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"Ronde, tanto rumore per nulla", di Fabio Poletti

Molti gli annunci, ma nelle prefetture da Milano a Trieste non arrivano le domande. L’unica ronda visibile a Milano per ora, è quella di «Porta Volta»: Aldo, Giovanni e Giacomo con basco, gonnellino kilt e carriola, che impazzano alla tv da Fabio Fazio. In Prefettura è arrivata una sola domanda, quella dei poliziotti in pensione riuniti nell’Api, a libro paga di Palazzo Marino per controllare scuole e parchi. Presto ne arriverà un’altra dell’associazione «Milano più sicura», l’ex ronda di militanti leghisti di via Crema e piazza Trento che, smessa la casacca verde come impone la legge firmata dal ministro dell’Interno Maroni, si presenta con nuovi colori ma con la stessa testa. Sarà perchè non se ne parla più, sarà perchè gli indici della criminalità sono in discesa, sarà pure perchè le regole per molti sono troppo restrittive, malgrado mille annunci e mille aspettative le ronde di mezzanotte fanno fatica a decollare.

Gli ottomila cittadini delle ronde, di cui parlava dieci anni fa il parlamentare della Lega Mario Borghezio sembrano un miraggio. Se si esclude Bari dove sono resistiti per un mese i controlli anti bulli, il fenomeno piace soprattutto al Nord. Da Cuneo a Trieste non c’è comune che non avesse la sua ronda. Ma è difficile che resistano ai paletti imposti dalla legge che vieta simboli di partito, figuriamoci le divise paramilitari delle ronde nere della Guardia Nazionale Italiana o i Berretti blu legati all’Msi che si vedevano in giro per Milano fino a qualche tempo fa. Il sindaco Letizia Moratti che sulla sicurezza ha sempre puntato molto, non ha mai nascosto la necessità di avere regole precise: «Le ronde non devono essere la giustizia fai-da-te di singoli cittadini».

Eppure dove a Milano sono nate negli Anni Novanta, c’è anche chi inizia ad avere qualche ripensamento. Giovanni De Nicola, consigliere provinciale del Pdl, un tempo alla testa del «Fronte dei cittadini», si chiede che senso abbia fare le ronde oggi: «Se non sono davvero manifestazioni spontanee di cittadini sono inutili. Quando le facevamo noi era un modo per dimostrare che avevamo il controllo del teritorio, dei nostri quartieri. Oggi la polizia e l’esercito presente in città, fanno di più e fanno pure meglio». Che la sicurezza non sia più una prerogativa della destra o della sinistra lo sanno tutti. Ma il rischio che sulle ronde i partiti si giochino la visibilità è alto.

Davide Boni assessore leghista al Territorio in Lombardia schiaccia sull’acceleratore: «Sarebbe assurdo escludere qualcuno perchè vota un partito. Non è questo lo spirito della legge». Alessandro Morelli, consigliere di zona 5 e animatore di «Milano più sicura» promette che non ci saranno escamotage: «In strada non ci saranno nostri militanti». Max Bastoni, uno dei responsabili dei Volontari Verdi, giura di voler rispettare la legge ma storce il naso: «Sono stati i nostri alleati di governo a non volere le ronde di prima. Temevano che noi diventassimo troppo forti. Ma è chiaro che quando si parla di sicurezza si parla di politica.

E la Lega, tra tutti, è quella che da sempre si occupa di più di certi temi. Noi non vogliamo in strada “giustizieri della notte”. Ma la gente vuole una risposta concreta alla domanda di sicurezza». Chi di sicuro non ci sta anche se viene sempre tirata in ballo, talvolta a sproposito, è l’associazione dei City Angels. Il suo presidente Mario Furlan è più che categorico: «Noi non presenteremo alcuna domanda. Le ronde servono solo se hanno una funzione sociale, aiutare chi è per strada, non solo per la sicurezza. Giocarsela tra sigle politiche come stanno facendo, non serve».
La Stampa 05.01.10