politica italiana

“Quel falso federalismo che sta distruggendo l’Italia delle autonomie”, di Vittorio Emiliani

Con l’accetta, maneggiata dal ministro leghista Roberto Calderoli, del solito emendamento alla legge finanziaria si è inferto, da Roma, un taglio secco al numero dei consiglieri comunali, si sono decapitate le circoscrizioni e i difensori civici, si è rattrappita l’autonomia di ottomila Comuni. Anni di dibattito politico azzerati di colpo. L’alibi? Ridurre il costo della politica.
Risibile perché il “risparmio” è molto relativo, mentre ben altre economie si sarebbero potute ottenere agendo sui 945 parlamentari e su migliaia di consiglieri e assessori regionali. Molti dei quali pagati svariate migliaia di euro al mese. Contro i 19 euro lordi a riunione (una volta o due al mese) dei consiglieri dei Comuni minori e il costo minimo degli eletti nelle circoscrizioni il cui incarico poteva essere reso gratuito evitando di abolire lo stesso decentramento di quartiere. Alla faccia della partecipazione e dello spirito federale.

In realtà alla Lega Nord importa la secessione di intere regioni del Nord e non un’Italia federale poggiata sulle autonomie. Ma pure agli altri maggiori partiti poco sembra interessare il ruolo dei Comuni. Ho sentito in tv protestare vibratamente soltanto l’on. Bruno Tabacci, ex Udc oggi rutelliano, esponente dell’autonomismo cattolico. Gli stessi eredi del Pci, all’epoca sensibile al ruolo delle assemblee elettive, non hanno espresso dissensi molto avvertibili. Hanno reagito i piccoli gruppi, come i Verdi di Angelo Bonelli che ha accusato Pdl e Pd di voler “monopolizzare” i consigli comunali.

Logica coerente n effetti la riduzione del 20 per cento inferta dal centro al numero dei consiglieri (e di conseguenza degli assessori) inciderà pesantemente sulla pluralità della rappresentanza democratica: i consigli con 40 componenti, ad esempio, scenderanno a 32, quelli con 30 a 24, togliendo quasi ogni spazio ai gruppi minori (per lo più di sinistra) e alle liste locali, cioè a presenze che hanno spesso animato la vita politica locale. E’ il logico proseguimento, a livello comunale (le Province per ora ne sono fuori), della “porcata” calderoliana imposta nell’elezione di un Parlamento dal quale i piccoli gruppi sono assenti e i 945 presenti sono stati designati dai partiti e non più eletti col voto di preferenza.

Si poteva attendere di discutere la Carta delle Autonomie. Invece, dal centro e col rozzo strumento della legge finanziaria, si è dato uno schiaffo palese alle Regioni alle quali la Costituzione assegna la materia degli Enti locali. Per la quale, invero, poco e con poca creatività esse hanno fatto. Alcune hanno esteso fino al mare le Comunità Montane (oggi tutte con meno fondi) le quali invece svolgono un utile ruolo di aggregazione per i tanti micro-Comuni delle terre alte.

I “risparmi” in consiglieri (circa 35.000 posti) si avranno soprattutto in Lombardia e in Piemonte, nelle regioni cioè con la più alta polverizzazione municipale: la sola Lombardia conta 1.546 Comuni e quindi molte migliaia di consiglieri. Il Piemonte allinea oltre 1.200 torri municipali. E’ una secca riduzione dell’autonomia dei Comuni e delle stesse Regioni, e viene da lontano. Viene dalla legge che ha immesso nel sistema italiano, partendo dai “rami bassi”, una forma presidenzialista con l’elezione diretta dei sindaci e poi, via via, delle altre istituzioni. Ma così – si obietta – si è garantita stabilità alle amministrazioni. Certo, e però i consigli comunali sono stati declassati a pura cassa di risonanza. Prima disponevano di poteri a volte eccessivi. Oggi non contano quasi nulla.

Il caso Moratti Temi di primaria importanza non passano più dai consigli, ma sono semplici atti di giunta. Davanti alle telecamere di “Report”, il sindaco di Milano, Letizia Moratti, si è, in pratica, vantata di comparire in consiglio comunale tre volte l’anno e di non rispondere, di fatto, ad un centinaio di interrogazioni consiliari.

Anni fa sarebbe successo il finimondo. Non a caso, allora, le sedute erano spesso affollate di cittadini. Oggi che senso avrebbe? Con la riduzione del 20 per cento dei consiglieri, si rattrappirà l’arco stesso della rappresentanza, si spegneranno ulteriormente il dibattito e l’interesse dei cittadini. Aboliti nelle città piccole e medie i consigli circoscrizionali, abolito i difensori civici, la partecipazione democratica dal basso sarà un ricordo lontano: di quando la sinistra dc si batteva per essa con forza, il Partito socialista, con Aldo Aniasi e Carlo Tognoli, parlava di Repubblica delle Autonomie e il Partito comunista portava ad esempio di democrazia le assemblee elettive locali. Tutto questo con una Lega Nord che dovrebbe essere federalista e che invece ha lasciato scippare ai Comuni l’Ici (compensata solo in parte dal centro), ed ora, sempre da Roma, li spoglia di un altro pezzo di autonomia decisionale.
Al Pd vien da chiedere: non sarebbe stato “alternativo” differenziarsi a fondo da questo governo-azienda che devitalizza la democrazia a colpi di commissariamenti straordinari e di finanziarie penalizzanti per le rappresentanze di base?
L’Unità 28.12.09

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Diktat del governo ai Comuni: meno soldi per i consiglieri, di Bianca Di Giovanni

La Finanziaria «light» è diventata pesantissima per tutte le amministrazioni locali, quelle più vicine ai cittadini: Comuni, Province e Comunità montane. Con un blitz inaspettato, Roberto Calderoli ha infilato sei commi che piombano come un tagliaerbe su consiglieri, assessori, figure di riferimento per gli abitanti, circoscrizioni e finanziamenti degli enti. I risparmi sono risibili, gli effetti potrebbero essere devastanti per molte comunità locali e soprattutto per i diritti di cittadinanza.

Una mossa a sorpresa, soprattutto perché l’intera materia era contenuta nel Codice delle Autonomie, varato dal governo in pompa magna a novembre e mai calendarizzato in Parlamento. Si tratta di un capitolo importante per arrivare al federalismo tanto sbandierato dalla Lega, perché quel testo definisce le diverse funzioni degli enti.

Le opposizioni e le amministrazioni locali erano pronte a collaborare con il governo (a proposito di riforme condivise), tanto che anche sul testo del federalismo ci fu l’astensione del Pd. Ma l’esecutivo ha scelto la strada dell’atto d’imperio (dicendo no anche a un ordine del giorno delle opposizioni che chiedeva la calendarizzazione immediata del Codice), provocando una reazione durissima delle associazioni delle amministrazioni. Anci, Legautonomie, Uncem hanno sospeso i tavoli istituzionali con il governo. Lo stesso Calderoli, che fino a ieri era considerato un affidabile punto di riferimento, è stato oggetto di pesanti critiche anche da parte dei sindaci della Lega.

Le norme Cosa è accaduto? Partiamo dalle disposizioni. Il primo comma in questione taglia i trasferimenti del cosiddetto fondo ordinario per il finanziamento dei bilanci degli enti. I risparmi previsti (da Comuni e Province) sono di 13 milioni per il 2010; 91 milioni per il 2011 e 125 milioni per il 2012. Un totale di 216 milioni in tre anni. Su una manovra complessiva di 9 miliardi non sembra un gran risparmio. Ma per alcuni Comuni è una mannaia.

Il taglio procede di anno in anno, in base ai rinnovi dei consigli: solo le amministrazioni che vanno al voto nel triennio sono interessate dalla sforbiciata. Da quei tagli discende poi la diminuzione dei consiglieri comunali e provinciali del 20%, che si porta dietro quella degli assessori. Questi ultimi, infatti non possono superare un quarto del numero dei consiglieri comunali e un quinto di quelli provinciali. Per i Comuni fino a 3mila abitanti si prevede che il sindaco possa delegare due consiglieri a svolgere il ruolo degli assessori. Insomma, il governo centrale scavalca di fatto l’autonomia locale, decidendo da Roma quello che finora veniva disposto negli statuti locali. Il tutto accompagnato da un consistente taglio alla rappresentanza: le città superiori al milione di abitanti perdono 13 seggi in consiglio. Il comma successivo prevede l’«obbligo» (non l’invito) di sopprimere il difensore civico, le circoscrizioni, il direttore generale dei Comuni, i consorzi di funzioni tra gli enti locali.

Se il taglio per Comuni e Province è determinato al momento di nuove elezioni, per le Comunità montane è già operativo: con l’entrata in vigore della manovra (primo gennaio) lo Stato smette di finanziarle. Saltano così 50 milioni nel 2010. Restano in piedi i finanziamenti regionali, ma sarà difficile farle continuare a vivere. Il 30% delle risorse risparmiate sarà «girato» ai Comuni montani.

Gli effetti Cosa accade da ora in poi? Nel 2010 saranno 1025 i Comuni chiamati al rinnovo dei consigli, che quindi saranno obbligati a seguire le nuove norme. Si tratta per lo più di Comuni medio-piccoli. L’anno dopo le amministrazioni al voto sono 1.211 e quello successivo 856. L’ultima tornata, quella del 2012, sarà però la più pesante, visto che sono coinvolte città grandi come Milano, Torino e Napoli. Resta il dilemma sulle città che andranno al rinnovo nel 2013, tra cui compare Roma. A leggere il testo, le disposizio ni dovrebbero valere per il solo triennio 2010-12. Ma è possibile avere cittadini meno rappresentati di altri nello stesso territorio nazionale? Insomma, è un pasticcio servito solo a fare propaganda spicciola sui costi della politica.
L’Unità 28.12.09

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