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“Il mondo da inventare”, di Mario Calabresi

Il cambiamento e le certezze lasciano il posto alle sorprese. Ogni neonato che verrà al mondo nella notte tra l’8 e il 9 aprile potrà vantare per tutta la vita di aver portato la popolazione del mondo a raggiungere quota sette miliardi. Lo sostiene il settimanale «Time» ma nessuno potrà dire con sicurezza se ciò accadrà davvero il prossimo anno o se dovremo aspettare il 2011. L’incertezza è la cifra del tempo che viviamo, una stagione della storia in cui la fede nel progresso e nel miglioramento del tenore di vita di ogni generazione è crollata.

Nessuno si azzarda a scommettere che la recessione sia finita davvero, la crisi superata e il futuro roseo, ma la storia ci rincuora raccontandoci che i cicli economici si alternano e i primi segnali di luce si cominciano a vedere. Finisce un decennio faticoso, cominciato con l’euforia dell’euro ma subito segnato dal crollo delle Torri Gemelle, dall’affermarsi del terrorismo islamico e dal dilagare della paura nelle società occidentali, concluso con la più grande distruzione di ricchezza e di lavoro dalla Seconda guerra mondiale. Abbiamo vissuto anni cupi, in cui è cambiato il nostro modo di vivere, viaggiare e relazionarci con gli altri, oggi non possiamo che sperare di tornare a respirare, a crescere e a costruire.

Il panorama che abbiamo davanti, superate le macerie di un crollo senza precedenti, sarà però sostanzialmente diverso da quello che eravamo abituati a conoscere: dopo aver parlato per anni della Cina come di una affascinante novità, ora dovremo prendere atto – come ci suggerisce l’«Economist» – che è diventata una nazione «indispensabile». Nel 2010 dovrebbe superare il Giappone come seconda economia mondiale e sarà cruciale per ogni decisione internazionale, dal commercio all’ambiente.

Anche le altre grandi economie «emergenti», dal Brasile all’India fino all’Indonesia, sono diventate una realtà: attori che hanno conquistato la scena mondiale e hanno sancito che il nuovo G20 conta ben più del G8, il vecchio club dei grandi della Terra. La geografia del pianeta è sconvolta, mentre il cuore dei consumi del lusso sarà sempre più Pechino e il calcio celebrerà il suo evento più importante in Africa, l’Europa dovrà fare i conti in fretta con la sua progressiva emarginazione. Non è più tempo per rendite di posizione e per coltivare antiche idee di grandezza, se non vogliamo scomparire dal tavolo delle decisioni più importanti – come è accaduto al vertice sul clima di Copenhagen – noi europei dobbiamo imparare a parlare con una voce sola. E i giovani del Vecchio Continente, dipinti come senza avvenire, vanno guidati verso i lavori del futuro: ingegneri innanzitutto, capaci di costruire le nuove «energie verdi».

Le bolle speculative che hanno distrutto l’economia e la finanza mondiale restano in agguato: il nuovo anno non può dimenticare nuove regole internazionali, così come la ripartenza richiederà di abbandonare la logica del breve termine per adottare una filosofia dello sguardo lungo, capace di programmare uno sviluppo graduale e sostenibile.

Sarà un anno cruciale per il presidente americano Barack Obama, che sarà costretto a far ripartire l’America e a dimostrare che il suo idealismo non è solo affascinante esercizio verbale ma può avere effetto sulla realtà. I suoi concittadini daranno il loro verdetto a novembre quando si rinnoveranno l’intero Congresso e un terzo del Senato. Dall’altra parte dell’Atlantico, in Gran Bretagna, alla fine della primavera potrebbe essere archiviata la lunga stagione laburista.

Gli italiani, «Popolo che vive in apnea, resiste ma non crea», secondo la definizione dell’Istat, saranno chiamati a votare alle elezioni regionali ma la vera scommessa sarà tirare fuori la testa dall’acqua. Questo 2009 è stato un anno di veleni, risse e rabbia, e anche se non si ha nessuna fiducia in un vero percorso di riforme è difficile immaginare che possa andare peggio. L’Italia perde peso nel mondo ma il nostro sistema continua a produrre eccellenze: alla premiazione del Nobel i fiori arrivavano da Sanremo e i nostri astronauti Vittori e Nespoli in autunno raggiungeranno la Stazione spaziale internazionale, che verrà completata con gli ultimi due moduli abitativi completamente progettati e costruiti in Italia. Si chiameranno Nodo 3 e Cupola, quest’ultimo servirà per alzare gli occhi e guardare le stelle: il migliore augurio per il nostro futuro.
La Stampa 24.12.09