partito democratico, politica italiana

Mezzogiorno, governo battuto alla Camera da mozione PD

Il Governo è stato battuto alla Camera nelle votazioni sulle mozioni per l’occupazione nel Mezzogiorno.
L’aula ha approvato la parte del documento presentato dal Pd su cui l’esecutivo, con il sottosegretario al Welfare Pasquale Viespoli, aveva dato parere negativo. L’Assemblea di Montecitorio ha approvato la mozione del Pd con 269 voti a favore e 257 contrari.
“E’ merce rara mettere sotto il governo e non volevo far mancare il mio contributo, ma è da capire come questo sia possibile, con una margine in più di 80 – 90 parlamentari , andare sotto alla Camera”. Questo è stato il primo commento del presidente dei deputati del Pd, Dario Franceschini. “D’altra parte il ricorso continuo alla fiducia serve proprio a questo, usare un meccanismo coercitivo oppure la maggioranza fa acqua”.

“È la trentacinquesima volta che il Governo viene battuto alla Camera”, ha aggiunto il segretario d’Aula del gruppo democratico, Erminio Quartiani. “Quella di oggi è una doppia bocciatura per l’esecutivo perché non solo è la dimostrazione che la maggioranza è sempre più debole, l’Mpa ha votato contro e più di un quarto di deputati del Pdl era assente dimostrando, ancora una volta, disinteresse per i lavori delle Camere, ma anche perché è la netta bocciatura dell’azione del Governo nel mezzogiorno e del continuo scippo dei fondi Fas al Sud da parte del Ministro Tremonti. Adesso – ha concluso Quartiani – il Governo dovrà reintegrare rapidamente le risorse impegnate del Fondo per le aree sottoutilizzate per destinarle a un programma mirato al rilancio del tessuto produttivo e dei livelli occupazionali del mezzogiorno”.
www.partitodemocratico.it

******
di seguito la mozione
Mozione 1-00300 presentata da SERGIO ANTONIO D’ANTONI
La Camera,

premesso che:

la Costituzione italiana sancisce che «L’Italia è una Repubblica democratica, fondata sul lavoro» (articolo 1), che «tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono eguali davanti alla legge, senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali» (articolo 3), che la Repubblica «riconosce a tutti i cittadini il diritto al lavoro e promuove le condizioni che rendono effettivo questo diritto» (articolo 4), che lo Stato cura «la formazione e l’elevazione professionale dei lavoratori» (articolo 35), i quali hanno diritto ad una retribuzione «in ogni caso sufficiente ad assicurare a sé e alla famiglia un’esistenza libera e dignitosa» (articolo 36);

la più recente rilevazione dell’Istat sulle forze lavoro, diffusa il 17 dicembre 2009 e relativa al terzo trimestre del 2009, indica una condizione critica soprattutto nelle aree deboli del Mezzogiorno. Il rapporto mette in guardia dal nuovo e sensibile incremento dell’inattività lavorativa, fenomeno concentrato nelle regioni meridionali e dovuto principalmente a fenomeni di scoraggiamento, alla mancata ricerca del lavoro di molte donne per motivi familiari, al ritardato ingresso dei giovani nel mercato del lavoro. Nel Mezzogiorno il tasso di occupazione registra un ulteriore e allarmante calo rispetto allo stesso periodo del 2008 (dal 46,5 per cento al 45 per cento). In particolare, il tasso di inattività femminile nelle regioni meridionali si attesta al 69,2 per cento, con un calo di un punto percentuale rispetto al terzo trimestre del 2008. Il tasso di disoccupazione, all’8,2 per cento su scala nazionale, raggiunge nelle regioni meridionali la preoccupante soglia del 12,4 per cento;

questi numeri naturalmente non tengono conto della quota del lavoro sommerso, che specialmente nel Mezzogiorno rappresenta una fetta assai importante dell’intera forza lavoro. Secondo recenti stime Svimez, il Sud presenta tassi di irregolarità particolarmente elevati, pari circa al doppio rispetto al resto del Paese. Nel 2008 – prima dello scatenarsi della crisi economica – risultava irregolare nel meridione circa una persona su cinque (con punte di una su due in alcune regioni e in alcuni settori come l’agricoltura e l’edilizia), vale a dire 1,3 milioni di persone. Va aggiunto che nel Mezzogiorno la quasi totalità delle famiglie vive con un solo reddito;

secondo il rapporto Censis 2009 sulla situazione sociale del Paese, in Italia, quasi una famiglia su tre ha difficoltà ad arrivare a fine mese. Ma se la media nazionale si attesta sul 28,5 per cento, nelle regioni del Sud tale indice si alza fino al 36,5 per cento. A metà 2009, rileva ancora l’istituto, si sono persi 378 mila posti di lavoro di cui 271 mila al Sud. Ad essere colpite sono soprattutto le forme di lavoro a termine (-9,4 per cento) e le collaborazioni a progetto (-12,1 per cento). Tale effetto grava in particolare sui ragazzi: il 45,4 per cento di cui ha perso il lavoro nell’ultimo anno ha infatti meno di 34 anni. E stato rilevato che l’Italia è il paese europeo a più alto divario tra tasso medio di disoccupazione e tasso di disoccupazione giovanile. Questo fenomeno è più che mai acuto nei territori del Sud;

dalle analisi dei dati Ocse e Istat sul rapporto tra livello di istruzione e condizione lavorativa, risulta che il rendimento dell’investimento formativo è nel Mezzogiorno notevolmente più basso rispetto alle altre parti d’Italia a causa del ritardato o mancato ingresso nel mercato del lavoro una volta concluso il processo di formazione. Le difficoltà dei giovani diplomati e laureati del Sud a trovare una collocazione nel circuito del lavoro riflette sia inadeguatezze nella rete formativa, che presenta standard qualitativi inferiori agli altri Paesi europei e occidentali, sia criticità del sistema di transizione scuola-lavoro;

dal rapporto Svimez 2009 emerge che ogni anno 300 mila giovani meridionali abbandonano il Sud per cercare fortuna altrove. Di questi, quasi uno su due deciderà di non tornare più a casa, La fuga dal Mezzogiorno avviene in due tempi. La prima emorragia coincide con la scelta del corso di studi: al momento dell’iscrizione all’università un ragazzo su quattro decide di frequentare un ateneo del Centro-Nord. La fuga decisiva è connessa con la ricerca di un posto di lavoro: a tre anni dal conseguimento della laurea, oltre il 4 per cento dei giovani meridionali occupati lavora al CentroNord. L’aspetto più allarmante di questa nuova migrazione interna sta nel fatto che coinvolge i giovani culturalmente e professionalmente più attrezzati: il 40 per cento dei laureati meridionali che hanno trovato lavoro al Nord si è laureato infatti con il massimo dei voti;

le dinamiche relative all’emigrazione dal Sud al Nord sono l’effetto più evidente dello stallo del sistema sociale e produttivo del Mezzogiorno. Se i ragazzi vanno via è perché il sistema delle imprese meridionali non è in grado di competere con quello settentrionale quanto a capacità di assorbire forza lavoro altamente qualificata. Un gap al quale si aggiunge uno squilibrio vertiginoso nei sistemi di transizione scuola-lavoro e nei livelli del servizio sociale. Questo quadro condanna oggi il Mezzogiorno ad essere il maggiore fornitore di risorse umane delle zone forti del Centro Nord;

il fenomeno dell’emigrazione interna si traduce anche in un’allarmante emorragia economica dalle fasce e dalle zone deboli a quelle forti del Paese. Tra tasse universitarie e integrazioni alle magre buste paga che i ragazzi percepiscono per molti anni dopo aver finito il corso di studi, ogni anno dal Sud al Nord si spostano non meno di 2 miliardi di euro. Così il Mezzogiorno si trova a dover pagare un dazio insieme economico e culturale, che inverte letteralmente la storica logica delle «rimesse». Per uscire da questa condizione occorre agire su due nodi fondamentali: lo sviluppo del comparto produttivo del Sud e l’implementazione di efficaci strumenti di raccordo tra le università e il mondo del lavoro;

dai dati appena illustrati appare evidente come nell’attuale fase di crisi è nel Mezzogiorno che si registrano gli effetti più devastanti sia in termini economici che sociali. Ciò malgrado nelle passate fasi congiunturali il Sud abbia reagito meglio rispetto alle aree forti proprio a causa della sua scarsa apertura ai mercati internazionali. L’economia meridionale somma all’inversione ciclica debolezze strutturali che affondano le loro radici nel tempo e che si aggravano nell’attuale fase congiunturale. Come ha rilevato la Banca d’Italia in uno studio pubblicato nel luglio 2009, tutte le debolezze economiche e sociali del Paese – dall’occupazione alla povertà, dalla disuguaglianza sociale alla mancanza di competitività – si manifestano con maggior intensità nelle regioni deboli del Mezzogiorno. Questo fatto, unitamente alla rilevanza macroeconomica del Mezzogiorno, rende evidente l’importanza che riveste lo sviluppo del Sud per le prospettive di crescita nazionale. Senza abbattere il cronico sotto utilizzo delle risorse umane e materiali nelle regioni meridionali, ammonisce ancora la Banca d’Italia, l’obiettivo di uscire dal ristagno appare del tutto velleitario;

in contrasto con questa indicazione, l’attuale Governo ha assunto finora, ad avviso dei firmatari del presente atto di indirizzo, una strategia sostanzialmente antimeridionalista. I provvedimenti varati sin qui, non ultima la legge finanziaria per il 2010, hanno di fatto azzerato ogni intervento a favore del Mezzogiorno sia in termini di risorse stanziate che di strumenti specifici. Il continuo ricorso al Fondo per le aree sottoutilizzate (Fas) nazionale per la copertura di provvedimenti di carattere generale ha determinato nei fatti un’ulteriore divaricazione tra le condizioni economiche e sociali delle zone forti e quelle delle zone deboli. Questa sistematica distrazione di fondi, valutabile nella somma di 35 miliardi di euro, oltre a compromettere il rispetto dell’originario vincolo di ripartizione delle risorse del Fondo (si riconosceva alle regioni sottoutilizzate meridionali almeno l’85 per cento del complesso delle risorse) ha di fatto azzerato le politiche di sviluppo che le regioni del Sud realizzano solo grazie al trasferimento di fondi stanziati dal Governo centrale e dall’Unione europea;

a questa sistematica distrazione di fondi, si è aggiunta una miope politica di tagli per gli imprenditori meridionali. In una fase congiunturale così difficile, invece di supportare le imprese del Sud, il Governo, a giudizio dei firmatari del presente atto di indirizzo, ha di fatto annullato l’operatività del credito d’imposta per i nuovi investimenti, lasciando le aziende del Sud senza alcuna fiscalità di sviluppo e deprimendo ancora di più le prospettive di crescita delle zone sottosviluppate;

i tagli imposti dal Governo al sistema scolastico colpiscono quasi esclusivamente il Sud. Più di 14 mila supplenze sulle 19 mila che scompariranno quest’anno (il 71 per cento) sono localizzate nelle otto regioni meridionali;

il progresso nei livelli di scolarizzazione delle nuove generazioni meridionali è riconosciuto da tutti i più importanti osservatori. La Svimez rileva come, in media, non ci sia più una differenza apprezzabile tra i livelli qualitativi della didattica negli istituti meridionali e quelli del Centro-Nord. Il divario aumenta però in termini di opportunità di impiego. Occorre dunque dare risposte concrete attivando un confronto con le parti sociali e i rappresentanti istituzionali dei territori del Mezzogiorno, al fine di mettere in campo un programma di interventi anticiclici per favorire l’ingresso delle nuove generazioni meridionali nel mercato del lavoro meridionale;

come rilevato dalla Banca d’Italia nel rapporto di fine anno 2008 e ribadito recentemente dal governatore Mario Draghi, il sistema vigente di ammortizzatori sociali esclude una fascia molto ampia di lavoratori atipici e parasubordinati. L’analisi della Banca d’Italia mette in evidenza che 1,6 milioni di lavoratori non godono attualmente di alcuna forma di copertura e rischiano, dunque, di rimanere a zero euro in caso di licenziamento o scadenza dei termini di contratto;

intorno alla risorsa che rappresentano le giovani generazioni meridionali vanno costruiti progetti di intervento in grado di aumentare la qualità dell’istruzione e di accompagnare i ragazzi nella difficile fase di accesso al lavoro, di offrire loro adeguati sistemi di formazione fuori e dentro le aziende, anche per impedire che continui l’esodo verso il Nord dei giovani diplomati e laureati del Mezzogiorno,

impegna il Governo:

a finanziare in piano volto a inserire nel mercato del lavoro almeno 100 mila giovani diplomati e laureati delle otto regioni del Mezzogiorno mediante stage presso imprese private, a tal fine prevedendo un compenso mensile a carico dello Stato per un periodo non inferiore a sei mesi, cui aggiungere un incentivo di 3.000 euro a favore dell’azienda in caso di assunzione a tempo indeterminato;

a reintegrare le risorse impegnate del Fondo per le aree sottoutilizzate per destinarle a un programma mirato al rilancio del tessuto produttivo meridionale e, conseguentemente, dei livelli occupazionali del Mezzogiorno, ripristinando a tal fine un meccanismo di fiscalità di sviluppo concreto ed efficace quale è l’automatismo del credito d’imposta per i nuovi investimenti nel Mezzogiorno;

a predisporre in tempi rapidi un piano organico di riforma degli ammortizzatori sociali, che includa lavoratori a progetto, parasubordinati, lavoratori atipici e le altre categorie contrattuali attualmente escluse da ogni copertura, garantendo almeno il 60 per cento del reddito percepito nell’ultimo anno.

(1-00300)
«D’Antoni, Boccia, Maran, Villecco Calipari, Baretta, Fluvi, Lulli, Damiano, Bellanova, Berretta, Boffa, Bonavitacola, Bordo, Bossa, Burtone, Calvisi, Capano, Capodicasa, Cardinale, Enzo Carra, Causi, Ciriello, Concia, Cuomo, D’Alema, D’Antona, D’Incecco, Fadda, Genovese, Ginefra, Ginoble, Grassi, Graziano, Iannuzzi, Laganà Fortugno, Laratta, Levi, Lo Moro, Lolli, Losacco, Luongo, Margiotta, Cesare Marini, Marrocu, Pierdomenico Martino, Mastromauro, Mazzarella, Melis, Minniti, Nicolais, Oliverio, Arturo Mario Luigi Parisi, Pedoto, Mario Pepe (PD), Pes, Piccolo, Picierno, Antonino Russo, Samperi, Santagata, Sarubbi, Schirru, Servodio, Siragusa, Tenaglia, Livia Turco, Vaccaro, Vico».