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«L’inciucio è cosa non buona e ingiusta», di Eugenio Scalfari

Ho letto con molto interesse l’articolo del nostro collaboratore Alexander Stille (figlio di tanto padre) pubblicato venerdì scorso su Repubblica. Spiega perché chi si opponga alla politica del Pdl non può che concentrare le sue critiche su Silvio Berlusconi. Non è questione di distinguere la parola “nemico” dalla parola “avversario”, la parola “odio” dalla parola “opposizione”. Su queste differenze lessicali potremmo (inutilmente) discutere per pagine e pagine senza cavarne alcun risultato, come pure potremmo discutere sulla personalizzazione degli scontri politici in altri paesi.

Negli Stati Uniti, per esempio, lo scontro personalizzato è una prassi durissima e assolutamente normale. Basta ricordare (ed è appena un anno fa) la polemica senza esclusione di colpi tra Obama e Hillary Clinton durante le primarie, quella tra Gore e Bush nella corsa alla Casa Bianca, la campagna dei giornali che portò alle dimissioni di Nixon e Bill Clinton ad un passo dall'”impeachment” all’epoca dello scandalo Lewinsky.

Eppure in nessuno di quei casi i protagonisti avevano mai personalizzato su di sé il partito o la parte politica che rappresentavano come è avvenuto per Silvio Berlusconi. Ma chi lo ha detto meglio di tutti e con maggiore attendibilità è stato Denis Verdini. Il suo non è un nome molto noto, eppure si tratta d’un personaggio di primissimo piano: è il segretario del Pdl, il numero uno dei tre coordinatori di quel partito e soprattutto il co-fondatore di Forza Italia.

Quando Berlusconi decise di scendere in campo, nell’autunno del 1993, affidò la costruzione del partito ai due capi di Publitalia, la società che raccoglieva la pubblicità per il gruppo Fininvest, nelle persone di Dell’Utri e di Verdini. Il primo è da tempo distratto da altri affanni; Verdini è invece nel pieno del suo impegno politico.

Nell’articolo pubblicato dal Giornale il 18 dicembre, Verdini elenca gli obiettivi che il Pdl si propone di realizzare nei prossimi mesi e descrive come meglio non si potrebbe il ruolo di Berlusconi. “Lui ha costruito la figura del leader moderno – scrive Verdini – anzi ha costruito la leadership come istituzione. Per affrontarlo, anche gli altri partiti dovranno affidarsi ad una leadership e se non riusciranno a farlo saranno sempre sconfitti.

Ma anche i “media” non potranno esimersi dal concentrare sul leader la loro attenzione, se vorranno cogliere il vero significato di quanto accade”.
Segue l’elenco degli obiettivi: smontare la Costituzione e adeguarla alla Costituzione materiale; cambiare il sistema di elezione del Csm e quello della Corte costituzionale; riformare la giustizia separando le carriere dei magistrati inquirenti da quelle dei giudicanti; concentrare nella figura del premier tutti i poteri dell’Esecutivo e sancire che tutti gli altri poteri siano tenuti a collaborare lealmente con lui perché lui solo è l’eletto del popolo e quindi investito della sovranità che dal popolo emana.

Quest’articolo è infinitamente più preoccupante delle esagitate denunce e liste di proscrizione lanciate da Cicchitto in Parlamento, da Feltri e da Belpietro sui loro giornali e dai vari “pasdaran” del berlusconismo di assalto. Verdini l’ha scritto il 18 dicembre, quando già Berlusconi era tornato ad Arcore ed aveva avviato la politica del dialogo con l’opposizione. Esso contiene dunque con lodevole chiarezza le condizioni di quel dialogo, con l’ovvio preliminare che essi comportano e cioè il salvacondotto in piena regola riguardante i processi del premier. Da qui dunque bisogna partire, tutto il resto è pura chiacchiera.

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I giornali di ieri hanno dato notevole risalto alla battuta di D’Alema sull’utilità ed anzi la necessità, in certi momenti della vita politica, di far ricorso agli “inciuci”. La parola “inciucio” denomina un compromesso malandrino tra parti politiche avversarie, un compromesso sporco e seminascosto che contiene segrete pattuizioni e segreti benefici per i contraenti, nascosti al popolo-bue.

Per esemplificare la sua battuta sull’utilità dell’inciucio D’Alema ha citato la decisione di Togliatti di votare, nell’Assemblea costituente del 1947, per l’inclusione del Concordato nella Costituzione italiana. Ma l’esempio è stato scelto a sproposito: la costituzionalizzazione del Concordato tra lo Stato e la Chiesa non fu affatto un inciucio ma un trasparente atto politico con il quale il Pci, distinguendosi dal Partito socialista e dal Partito d’azione, dichiarò la sua contrarietà a mantenere viva una contrapposizione tra laici e cattolici.

Si può non concordare con quella posizione; del resto la sinistra ha sempre privilegiato le lotte sociali rispetto alle cosiddette libertà borghesi, iscrivendo tra queste anche la laicità che non fu mai un cavallo di battaglia del Pci. Si può non condividere ma, lo ripeto, l’inciucio è tutt’altra cosa e D’Alema lo sa benissimo.
Credo di sapere perché D’Alema ha scelto di usare quel termine così peggiorativo: vuole stupire, gli piace esser citato dai “media”, è una civetteria di chi, essendo molto sicuro di sé, sfida e provoca e si diverte.

È fatto così Massimo D’Alema. I compromessi gli piace descriverli, teorizzarli, talvolta anche tentarne la realizzazione, annusarne il cattivo odore, sicuro che se gli riuscisse di farli sarebbe comunque lui a guidarli verso l’utilità generale perché lui è più bravo degli altri.
In realtà non è riuscito a metterne in pista nessuno. Ma la sua provocazione ha suscitato preoccupazioni nel suo partito e parecchie reazioni. Si è dovuto parlare di lui per l’ennesima volta. Sarà contento perché era appunto ciò che voleva.

I suoi contraddittori hanno deciso che bisognerà spostare il tiro sui problemi economici ai quali il governo ha dedicato pochissima attenzione. Sarà su di essi che si svolgerà il grande confronto tra la sinistra e la destra.

È vero, il governo non ha fatto nulla, la nostra “exit strategy” dalla crisi è del tutto inesistente e farà bene l’opposizione e il Pd a darsene carico, ma il centro dello scontro non sarà questo. Il centro dello scontro l’ha indicato Verdini, sarà sullo smantellamento della Costituzione. Sul passaggio dallo Stato di diritto allo Stato autoritario.

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Berlusconi vuole il dialogo. Che cosa vuol dire dialogo? Lo spiega quasi ogni giorno sul “Foglio” Giuliano Ferrara. Lo spiegano gli editorialisti terzisti “ad adiuvandum”: dialogo vuol dire mettersi d’accordo sul percorso da seguire e poi attuarlo con leale fedeltà a quanto pattuito. Insomma un disarmo. Unilaterale o bilaterale? Vediamo.

Berlusconi chiede: la legge sul legittimo impedimento come strumento-ponte che lo metta al riparo fino al lodo Alfano attuato con legge costituzionale; rottura immediata tra Pd e Di Pietro; riforme costituzionali e istituzionali secondo lo schema Verdini. In contropartita Berlusconi promette di parcheggiare su un binario morto la legge sul processo breve e di “riconoscere” il Pd come la sola forma di opposizione.

Va aggiunto che Berlusconi non pretende che il Pd voti a favore della legge sul legittimo impedimento; vuole soltanto che essa non sia considerata dal Pd come un ostacolo all’accordo sulle riforme.

Vi sembra un disarmo bilaterale? Chiaramente non lo è. Chiaramente sarebbe un inciucio di pessimo odore.
In una Repubblica parlamentare il dialogo si svolge quotidianamente in Parlamento. Le forze politiche presentano progetti di legge, il governo presenta i propri, il Capo dello Stato vigila sulla loro costituzionalità, i presidenti delle Camere sulla ricevibilità di procedure ed emendamenti nonché sul calendario dei lavori badando che anche i progetti di legge formulati dall’opposizione approdino all’esame parlamentare.

Non si tratta dunque di un dialogo al riparo di occhi indiscreti ma d’un confronto aperto e pubblico, con tanto di verbalizzazione.

Quanto alla richiesta politica di rompere con Di Pietro, non può essere una condizione in vista di una legittimazione di cui il Pd non ha alcun bisogno e che la maggioranza non ha alcun titolo ad offrire. Come risponderebbe Berlusconi se Bersani gli chiedesse di rompere con la Lega? Che non è meno indigesta di Di Pietro ad un palato democraticamente sensibile ed anzi lo è ancora di più?

La conclusione non può dunque essere che l’appuntamento in Parlamento. Il punto sensibile è l’assalto alla Costituzione repubblicana. Ci sarà un referendum confermativo poiché sembra molto difficile una riforma condivisa. A meno che il premier non receda dai suoi propositi che, nella versione Verdini, sono decisamente eversivi. Uso questa parola non per odio verso chicchessia ma per amore verso lo Stato di diritto che è condizione preliminare della democrazia.

da www.repubblica.it

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da www.corriere.it: “Asse Veltroni-Franceschini «Il buon inciucio non esiste»”, di Alessandro Trocino
E Bersani: la linea è ferma, no a leggi ad personam
CORTONA — Walter Veltro­ni, Dario Franceschini e Ignazio Marino. La minoranza del Pd at­tacca frontalmente Massimo D’Alema, il cui elogio degli in­ciuci, «che anche oggi servireb­bero al Paese», non è piaciuto a molti. Per questo è costretto a intervenire Pier Luigi Bersani, che spiega al Tg1: «Lasciamo stare le variazioni sul tema. Il Pd ha una linea ferma: siamo contro le leggi ad personam e a favore di un confronto in Parla­mento sulle riforme che riguar­dano il Paese». Da Cortona, primo raduno di Area democratica, arrivano bor­date verso il Nazareno. Comin­cia Veltroni: «Se devo pensare ai mali del Paese, francamente non mi viene in mente il Partito d’azione di Ferruccio Parri. E poi resto un po’ sorpreso quan­do un dirigente sostiene che Berlusconi deve restare per tut­ta la legislatura. Ne succedono di tutti i colori».

Nicola Latorre, il dirigente di cui sopra, ribatte: «Mai detto quella frase. Invece di contrastare il governo si con­tinuano ad attaccare gli espo­nenti del proprio partito». Poi tocca a Franceschini: «Io di in­ciuci che hanno fatto bene non ne ho mai visti». E ancora: «Non possiamo stare zitti se vie­ne violentato lo stato di diritto. Piuttosto sfidiamo la destra a una riforma degli ammortizzato­ri sociali». Marino (che non struttura la corrente ma lancia i workshop, il primo il 23 genna­io su lavoro e nucleare): «Non capisco, prima facciamo l’ostru­zionismo in Commissione giu­stizia, poi votiamo sì alla calen­darizzazione del processo breve per il 12 gennaio. Così andiamo contro il sentire comune del Pa­ese ». Si leva anche la voce di An­tonio Di Pietro, che accusa D’Alema di «oltraggio alla Costi­tuzione » e di «offesa alla storia repubblicana» per aver sostenu­to che il «più grande inciucio» della storia italiana è stato l’arti­colo 7 della Costituzione. Area democratica, che avrà un coordinamento sul territo­rio e un foglio online, si è dota­ta a Cortona di un’identità. Che non sarà, assicura Franceschi­ni, «fare l’opposizione a Bersa­ni », ma aiutare il partito. Veltro­ni vede in pericolo il «principio di legalità» e avverte che «non c’è il clima» per le riforme. Il fondatore del Pd ricorda a Ber­sani e D’Alema che hanno vinto con il 53% contro il 47: «Nessu­no pensi che una grande forza possa essere governata come un patrimonio personale del­l’uno o dell’altro».

E nessuno pensi a un ritorno al passato: «Tornare all’Unione, magari con un premier di centro, non mi parrebbe un gran capolavo­ro ». Per Veltroni la prova del no­ve saranno le Regionali: «Ci vuole un segno profondo di di­scontinuità nel Mezzogiorno». Cita la Calabria e la Campania, ma anche la Sicilia: «Non è ac­cettabile che il Pd dia il suo ap­poggio a una giunta di Lombar­do e Micciché». Se Bersani al Tg1 spiega che «bisogna accorciare le distanze con gli alleati», Franceschini ha più di un timore. Sulla riforma elettorale, innanzitutto: «Non sono accettabili scambi con l’Udc per avere una legge pro­porzionale alla tedesca». Non so­lo: sarebbe «una scelta miope» aiutare Rutelli a mettere in pie­di un partito «che magari poi sceglierà di collocarsi a destra, lasciandoci all’opposizione per 40 anni». Franceschini è preoc­cupato: «In pochi giorni siamo passati dal fronte democratico dell’emergenza nazionale al dia­logo, che è un tranello: c’è qual­cosa che non funziona». Conclu­de Paolo Gentiloni: «Non siamo un correntone girotondino. Nel Pd ci vuole più cultura liberalde­mocratica e più cultura azioni­sta ». «D’Alema teme che il Pd sia un partito d’azione di massa — conclude Enrico Morando —: magari lo fossimo».

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Riforme, Bersani: “La linea del PD è ferma, contro ogni legge ad personam” (clicca qui per vedere il Video)
Il segretario intervistato dal TG1 chiede una sessione in Parlamento sulle riforme sociali, a tutela di lavoratori e disoccupati. Penati: “E’ una linea condivisa ne PD, non si strumentalizzino le parole di D’Alema”
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“Lasciamo perdere le variazioni sul tema: abbiamo una linea ferma, siamo contro qualsiasi legge fatta per una persona sola, ci opporremo a qualunque legge ad personam ma siamo a favore di una discussione, di un confronto sulle riforme che riguardano tutti i cittadini”. Lo ha detto il segretario del Pd, Pier Luigi Bersani, intervistato dal Tg1, sulla scia dei tre noi ribaditi da diverse settimane: no al processo breve, no a leggi ad personam, no al legittimo impedimento.

Le riforme da fare. “Si parla giustamente di riforme che riguardano le funzioni del Parlamento e del governo ma a noi – ha aggiunto Bersani – interessano in particolare le riforme sociali. E’ ora di discutere di questo con una sessione in Parlamento, dobbiamo discuterne per fare qualcosa di più di quanto è stato fatto”.

Il leader del PD ha ricordato come “dai dati Istat si evidenzi che ci sono 780mila disoccupati in più da quando è cominciata la recessione, abbiamo 900mila persone che vivono di ammortizzatori, abbiamo 20mila esercizi commerciali in meno in un anno, studi professionali, piccole imprese in difficoltà. Sarà ora di discutere, di fare qualcosa, qualcosa in più di quanto non si sia fatto fin qui”, insiste.

Il profilo del mio Pd è costruire alternativa di governo “Io non sono quello che tiene assieme, cerco di dare un profilo al Pd, un profilo che alluda all’esigenza di costruire un’alternativa, e questo significa costruire un’altra proposta e ciascuna forza dell’opposizione deve prendersi la responsabilità di accorciare le distante tra di noi, io lavorerò per questo, spero gli altri facciano altrettanto”. E’ il passaggio dell’intervista a proposito delle alleanze con gli altri partiti di opposizione come Idv e Udc.

“Sulle riforme la posizione del partito è chiara e condivisa da tutti” aveva assicurato già nel pomeriggio Filippo Penati, capo della segreteria politica di Pier Luigi Bersani, invitando a non strumentalizzare le parole di D’Alema: “Il Partito democratico ha una posizione chiara ed inequivocabile, abbiamo detto e ribadito in modo compatto che diciamo Si alle riforme per i cittadini, e No alle leggi ad personam. E’ questa posizione sulla quale il partito è compatto e tutti la pensano allo stesso modo. A questo punto, però, è giusto chiedere che non siano strumentalizzate le parole dette ieri da Massimo D’Alema che altro non erano se non un evidente paradosso ( sugli “inciuci” utili in certi momenti all’Italia, citando il Concordato NdR ), parole espresse, peraltro, nel corso della presentazione di un libro. La vita politica italiana non può essere inquinata da polemiche pretestuose fondate sul nulla. Infine, sarebbe un buon metodo quello di chiamare i politici a rispondere dei loro atti concreti e non che venissero attaccati per una battuta o, peggio, per un ragionamento”.

da www.partitodemocratico.it

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