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"Ius soli" cade il tabù, di Michele Ainis

La prima riforma degli Anni Dieci non ha il timbro della legge, né tantomeno della legge costituzionale. Viaggia su una vettura più dimessa, più modesta: la circolare ministeriale. Quella con cui il ministro Gelmini ha comunicato ai presidi che il tetto del 30% di alunni stranieri nelle classi non riguarda tutti gli stranieri. Non riguarda, più in particolare, gli stranieri nati qui. Che dunque da oggi sono un po’ meno estranei alla terra su cui hanno spalancato il loro primo sguardo, o meglio sono diventati un po’ italiani. Una novità a ventiquattro carati: è la prima applicazione dello ius soli in un ordinamento che continua ad essere improntato allo ius sanguinis.

Rispetto al fatto nuovo, non è poi così importante interrogarsi sulle ragioni che lo hanno generato. Può darsi che un tetto rigido, senza compromessi né eccezioni, avrebbe svuotato troppe scuole, dato che i figli degli immigrati sono maggioranza in varie aree del Paese. Può darsi che una riforma per via legislativa s’infrangerebbe contro l’altolà di Bossi e della Lega, e quindi meglio scavalcare il Parlamento. O infine può darsi che in Italia le uniche riforme si facciano sottovoce: non abbiamo forse battezzato l’elezione diretta del presidente del Consiglio senza scomodare la Costituzione, limitandoci a cambiare la scheda elettorale?

Ma il fatto nuovo è figlio a propria volta della nuova società in cui siamo immersi mani e piedi. Nel 2007 gli stranieri iscritti nei registri anagrafici sono cresciuti di 460 mila unità, più dell’anno prima, e dell’anno prima ancora. Questi stranieri hanno dato alla luce 64 mila bambini, il 90% in più rispetto al 2001. E tutti loro – i padri e i figli – sono ormai 4 milioni, solo a contare gli immigrati regolari. Sennonché questi immigrati restano stranieri nella loro nuova Patria: nel 2005 gli abbiamo concesso 19.266 cittadinanze, un terzo rispetto alla Spagna, un decimo rispetto alla Germania, un grammo di polvere rispetto alle 154.827 cittadinanze elargite quello stesso anno dalla Francia.

Possiamo allora accompagnare con un viatico questa circolare? Il viatico è al contempo una speranza, quella d’abitare in un Paese dove le riforme siano proclamate a tutto tondo, senza sotterfugi normativi. Dove la legge del 1992 sulla cittadinanza venga corretta per adeguarla ai nuovi tempi: oggi servono 10 anni (ma in realtà non meno di 13), la proposta bipartisan Sarubbi-Granata (pendente dal 30 luglio in Parlamento, e sottoscritta da 50 deputati di ogni gruppo, a eccezione della Lega) dimezza questo termine. E trasforma inoltre la cittadinanza italiana in un diritto, anziché in una graziosa concessione delle autorità amministrative. Con un giuramento e con un esame d’italiano, perché non c’è diritto senza l’adempimento d’un dovere. Ma in un tempo certo e ragionevole, che diventa automatismo per i figli degli immigrati residenti da 5 anni. Non è buonismo: specialmente dopo i fatti di Rosarno, è un esercizio di realismo.

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Gelmini: «Gli stranieri nati in Italia esclusi dal tetto del 30% per classe», di ALESSANDRA MIGLIOZZI
Il tetto alle presenze di alunni stranieri in classe (30%) non riguarderà gli studenti che, pur avendo genitori non italiani, sono nati nel nostro paese. Ragazzini che, spesso, parlano l’italiano come se fosse la loro lingua madre. Lo ha precisato il ministro dell’Istruzione Mariastella Gelmini intervenendo ieri a ”In mezz’ora”, il programma su Rai Tre di Lucia Annunziata. Critico il deputato del Pd Andrea Sarubbi, primo firmatario della proposta di legge bipartisan sulla riforma della cittadinanza: «Questo significa riconoscere di fatto che chi è nato da noi e frequenta le nostre scuole deve essere considerato italiano al pari dei propri compagni di classe, a prescindere dal colore della pelle o del suono esotico del proprio cognome».
In tv il ministro Gelmini ha offerto così un chiarimento a quanti avevano sollevato dubbi su quali bambini considerare davvero stranieri, visto che in molti usano correntemente ormai, oltre all’italiano, anche le inflessioni dialettali della città in cui vivono. I bambini immigrati tra i banchi quest’anno sono 628.937, di questi oltre 233mila, il 35%, sono nati da noi, si tratta delle cosiddette seconde generazioni. Secondo il rapporto sull’immigrazione Caritas/Migrantes la maggior parte dei migranti nati in Italia, il 73,3%, sono concentrati nella scuola dell’infanzia, il 45% va alla primaria. Sono invece 63mila circa (il 10%) i bambini arrivati in Italia quest’anno, lo zoccolo duro dell’apprendimento, quelli che non parlano la nostra lingua e che, dunque, dovranno essere coinvolti nel tetto introdotto dalla Gelmini. In tutto gli alunni di cui si dovrà tenere conto per applicare la norma saranno, dunque, circa 400mila. Almeno tenendo conto dei numeri attuali. Bisognerà poi vedere quante nuove iscrizioni ci saranno per il prossimo anno scolastico. Ogni anno ci sono, in media tra i 50 e i 60mila nuovi iscritti di origini non italiane. Il ministro ieri ha offerto anche altri chiarimenti rispetto alla circolare che introduce la “quota” massima di stranieri accettabili in ciascuna classe. «Cosa accadrà in quelle aule dove ci saranno domande in eccesso rispetto al tetto? Si dovranno negare le iscrizioni?», avevano domandato, a caldo, i presidi. Gli studenti stranieri in eccesso potranno essere trasferiti da un plesso scolastico all’altro. In pratica se una scuola, come ad esempio la Pisacane di Roma, dove le presenze di immigrati sfiorano il 90%, avrà numeri ingestibili potrà trovare un accordo con gli istituti vicini dello stesso grado per smistare gli alunni. Il Ministero sta pensando ad accordi da prendere con gli enti locali per gli spostamenti logistici che, comunque, «saranno brevi», al massimo da quartiere a quartiere. E non dovranno «pesare sulle famiglie». Il ruolo di Comuni, Province e Regioni sarà strategico, dunque, per gestire i casi più critici, che si riscontrano soprattutto in realtà come Roma, Milano, Prato. Il ministro, comunque, ha assicurato che la problematica riguarderà un numero ridotto di scuole. Al ministero hanno già fatto i conti: le istituzioni scolastiche con più del 30% di alunni stranieri sono 490, concentrate soprattutto al Nord. Per integrare gli alunni stranieri sono stati già stanziati 20 milioni di euro destinati alle classi d’inserimento.
Il Messaggero 11.01.10

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“Ma nelle classi lo ius soli c’è già di fatto”, intervista ad Andrea Sarubbi
Andrea Sarubbi, deputato del Pd e primo firmatario della legge bipartisan sulla riforma della cittadinanza di stranieri e problemi di immigrazione si occupa da tempo e del riconoscimento dell’italianità dei minori ha fatto una sua battaglia. Ieri dopo aver sentito la precisazione del ministro dell’Istruzione Mariastella Gelmini a proposito del tetto per gli studenti stranieri nelle scuole è stato l’unico deputato dell’opposizione a mostrarsi entusiasta.

Forse c’era dell’ironia nel suo entusiasmo.

«Ma no, accolgo con vero piacere la conversione allo ius soli del ministro Gelmini. Escludere dal tetto del 30% gli studenti stranieri nati in Italia significa riconoscere di fatto che chi è nato da noi e frequenta le nostre scuole deve essere considerato italiano al pari dei propri compagni di classe, a prescindere dal colore della pelle o del suono esotico del proprio cognome».

Il ministero ne fa una questione didattica. Sostiene che chi conosce l’italiano non farà parte del tetto perché non creerà problemi in classe agli altri alunni.

«Il ministero prende atto che chi è nato in Italia è di una specie diversa. La questione didattica mi sembra marginale. Quello che conta è l’alfabetizzazione. Se si arriva in Italia a tre anni o si nasce qui, si imparerà l’italiano senza alcun problema a scuola. Ne conosco moltissimi di casi di bambini in grado di parlare un perfetto italiano e anche il dialetto pur essendo arrivati a tre-quattro-cinque anni ma avendo frequentato poi le scuole in Italia».

Le parole del ministro potranno diventare una base per successivi riconoscimenti?

«Le parole di un ministro non hanno mai costituito un precedente anche se in Italia a volte le dichiarazioni hanno più importanza delle leggi stesse. E’ chiaro che nel dibattito politico userò queste parole. E’ impossibile pensare che queste posizioni, per coerenza, non si rifletteranno nel dibattito sulla riforma della cittadinanza che avrà luogo alla riapertura dei lavori parlamentari. Come sosteniamo da tempo, e come dimostra anche la nota del ministero, lo ius soli esiste già di fatto nelle nostre scuole. Il Parlamento non può non prenderne atto».

Ma ci sono alcune scuole che hanno il 90% di immigrati. Secondo lei è un problema?

«Dipende dalle situazioni singole, non dalla cifra. Sono d’accordo sul fatto che si debba salvaguardare il diritto degli alunni italiani di studiare a scuola ma non penso che il tetto sia la risposta giusta. Anche perché non si sa che fine farebbero quelli che superano la soglia. E’ evidente che siamo di fronte a uno spot pubblicitario e che poi nella realtà ogni dirigente scolastico si regolerà per conto proprio appellandosi alla conoscenza più o meno adeguata dell’italiano da parte degli alunni stranieri della sua scuola».

La vicenda di Rosarno ha animato il dibattito politico e ora si vorrebbe tornare indietro rispetto al vostro progetto di riforma sulla cittadinanza.

«Il progetto di legge non si tocca, questo è evidente. La vicenda di Rosarno non ha nulla a che vedere con la cittadinanza, è un problema del tutto diverso. La maggioranza vorrebbe tornare ad esaminare la riforma in commissione. A noi sta anche bene questo passo indietro se serve a liberarci dalla pressione delle elezioni regionali. Sia chiaro però che dopo la legge dovrà essere discussa e approvata senza altri ritardi. E sia chiaro che la questione minori è voluta dall’opposizione ma che all’interno della maggioranza è un nervo scoperto. C’è una profonda spaccatura. Il Pdl dovrà dimostrare di essere un partito vero, e non subalterno della Lega».
La Stampa 11.01.10