lavoro, università | ricerca

«ISPRA. Vigilia di lotta anche per i ricercatori ambientali», di Sara Farolfi

Dal tetto di via Casalotti si vede nitidamente lo stato in cui versa la ricerca italiana. Ci sono saliti apposta su quel tetto, un mese esatto fa, i ricercatori dell’Istituto superiore per la protezione e la ricerca ambientale (Ispra), «perchè tutti sappiano che cosa si sta distruggendo». Si sono inventati di tutto, Marco, Michela, Andeka, Emma, Ivan e tutti gli altri che da un mese hanno fermato le loro vite, dottorati e matrimoni, contro «il terrore di essere invisibili». Hanno stampato magliette, realizzato un video, scritto lettere e stampato comunicati, mentre una webcam segue giorno dopo giorno la loro protesta (www.nonsparateallaricerca.org). Dentro al tendone che campeggia sul tetto hanno addobbato anche un piccolo albero di natale, anzi due, a quello classico ne hanno affiancato uno precario. Hanno raccolto la solidarietà del quartiere, ma non una parola da parte del ministero dell’ambiente di cui l’Ispra costituisce il supporto tecnico scientifico.
Anche questa è l’Italia. Un paese con 8 mila chilometri di coste che butta alle ortiche la ricerca sul mare (e non solo quella naturalmente). Un paese dove l’ente nazionale per la ricerca ambientale – l’Ispra appunto – viene costituito per decreto dal ministero dell’economia (mediante l’accorpamento, nel luglio 2008, di 3 enti preesistenti) e dopo un anno e mezzo è ancora commissariato e sprovvisto di uno statuto. Un paese dove tecnici e ricercatori sono costretti a salire su un tetto per farsi sentire.
Il tetto di via Casalotti è quello che sovrasta la vecchia sede dell’Icram, l’istituto per la ricerca sul mare che dal 2008 è parte dell’Ispra. I corridoi che si dipananano in mezzo ai laboratori sono deserti, e sono appena le sei del pomeriggio. Deserti i laboratori. Manca la corrente elettrica in alcuni punti, non c’è carta e mancano persino penne e pennarelli.
Nonostante lo stato di abbandono, è di qui che sono partiti alcuni ricercatori per raggiungere la Mareoceano, mentre al largo di Cetraro erano in corso le verifiche sulla nave dei veleni. Di qui sono partite nel 2006 anche una decina di ricercatori alla volta del Libano, in seguito al bombardamento di una centrale termoelettrica. Sono i ricercatori dell’Icram che elaborano, per gli enti locali, i modelli previsionali sulle coste della nostra penisola e partecipano ai tavoli ministeriali dove si decide come recepire le direttive europee. Sono loro che redigono i progetti di bonifica di diverse aree del paese (Priolo e Porto Marghera) e che seguono il monitoraggio di alcune attività industriali (piattaforme petrolifere e rigassificatori). Che forniscono i dati sulla pesca sostenibile e sulla maricoltura. Che studiano le mucillaggini e, tra gli ultimi progetti in ambito Nato, l’impatto degli ordigni bellici sui fondali marini al largo di Bari e Molfetta.
«Carta straccia, evidentemente», dicono dal tetto. Da un anno e mezzo, il declino pare irreversibile. Inaugurato da una «razionalizzazione» che ha avuto solo l’effetto di un’«iperburocratizzazione» delle procedure amministrative. Poi con la progressiva espulsione dei precari, che a bocce ferme, e cioè all’atto di costituzione dell’Ispra erano ben 618. Entro gennaio arriveranno a scadenza 200 contratti e senza interventi il numero dei ricercatori espulsi salirà a 450. Per questo nei laboratori di via Casalotti è in corso una desertificazione. Le postazioni sono vuote e le poche persone che si vedono in giro sono intente alla compilazione di bandi di ricerca presso altri istituti, in altri paesi.
Ma non si tratta di un problema economico. «Abbiamo già firmato convenzioni che permettono la copertura dei nostri contratti», spiegano. Nel dettaglio lo spiega un dossier elaborato dal sindacato Rdb. Dalla sua costituzione, l’Ispra ha visto una riduzione di risorse del 20% e ciò nonostante vanta, per il 2010, un bilancio previsionale di 126 milioni di euro a fronte di un contributo di 86 milioni. Stesso discorso per l’Icram, che nonostante un contributo ordinario di 6 milioni, era in grado di attrarre 40 milioni di euro di finanziamenti pubblici e privati. È per questo che i ricercatori chiedono, oltre alla riorganizzazione amministrativa che consenta all’istituto di riprendere le attività, anche il riconoscimento del lavoro subordinato e l’inserimento in pianta organica. «I soldi ci sono», E allora perchè buttare alle ortiche un tale patrimonio?
L’intenzione sembra quella di mettere fuori i precari e esternalizzare l’attività di ricerca. A infittire i sospetti, alcuni mesi, l’affidamento di alcuni incarichi di pertinenza Icram alla Sogesid, agenzia in house del ministero, nel cui consiglio di amministrazione siedono uomini della segreteria tecnica della ministra e il cui presidente è Vincenzo Assenza, è concittadino di Stefania Prestigiacomo. Mentre l’Ispra licenziava, la Sogesid assumeva personale. «Ma la ricerca e i controlli ambientali devono restare pubblici – è il messaggio che risuona dal tetto di via Casalotti – Se elimini chi fa i controlli, chi resta a farli: la fabbrica che inquina?».
dal Manifesto

1 Commento

    I commenti sono chiusi.