaglia annuncia per gennaio l’elaborazione di una agenda delle priorità (”Progettare futuro”) per i prossimi cinque anni che entro marzo sarà presentata al governo e alle parti sociali. «Partiremo dalle esigenze delle imprese – spiega il presidente di Confindustria – per cercare di avere una visione a medio termine e chiamare tutti a confrontarci».
Il Messaggero 18.12.09

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Ora la crisi morde anche i garantiti, di L.Ci.
Iniziano a soffrire anche i “garantiti”. La rilevazione sulle forze di lavoro aggiornata al terzo trimestre 2009 contiene per la prima volta il segno meno, rispetto allo stesso periodo del 2008, anche alla voce “dipendenti permanenti a tempo pieno”. Una categoria che fino a metà anno era riuscita complessivamente a resistere all’impatto della recessione, anche grazie alla cassa integrazione: a fine settembre invece la perdita era di 92.000 unità, in percentuale lo 0,7 per cento, concentrata nelle piccole imprese.
Resta comunque ben più pesante il bilancio per i lavoratori con contratto a termine, fin dall’inizio i più investiti dalla crisi. Per loro la contrazione, rispetto al terzo trimestre 2008, è di 207.000 posti (-11,1 per cento) a cui si aggiungono altri 14.000 contratti a tempo determinato e orario parziale che sono venuti meno. Per arrivare agli oltre 500.000 posti persi complessivamente bisogna poi aggiungere 178.000 lavoratori indipendenti, nelle cui file si trovano 42.000 collaboratori continuativi o occasionali: il mondo del lavoro precario nelle sue varie sfaccettature continua quindi a pagare il prezzo maggiore. E questo fenomeno si interseca almeno in parte con il rilevante aumento del tasso di disoccupazione giovanile (15-24 anni), cresciuto di oltre quattro punti al 23,5.
Un’altra indicazione significativa di quel che sta accadendo nel mondo del lavoro si può ricavare osservando che la quasi totalità delle “nuove” 284.000 persone in cerca di occupazione hanno una precedente esperienza lavorativa: in buona parte quindi si può trattare di persone che hanno perso recentemente il posto. Guardando invece alle differenze geografiche si nota subito la discreta tenuta dell’occupazione al Centro, dove il calo percentuale sempre rispetto al 2008 è dello 0,8 per cento contro il 2,3 del Nord e il 3 del Sud. Un andamento che l’Istat spiega con l’apporto del terziario, decisamente meno colpito dalla crisi rispetto all’industria, e con quello degli stranieri. Complessivamente questi ultimi, a differenza degli italiani, fanno segnare ancora un aumento dell’occupazione.
Il Messaggero 18.12.09

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“Quei giovani dimenticati dal lavoro”, di Tito Boeri

È salito a 781.000 il conto dei posti di lavoro distrutti dall´inizio della recessione in Italia. Come documentato ieri dall´Istat, si tratta per un terzo di contratti a tempo determinato.

Per quasi due terzi, invece, si tratta di contratti a progetto e lavori ai confini tra il lavoro autonomo e il lavoro alle dipendenze. Sono sempre i lavoratori temporanei, duali, a pagare il conto più salato anche se cominciano a registrarsi riduzioni di posti di lavoro tra i contratti a tempo indeterminato e sono quasi mezzo milione i cassintegrati a zero ore, come si può calcolare sulla base dei dati sulle ore di Cassa Integrazione dell´Inps. Questa crisi è già costata in termini occupazionali più di quella, pesantissima, del 1992-3. Anche per questo i consumi in Italia stentano a ripartire. Il miglioramento della congiuntura sin qui è stato in gran parte legato alla domanda estera. Dobbiamo ora sperare che il Bundestag approvi rapidamente i tagli fiscali proposti dai liberali tedeschi e farci trainare dalle esportazioni verso la Germania. Nel frattempo dovremmo concentrare le poche risorse disponibili nell´offrire coperture assicurative a chi ha perso il lavoro o rischia di perderlo, mettendo dei soldi nelle tasche di chi non può che spenderli. La ripresa non cancella il problema: se il 2010 sarà sicuramente migliore del 2009, è comunque destinato a lasciarci in eredità un mercato del lavoro ancora a lungo molto difficile.
Mai una crisi era stata così diseguale nel colpire i giovani. La disoccupazione tra chi ha meno di 25 anni è balzata dal 18 al 27 per cento in solo un anno e mezzo. Il rischio di essere disoccupato è di 3,5 volte più elevato per chi è in questa fascia di età che per il resto della popolazione. Non c´è altro paese dell´Ocse in cui lo svantaggio relativo sul mercato del lavoro dei giovani sia così forte, nonostante sia sempre più basso (e minore che altrove) il numero di coloro che si affacciano per la prima volta al mercato del lavoro. Non è colpa della demografia, ma del mercato della lavoro duale. Il fatto nuovo di questa crisi è proprio il licenziamento massiccio dei giovani. È un problema sociale nuovo, cui non siamo minimamente preparati. I dati Istat ci dicono che solo il 10 per cento di chi ha perso il lavoro è oggi coperto da sussidi di disoccupazione e indennità di mobilità. Questo significa che l´estensione della Cassa Integrazione “in deroga” a lavoratori in passato non coperti da questi trattamenti è stato soprattutto un modo per prorogare i trattamenti a chi già li riceveva, lasciando fuori i soliti disoccupati di serie B.
Molto opportunamente l´Istat ha in questi giorni reso pubblici anche i dati sui salari netti percepiti da diverse categorie di lavoratori. Questi dati ci dicono che chi ha un contratto a tempo determinato guadagna un quarto in meno di chi ha un contratto a tempo indeterminato e ha la stessa età e lo stesso titolo di studio. Difficilmente potrà recuperare più in là questo svantaggio iniziale percependo salari più alti perché i lavoratori temporanei ricevono meno formazione (circa il 40% in meno) sul posto di lavoro degli altri. Una carriera lavorativa iniziata nel mercato del lavoro duale è così destinata ad offrire a 65 anni una pensione del 30 per cento inferiore a quella di un lavoratore con le stesse caratteristiche che abbia avuto la fortuna di iniziare fin da subito con un contratto a tempo indeterminato.
Solo in Italia questi rischi – perdere il lavoro, trovarsi senza lavoro e senza alcun aiuto dello Stato, essere pagato molto poco, essere condannato a pensioni al di sotto della soglia di povertà, non ricevere formazione – sono tutti inesorabilmente concentrati sui giovani. È un problema e che è stato sin qui colpevolmente ignorato dal governo, convinto che i costi sociali della crisi tra i giovani fossero marginali perché sono comunque aiutati dalle loro famiglie. Si sbaglia perché la disoccupazione tra i giovani non è più solo tra chi è in attesa di entrare nel mercato e vive ancora coi genitori. Si tratta sempre più di persone che hanno perso un lavoro magari trovandosi a centinaia (migliaia nel caso dei lavoratori immigrati) di chilometri dalla loro famiglia.
Chi oggi vuole davvero affrontare i problemi di coesione sociale nel nostro Paese non può perciò continuare a ignorare i problemi dei giovani. Come può esserci coesione sociale in un Paese che non dà speranze ai giovani?

La Repubblica, 18.12.2009