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"Port-au-Prince, a mani nude tra le macerie della città che non c'è più", di Maurizio Molinari

Impressionante il numero delle vittime. Un politico locale: forse 500 mila. Ancora incerto il destino degli italiani sull’isola: 70 su 190 stanno bene. Dai finestrini del bimotore dell’Air Caribe la capitale di Haiti appare un cimitero di rovine a perdita d’occhio. È il primo aereo civile che arriva da Santo Domingo all’aeroporto di Isabelle e atterra su una pista dove pochi poliziotti tentano di tenere a bada centinaia di persone che cercano di fuggire sui pochi aerei militari arrivati per portare aiuti.
In città il palazzo del presidente è crollato, il parlamento è in macerie, la cattedrale non c’è più, come anche dozzine di chiese e l’ospedale principale. Centinaia di corpi coprono le strade giacendo sotto cumuli di polvere attorno ai quali i sopravvissuti si aggirano in religioso silenzio o gridano disperazione e rabbia, braccia aperte verso le nuvole basse del cielo dei Caraibi. Si levano canti di disperazione e nenie religiose, come preghiere lanciate in un vuoto disperato.

Non c’è nessuno che raccolga le salme, ciò che resta dell’autorità governativa sono scarni comunicati trasmessi dalla radio che parlano di disastro nazionale e invitano alla solidarietà. Cercano di far sentire le persone meno sole, ma sembra che l’unico risultato sia far aumentare la paura del dilagare delle violenze. A Port-au-Prince non c’è che morte e disperazione. Il presidente parla di centinaia di migliaia di vittime, qualcuno dice mezzo milione, per la Croce Rossa almeno un terzo dei 9 milioni di abitanti di Haiti sono stati toccati in qualche modo dagli effetti del sisma, tre milioni senza tetto.

Il conteggio delle vittime viene fatto da ospedali improvvisati nelle piazze e circolano numeri parziali che per ora vanno da mille a tremila a cinquantamila anime perdute nel terremoto che la notte scorsa ha investito la più povera nazione dell’emisfero occidentale con una scossa di magnitudo 7, la più forte dal 1770. I sopravvissuti si aggirano fra le rovine cercando parenti e proprietà inghiottite dalla terra. Si è diffusa la voce che a portare i primi aiuti saranno i militari americani con elicotteri dalla base di Guantanamo, nella vicina isola di Cuba, c’è chi guarda ripetutamente al cielo aspettando che i marines portino acqua, pane. Qui manca del tutto e l’assenza di comunicazioni aumenta la confusione. L’importanza dei soccorsi aerei dipende dal fatto che il porto è stato danneggiato e le navi hanno difficoltà ad attraccare. È stato l’arrivo dei primi velivoli militari con gli aiuti, provenienti da Usa, Islanda e Venezuela a far scattare la grande corsa verso l’aeroporto da parte di centinaia, forse migliaia di disperati che si assiepano di fronte al terminal. Il personale dell’ambasciata Usa è riuscito a evacuare le famiglie americane solo proteggendo il convoglio con una scorta armata fin sotto gli aerei della Guardia Costiera decollati alla volta di Miami.

Nella prima intervista al «Miami Herald» il presidente René Preval ha descritto «scene inimmaginabili nella capitale»: «Il parlamento si è come accasciato su se stesso, il ministero delle Finanze è collassato, le scuole sono cadute, gli ospedali si sono sbriciolati». Il presidente dice che Hedi Annabi, il tunisino capo della missione di stabilizzazione dell’Onu (Minustah) è morto, anche se il Palazzo di Vetro non ha ancora confermato, pur ammettendo la morte di almeno 11 funzionari. Non ha retto neppure la principale prigione dell’isola: i detenuti che si sono salvati sono fuggiti in massa.

L’ambasciatore francese a Port-au-Prince ha detto a France2 che «non c’è alcun mezzo che ora venga utilizzato, i pochi di cui si disponeva con il servizio dei vigili del fuoco sono stati sepolti fin dalla prima scossa. La gente è in strada e sta passando la notte in strada. Alcuni di loro, a mani nude, cercano di trovare i corpi sotto le macerie». L’ambasciatore ha continuato il suo agghiacciante racconto: «Alcune vie sono cosparse di cadaveri e si vedono persone, si vede spuntare una gamba, un braccio, tra mucchi di ferraglia e di cemento, è spaventoso. Ho attraversato a piedi due quartieri, quello dove si trova la residenza dell’ambasciata di Francia che è completamente distrutta e un’altra zona che si chiama il Divano verde, dove si trova la residenza del presidente. Non c’è una casa rimasta in piedi».

I saccheggi sono già iniziati. Non c’è polizia, pochi e sperduti i militari che lasciano sguarnito anche il palazzo presidenziale ferito, mentre le forze dell’Onu contano le proprie vittime. Il loro comandante tunisino viene dato per morto e i contingenti di Brasile e Cina, i più numerosi, avrebbero subito molte perdite. Anche del loro quartier generale non è rimasto quasi nulla in piedi. Non ci sono neanche notizie di Giovanni De Mattei, viceconsole onorario d’Italia, mentre la nostra ambasciata nella vicina Santo Domingo ha inviato un funzionario per accertare la sorte dei connazionali che si trovavano a Haiti al momento della scossa. «Dicono che il palazzo Onu della Minustah e l’hotel Montana sono crollati. So che all’hotel Montana abitavano degli italiani, ma non so quanti fossero e se al momento del terremoto erano in casa. Stiamo cercando di sapere qual è stata la sorte dei dispersi», dice l’avvocato Iampieri, che lavora all’Onu ad Haiti.

La Farnesina ha fatto sapere che una settantina di italiani residenti nell’isola si sono fatti vivi per dire che stavano bene. Sono 190 gli iscritti all’Aire, il registro dei connazionali all’estero, ma non è detto che fossero tutti presenti nel Paese. Fra gli italiani di Haiti ci sono cooperanti, religiose, tecnici di azienda, e qualcuno che abitava là da decenni. Ma è possibile che si trovassero a Haiti turisti o viaggiatori che non avevano segnalato la loro presenza. Oggi arriveranno ad Haiti due esperti del ministero degli Esteri per aiutare a fare chiarezza nelle informazioni. La Croce Rossa fa sapere che le persone coinvolte nel sisma sono almeno 3 milioni.

L’arcivescovo cattolico monsignor Joseph Serge Miot è morto sotto le macerie della cattedrale, si parla di un centinaio di sacerdoti morti in tutta l’isola. Anche le star di Hollywood si stanno muovendo a sostegno della popolazione di Haiti. Ben Stiller, Angelina Jolie e Brad Pitt sono solo alcuni dei nomi delle celebrità che hanno deciso di intervenire. Matt Damon è invece già sull’isola.
La Stampa 14.01.10