attualità, economia

"Lo scudo mediatico", di Maria Cecilia Guerra

L’operazione scudo fiscale è stata gestita da un punto di vista mediatico con grande abilità. Focalizzando l’attenzione su un messaggio positivo: il rientro di quasi 95 miliardi, presentato come un segno di fiducia nell’Italia e nella forza della sua economia. Un’informazione però fuorviante. Perché non tutti i capitali sono effettivamente tornati nel nostro paese. E in ogni caso non si può dare per scontato che verranno investiti in Italia. Quanto al gettito, accertamenti con le nuove norme antievasione avrebbero quasi sicuramente garantito maggiori entrate.

L’operazione scudo fiscale è stata gestita da un punto di vista mediatico con grande abilità. Con il comunicato n. 202 del ministero dell’Economia e delle Finanze del 29 dicembre si è raggiunto sicuramente l’apice. Il comunicato, ripreso testualmente da quasi tutte le testate nazionali, è divisibile in due parti (riportate in corsivo in quanto segue) che è utile commentare separatamente.

PRIMA PARTE: I “RIMPATRI EFFETTIVI IN ITALIA”

95 e 98. È con questi due numeri che si può sintetizzare in un primo bilancio l’operazione “Rimpatrio dei capitali in Italia”. 95 miliardi di euro (pari a 190.000 miliardi di vecchie lire) è il volume delle operazioni. Su questo volume, il 98 per cento è fatto da rimpatri effettivi in Italia.
Sono numeri che marcano uno straordinario successo, segno di forza della nostra economia e di fiducia nell’Italia.
Lo scudo non viene presentato come un successo dal punto di vista del gettito che ha prodotto. Si evita quindi il rischio di sollecitare un atteggiamento di rassegnazione, se non ancora più negativo, rinfrescando il ricordo che si è fatto ricorso all’ennesimo condono fiscale per gli evasori più sofisticati, perdonando anche reati penali gravi, pur di ottenere soldi con cui sostenere le finanze pubbliche in difficoltà.
L’attenzione del lettore è invece focalizzata su un messaggio positivo: sono rimpatriati quasi 95 miliardi (e per fare più effetto, a ormai dieci anni dall’entrata in vigore dell’euro, lo si dice anche in lire: 190mila miliardi di vecchie lire). E sono rientrati non per beneficiare di un regalo fiscale senza paragoni a livello internazionale, ma perché finalmente si ha fiducia nell’Italia e nella forza della sua economia.
L’informazione che viene trasmessa, formalmente corretta, è in realtà fortemente fuorviante. Il lettore è infatti indotto a credere che, poiché il 98 per cento delle operazioni riguarda rimpatri effettivi, 95 miliardi di euro sono rientrati in Italia. Ma non è affatto così.
Le modalità attraverso cui aderire allo scudo fiscale, regolarizzazione e rimpatrio, sono infatti tre.
1) La regolarizzazione, con cui si permette di mantenere all’estero il denaro e le altre attività per le quali si era violato l’obbligo del monitoraggio (evitando quindi la tassazione dei rendimenti in Italia). È consentita solo nel caso in cui le attività siano detenute in paesi dell’Unione Europea, nonché in paesi che consentono un effettivo scambio di informazioni in via amministrativa. Ne sono quindi escluse sia la Svizzera sia San Marino. È una modalità poco gradita perché non garantisce l’anonimato.
2) Il rimpatrio, che si distingue in:
2a) rimpatrio vero e proprio: i capitali vengono fisicamente depositati presso un intermediario abilitato italiano.
2b) rimpatrio giuridico: un intermediario abilitato residente in Italia assume formalmente in custodia, deposito, amministrazione o gestione il denaro e le attività finanziarie detenute all’estero, senza che si proceda al materiale trasferimento delle stesse nel territorio dello Stato. (1)
Quanti dei “rimpatri effettivi” citati dal Mef sono in realtà solo rimpatri giuridici? Al momento non si può saperlo: l’unica informazione di cui il ministero può disporre riguarda infatti quella relativa al versamento dell’imposta sostitutiva, che avviene secondo due soli “codici tributo”, l’uno relativo ai rimpatri (complessivamente intesi) l’altro alle regolarizzazioni.
È però improbabile che i quasi 95 miliardi siano tutti rientrati in Italia. Per quanto riguarda la Svizzera, paese dal quale provengono la maggior parte di capitali “rimpatriati”, Claudio Generali , presidente dell’Associazione bancaria ticinese (Abt), stimava che per il Ticino la percentuale di rimpatri giuridici si collocasse tra un terzo e la metà del totale delle attività scudate. I dati dettagliati, in cui opportunamente si distingue fra “rimpatri con liquidazione” (e cioè rimpatri veri e propri) da un lato e “regolarizzazioni e rimpatri senza liquidazione” (e cioè regolarizzazioni e rimpatri giuridici) dall’altro, sono raccolti da Banca d’Italia, per finalità statistiche riguardanti la compilazione della bilancia dei pagamenti e degli altri indicatori monetari e finanziari per l’analisi economica. È dall’analisi dell’andamento della bilancia dei pagamenti e di questi indicatori, quindi, che si potrà valutare, a partire dai prossimi mesi, il successo dello scudo sotto il profilo degli effettivi rientri di capitale.
Il comunicato del ministero sembra poi dare per scontato che i capitali rimpatriati verranno investiti in Italia (“forza della nostra economia”, “fiducia nell’Italia”). Ma è davvero così? Come ci ricorda l’Agenzia delle Entrate con la circolare n. 43 del 10 ottobre, “Le attività, una volta rimpatriate, possono essere destinate a qualunque finalità e quindi essere riallocate anche all’estero nel rispetto delle disposizioni relative al monitoraggio fiscale e valutario”. Nel 2002, come si evince dai dati sulla bilancia dei pagamenti, la riallocazione all’estero è stata, con tutta probabilità, la destinazione prioritaria dei capitali che hanno beneficiato dei precedenti scudi. Senza contare che anche per i capitali che restano in Italia la destinazione a scopi produttivi non è assolutamente garantita.

SECONDA PARTE: ULTIMO E DEFINITIVO TERMINE DI RIAPERTURA

E anche di intelligenza. L’impegno dei principali paesi del G20 è infatti nel senso che: “Il tempo dei paradisi fiscali è finito per sempre”. Portare o tenere i soldi nei paradisi fiscali non conviene più, né economicamente né fiscalmente. Il rendimento è minimo, il rischio è massimo.
Il termine di riapertura delle operazioni di rimpatrio con maggiorazioni di aliquota ad aprile 2010 è ultimo e definitivo. L’alternativa in tutti i paesi G20 è costituita solo dall’applicazione delle nuove e molto efficaci norme antievasione”.
La seconda parte del comunicato è palesemente finalizzata a incentivare nuove adesioni allo scudo fiscale, dopo la riapertura dei termini: ultima occasione!
Tre brevi osservazioni sul punto.
a) La minaccia è stata ripetuta con analoghe parole scudo dopo scudo, riapertura dei termini dopo riapertura dei termini: la si può ritenere davvero credibile?
b) L’impegno dell’Ocse e dei G20 è stato effettivo. Paradisi fiscali non ne esistono praticamene più: tutti i paesi monitorati dal Global Forum hanno aderito o si sono impegnati ad aderire nel prossimo futuro agli standard fiscali internazionali, che richiedono fondamentalmente una cooperazione amministrativa, e cioè la disponibilità a fornire informazioni, su richiesta, relativamente a indagini su singoli presunti evasori fiscali che siano state intraprese nel paesi di residenza degli stessi. Lo scambio è disciplinato dalle convenzioni bilaterali contro la doppia tassazione, opportunamente aggiornate attraverso appositi accordi (Tieas, Tax information exchange agreement). Quanti dei 120 Tieas firmati dopo il primo novembre 2008, a tale scopo, vedono coinvolta l’Italia? Nessuno. E questo contro i dodici firmati dalla Francia e i cinque dalla Germania, ad esempio. (2)
c) Nel corso di questa legislatura sono state varate alcune misure che possono rivelarsi utili nel contrasto all’evasione fiscale internazionale. Particolarmente importante è quella che introduce l’inversione dell’onere della prova: se un contribuente viene scoperto con capitali detenuti all’estero in violazione delle nome sul monitoraggio, si presume che tali capitali siano frutto di evasione fiscale, salvo prova contraria. Per scoprire i capitali detenuti all’estero è però cruciale lo scambio di informazioni… e si ritorna quindi alle osservazioni del punto precedente.
Nel complesso, come è stato sottolineato altre volte, siccome solo l’Italia prevede un vero scudo fiscale, e cioè solo l’Italia sana, oltre all’evasione delle imposte sugli interessi relativi ai capitali illegalmente detenuti all’estero, anche l’evasione delle imposte sui redditi che sono stati portati (o prodotti) all’estero e sono divenuti poi capitali scudati, la poca credibilità dell’affermazione contenuta nella seconda parte del comunicato è presto svelata. Infatti, delle due l’una: o le nuove norme antievasione non costituiscono una seria minaccia, oppure si crede davvero che esse permettano di scovare e colpire severamente l’evasione. In questo secondo caso, però, sanare i reati tributari e non fare pagare nessuna imposta, sanzione e interesse per le imposte evase sui capitali che sono detenuti illegalmente all’estero, e per i quali sono ancora possibili gli accertamenti, significa accettare una perdita di gettito. Infatti, il periodo valido per gli accertamenti nel nostro paese è di cinque anni e se grazie alle nuove norme antievasione anche solo il 10 per cento dei 95 miliardi di euro scudati fossero stati scoperti dalla Guardia di Finanza o dall’Agenzia delle Entrate nell’ambito della loro normale attività di accertamento, il gettito recuperato sarebbe stato presumibilmente molto maggiore di quello prodotto dallo scudo. (3)

(1) Si parla ugualmente di “rimpatrio” perché in forza dell’incarico ricevuto l’intermediario residente in Italia assume tutti i compiti rilevanti ai fini degli adempimenti tributari (applicazione delle ritenute e delle imposte sostitutive e comunicazioni all’amministrazione finanziaria dei redditi soggetti a ritenuta a titolo d’acconto) che sono previsti dalla normativa italiana indipendentemente dal luogo di effettivo deposito delle attività.
(2) Per un aggiornamento completo sull’attività di contrasto condotto dall’Ocse e dal G20 ai paradisi fiscali si veda: http://www.oecd.org/dataoecd/32/45/43757434.pdf
(3) Le imposte evase possono essere infatti ragionevolmente stimate attorno al 43 per cento, a cui vanno aggiunti sanzioni e interessi.