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“Direttiva sulla parità senza budget”, di Anna Zavaritt

Allargamento della nozione di discriminazione, aumento delle pene pecuniarie e onere della prova a carico del presunto trasgressore. Queste alcune delle importanti novità introdotte della direttiva europea 54 del 2006 – riguardante l’attuazione del principio delle pari opportunità e della parità di trattamento fra uomini e donne in materia di occupazione e impiego – che sono state recepite, ma senza budget, anche in Italia (con il decreto legislativo del 3 dicembre, in via di pubblicazione in Gazzetta Ufficiale). Dopo la “tirata d’orecchie” da Bruxelles, quindi – tecnicamente un richiamo formale per mancato recepimento, visto che il termine era il 15 agosto 2008,il Governo ha evitato in zona cesarini una messa in mora, con sanzioni (il termine ultimo era fissato per il 28 dicembre). Nella complessa fase di “traduzione” all’interno del nostro ordinamento – la bozza è dovuta passare al vaglio della Conferenza Stato regioni, poi alle Camere e infine al Consiglio dei ministri – il testo originale ha subito modifiche non sempre condivise dalle parti in causa. Prima di tutto, sebbene la direttiva preveda azioni positive, cioè iniziative specifiche per la promozione della parità sul lavoro, il Governo ha giudicato che «non comporta oneri» e non stanzierà quindi fondi dedicati alla sua implementazione. Per esempio, nell’articolo 1 (divieto di discriminazione e parità di trattamento) del decreto di recepimento (che modifica l’articolo 10, comma 1, del precedente dlgs dell’11 aprile del 2006, Codice delle pari opportunità tra uomo e donna) alla lettera i-ter il Governo si impegna a «provvede, anche attraverso la promozione di-azioni positive, alla rimozione degli ostacoli che limitino l’uguaglianza tra uomo e donna nella progressione professionale e di carriera, allo sviluppo di misure per il reinserimento della donna lavoratrice dopo la maternità, alla più ampia diffusione del part-time e degli altri strumenti di flessibilità a livello aziendale che consentano una migliore conciliazione tra vita lavorativa e impegni familiari». Tutte azioni che richiedono tempo e risorse. Altro punto fondamentale è la designazione di uno o più organismi indipendenti «per la promozione, l’analisi, il controllo e il sostegno della parità di trattamento (…) senza discriminazioni basate sul sesso».La bozza di recepimento italiane individua tali organismi nella consigliera nazionale di parità e nella rete dei consiglieri locali. Pur non negando l’utilità di queste figure, «bisogna sottolineare – spiega Emma Bonino – che non possono essere definiti indipendenti né terzi rispetto all’esecutivo (caratteristica tipica dei componenti delle Authority) i consiglieri che sono nominati (articolo 12 della bozza di recepimento) dal ministro del Lavoro di concerto con il ministro delle Pari opportunità. E che ad essi debbono riferire». Inoltre la procedura di nomina dei consiglieri «rimane sottolinea la vice-presidente del Senato del tutto opaca, limitandosi all’espletamento di una valutazione comparativa, laddove invece sarebbero opportune una piena trasparenza e l’introduzione di requisiti innovativi, simili a quelli recentemente deliberati da questo stesso governo in altre norme». La proposta della Bonino – formulata insieme a Fiorella Kostoris e Valeria Manieri – è quindi quella di creare un’Autorità indipendente, «con un budget non ampio ma adeguato al compito di combattere le secolari, perduranti e talora crescenti discriminazioni esistenti».

Il Sole 24 Ore, 21 dicembre 2009