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Scommettere sui diritti "postmateriali", di Edmondo Berselli

Non c´è davanti a noi soltanto il 2010. Ci sono tutti gli anni del decennio. Perché la domanda è questa: come esce dalla crisi economica l´Italia? Una ricerca della Banca d´Italia ha mostrato un calo della produzione industriale equivalente a cento trimestri persi. Il che significa che per uscire dalla recessione occorreranno otto-nove anni di tempo. Questo avrà conseguenze significative sulla politica. Occorrerà trovare formule per stimolare i consumi, perché la crisi attuale è una crisi soprattutto di domanda (le famiglie hanno meno risorse). Ma soprattutto ci sarà la necessità di una filosofia. Si può partire dalla situazione economica, aderendo a una concezione classica e a suo modo “materialista” della società. Oppure scommettere su una sfera diversa, “postmateriale”, che comincia con i diritti.
È un argomento difficile nel nostro paese, perché fortemente ideologizzato. Implica due nozioni opposte della modernizzazione. Una destra populista oppure un gaullismo con il senso dello Stato. Tutto ciò che riguarda la bioetica, per esempio, dalla fecondazione assistita al testamento biologico, incontra una divisione fra destra e sinistra; senza dire che la presenza e l´attivismo della Chiesa influenzano direttamente le scelte politiche su questo terreno. Ma quando si parla di diritti è bene non dimenticare contesti più classici, riferiti all´occupazione. Anche questi sottoposti a tensioni politiche. Perché i diritti del lavoro sono cambiati e cambieranno ancora in seguito alle trasformazioni del mercato. La flessibilità si è modificata in precarietà, con ripercussioni ingenti su ampie quote di lavoratori (due milioni di disoccupati, più mezzo milione di persone in cassa integrazione, situazione critica soprattutto al Sud: ecco una nuova questione meridionale). Per queste tipologie di lavoro, sottoposte a crisi occupazionali molto più forti rispetto ai lavoratori “garantiti”, non esistono, se non in minima parte, garanzie e sostegni sul piano del reddito. Il risultato, come ha illustrato Tito Boeri, è disarmante: sono andati persi 265 mila lavori a termine, 100 mila collaborazioni, 385 mila lavori autonomi.
Ecco dunque l´urgenza di un nuovo sistema di welfare. Tanto più che la stessa struttura produttiva italiana dovrà cambiare profondamente. Ora infatti la nostra quota di manifatturiero si aggira sul 20 per cento del Pil, ed è probabile che debba ridimensionarsi e anche trasformarsi. Riconvertirsi ad esempio nei settori dell´economia ecosostenibile, nella valorizzazione del patrimonio eno-gastronomico, nell´intrattenimento, nel turismo, nelle nuove forme di informazione.
In sostanza: ci sarà un´Italia pesante e un´Italia leggera. Farle convivere è il compito per un futuro che recuperi la via dello sviluppo.
La Repubblica 31.12.09