economia

"L'Europa non regge il passo del resto del mondo", di Pietro Greco

Pochi vi hanno fatto caso. Ma c’è un dato, nel 2010 R&D Global Forecast – il nuovo rapporto sulla ricerca scientifica e lo sviluppo tecnologico pubblicato nei giorni scorsi dalla rivista R&D Magazine – che ci parla dell’Europa con la potenza di mille analisi. Nell’anno appena trascorso, il 2009, l’Unione Europea ha speso nella scienza e nelle tecnologie innovative l’1,69% della ricchezza che ha prodotto (Pil). Il mondo, in media, ha speso l’1,97% della ricchezza prodotta. È il secondo anno consecutivo che l’Europa si trova a investire in ricerca e sviluppo meno della media mondiale. È un dato che parla da solo, con più forza di mille dotte analisi, per tre motivi. Primo: l’investimento in ricerca e sviluppo è un fattore, ormai macroeconomico, che più di ogni altro indica sia la capacità di innovazione di un’economia e (quindi) di una società sia la capacità di competere sui mercati mondiali. Secondo: è la prima volta – nell’ultimo mezzo millennio – che l’Europa investe in ricerca scientifica e innovazione tecnologica meno del resto del mondo. Al contrario: dal XVII secolo all’inizio del XX secolo, il nostro continente ha detenuto il monopolio pressoché assoluto di questi investimenti e (di conseguenza?) la leadership economica mondiale. Dopo l’arrivo sulla scienza degli Stati Uniti e, poi, del Giappone, nel corso del XX secolo l’Europa è comunque rimasta uno dei grandi poli mondiali della scienza e dell’innovazione tecnologica. Oggi il dato pubblicato dal R&D Magazine ci dice che l’Europa non solo viene dopo le Americhe, che nel complesso spendono in ricerca il 2,32% della ricchezza prodotta, ma anche dopo l’Asia, che nel complesso spende l’1,95% della ricchezza prodotta. Terzo: nel marzo dell’anno 2000 a Lisbona i capi di stato e di governo europei si diedero un obiettivo ambizioso: fare entro il 2010 dell’Unione l’area leader al mondo nell’economia della conoscenza. Due anni dopo, nel 2002 a Barcellona, l’Unione ha definito anche il percorso concreto per realizzare l’ambizioso obiettivo: aumentare entro il 2010 gli investimenti europei in ricerca e sviluppo (che allora erano intorno al 2%) fino ad almeno il 3% del Pil. Ebbene il 2010 è infine arrivato. Mal’Europa non ha centrato l’obiettivo qualitativo di Lisbona: non è diventata l’area leader al mondo nell’economia della conoscenza. Introducendo, con la sua tradizione di welfare, anche un principio di maggiore uguaglianza sociale nella società globale della conoscenza. Non lo ha fatto anche perché non ha centrato l’obiettivo quantitativo di Barcellona: non ha aumentato gli investimenti in ricerca fino al 3% del Pil. Anzi, al contrario, li ha ridotti. Fino a una quota che, per la prima volta dopo svariati secoli, è scesa sotto quella media mondiale.
L’Unità 17.01.10