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"La società civile e la casta dei politici", di Eugenio Scalfari

DA qualche tempo la cosiddetta società civile si sta prendendo alcune rivincite. Era stata assai bistrattata dalla “casta”, sia di destra che di sinistra. I partiti, anzi la partitocrazia, avevano invaso tutto l’invasibile. Non c’era candidatura elettiva, non c’era ente pubblico o parapubblico che non fossero caduti nelle mani della “casta” e il berlusconismo non faceva eccezione, anzi, nonostante il piglio anti-partito del suo leader.

Chi accedeva al governo o al sottogoverno doveva innalzare i vessilli e indossare i colori d’uno dei componenti della casta, gravitare nella sua orbita, sollecitarne i favori e pagarli al prezzo convenuto. Non soltanto e non tanto in termini di danaro, ma in termini di sudditanza politica. O corporea. Ma sì, anche corporea, Tarantini insegna. Questo ritorno in forza dei politici era stato accolto con favore anche da molti intellettuali all’insegna della supremazia della politica. Alla società civile erano state addebitate molte turpitudini, comunque un cattivo odore di corruttela che inquinava anche la politica e i suoi “operatori”. Per di più si addebitava alla società civile anche la responsabilità di fornire alla malavita organizzata quell’ampia massa di persone definite come “zona grigia”, intercapedine collusa con le organizzazioni criminali e tramite indispensabile tra la mafia e il potere. Purtroppo tutto vero; ma non è questo che si deve intendere per società civile, così come non si deve identificare la politica con la “casta”.

Perciò è necessario un chiarimento lessicale prima di procedere nel ragionamento che oggi vogliamo sviluppare.

Il termine “società civile” fu inventato, niente meno, da Marx e forse, prima ancora, da Rosseau, per designare l’insieme dei ceti che compongono una comunità con una propria identità, propri valori, propria cultura, propri interessi. Una società civile forte esprime anche proprie istituzioni e lo Stato che ne è il coronamento.

Questo è lo schema di Marx, che ne parla diffusamente soprattutto in due delle sue migliori opere: “L’ideologia tedesca” e “Il 18 brumaio”. La società civile che egli ha in mente è quella borghese; il suo obiettivo è di riuscire a sostituirla con una società civile egemonizzata dal proletariato.
La “casta” di cui oggi si parla rappresenta una deformazione cancerosa della politica e le “zone grigie” rappresentano altrettante deformazioni cancerose della società civile. Ristabiliti così i significati corretti delle parole, diventa chiaro che cosa intendiamo quando percepiamo segnali di rivincita della società civile. Dopo una fase troppo a lungo dominata da caste di potere e decomposizioni sociali, avvertiamo oggi un risveglio (ancora modesto e agli inizi) della società civile e qualche segnale di sfaldamento delle deformazioni che hanno sfigurato il suo volto, la sua identità e la sua coscienza morale.

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Poiché siamo ora entrati in clima di campagna elettorale, è proprio in questo avvio che i segnali dei quali s’è detto si rivelano più percepibili, mentre altri più indiretti ma altrettanto significativi cominciano ad emergere nel campo della letteratura e del cinema; insomma nei territori della cultura.
Prendete il caso di Emma Bonino. È un caso sintomatico. Il Partito democratico l’ha indicata quasi all’unanimità, dopo molto tergiversare, come candidata del Partito e della coalizione di centrosinistra alla carica di presidente della Regione Lazio. Si dice: è una candidatura imposta dalle circostanze, non una libera scelta ma una necessità. Lo credo anch’io, ma questo rafforza la tesi: la società civile, nella sua parte schierata al centrosinistra, ha reso necessaria la candidatura Bonino.

Volete una controprova? La società civile nella sua parte schierata al centrodestra ha reso necessaria la candidatura della Polverini. Non faccio un raffronto tra due personalità diversissime tra loro, ma sul fatto che quelle candidature non emanano dai partiti ma dalla società civile. Personalmente lo ritengo un segnale molto positivo e il fatto che si tratti di due donne che certo non fanno parte della categoria delle “veline” accresce il significato di quel segnale.

Ma ce ne sono altri di analoga importanza. Per esempio la candidatura della Bresso in Piemonte, il fatto che l’Udc abbia deciso di appoggiarla e che il sindaco di Torino, Sergio Chiamparino, sia probabilmente il capolista del Pd in questo confronto elettorale. Non era affatto scontato che la Bresso fosse proposta dal Pd per un secondo mandato; ancora meno sicuro era che l’Udc si dichiarasse in suo favore e che un sindaco molto autonomo rispetto ai vincoli di partito prendesse in considerazione una sua decisione che non gli reca alcun vantaggio personale. Si tratta anche in questo caso di una donna in corsa per una carica di notevole importanza.

Un terzo segnale: la Poli Bortone possibile candidato del centrodestra in Puglia. Forse non sarà questa la scelta definitiva poiché non piace al ministro Fitto, un uomo della “casta” da tutti i punti di vista. Ma anche questo è un segnale: una parte notevole della società pugliese orientata a destra non vorrebbe persone della “casta” e si fa sentire.
Così si fa sentire in Campania, in favore del sindaco di Salerno, Vincenzo De Luca. E in Veneto, dove contro la Lega e il Pdl, indissolubili anche se discordi, tira aria d’una vasta alleanza del centro e della sinistra che ha il carattere d’una lista civica più che un’alleanza di partiti.
Tutti i partiti esistenti, nessuno escluso, hanno un disperato bisogno di rinnovarsi. Le elezioni regionali di marzo offrono quest’occasione; quelli che sapranno coglierla avranno fatto un passo avanti importante verso l’obiettivo che da tempo hanno smarrito: raccogliere il consenso popolare sulla base di trasparenza e credibilità programmatica; fare da punto di raccordo tra il popolo e le istituzioni; tutelare la Costituzione e lo Stato di diritto. Questo dovrebbe essere il compito dei partiti, non quello di occupare le istituzioni e costituirsi come pura casta di potere.

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Un’altra questione strettamente connessa a quella del risveglio della società civile (o coscienza civile che dir si voglia) riguarda i diritti e i doveri. Anche le discussioni in corso su questo tema sono confuse e meritano d’esser chiarite.
Io ricordo la grande stagione dei diritti e dei referendum che dettero loro sbocco politico. Fu a metà degli anni Settanta ed è doveroso ricordare il nome di Marco Pannella che ne fu il più fervido sostenitore.
Ricordo bene quegli anni, le battaglie per il divorzio e la legalizzazione dell’aborto, le diffidenze a sinistra e l’opposizione durissima della destra clericale. Questo giornale non esisteva ancora, ma L’espresso era in campo da quasi vent’anni e quei diritti di libertà li reclamava da sempre, sicché fu soprattutto quel settimanale, nell’imbarazzata indifferenza di gran parte della stampa italiana a riecheggiarne e amplificarne la voce. Ricordo il numero de L’espresso – allora diretto da Livio Zanetti – che uscì con in copertina una donna incinta inchiodata ad una croce. Ricordo tanti giovani lettori che si erano offerti come volontari per raccogliere le firme per i referendum. Ricordo i cortei con decine di migliaia di persone a Roma, a Milano, a Palermo, a Napoli, e i voti di vittoria raccolti. Fu decisivo il peso che vi ebbero le donne, quelle del Mezzogiorno in particolare, che furono l’elemento decisivo di quelle consultazioni.

Molti diritti sono ancora privi di tutela. Penso, tra i tanti, a quelli dei lavoratori precari e a quelli degli immigrati, che vanno di pari passo con i doveri verso la comunità di accoglienza alla condizione che l’accoglienza sia tale e non elemosina o semplice buon cuore individuale.
I diritti sono uno degli aspetti essenziali d’una società civile che, senza di essi, dovrebbe esser definita incivile. Ma anche i doveri lo sono e sono duplici. C’è il dovere dell’individuo il quale ha il diritto di tutelare i propri interessi e la propria felicità, ma ha il dovere di inquadrarli in una visione del bene comune. Oggi non avviene così. La preoccupazione dominante non risiede in questo scambio ma nel puro e semplice egoismo.

Ci sono al tempo stesso i doveri della società verso gli individui e anche questo è uno degli aspetti essenziali d’una società civile .
Il dovere principale è quello di soddisfare al meglio i diritti individuali assicurando il massimo possibile di eguaglianza e di pari opportunità nel soddisfacimento di quei diritti.
Individui liberi, individui eguali nella competizione e nell’accesso al mercato, individui solidali tra loro nella contribuzione al bene comune. Ancora una volta il trittico di libertà, eguaglianza (soprattutto di fronte alla legge ma non soltanto), fraternità. Affinché la società sia civile, lo Stato e le istituzioni siano civili, le persone siano civili.
Quando leggo nei sondaggi d’opinione che la maggioranza degli italiani è fiera della nostra Costituzione e una maggioranza ancora più forte ripone la sua fiducia nel Presidente della Repubblica, mi sento confortato e non dispero dell’avvenire.
La Repubblica 17.01.10