politica italiana

Anna Finocchiaro: «L'interesse privato è la loro priorità», di Nini Andriolo

Una maggioranza senza vergogna, è l’interesse privato del Capo del governo la vera priorità del centrodestra…».
Presidente Finocchiaro, con il processo breve siamo al diciannovesimo provvedimento ad personam in ordine di tempo….
«Una sequela ininterrotta che si è perpetuata da un governo Berlusconi all’altro per diverse legislature. Quella attuale è un’operazione a tenaglia: si parte con il processo breve, nel frattempo – alla Camera – si discute il legittimo impedimento, contemporaneamente hanno tentato un decreto legge per ottenere una norma da utilizzare subito nei processi di Milano e, dall’altra parte, si minaccia il Lodo Alfano costituzionalizzato. Tutto questo mentre il Paese attraversa una crisi difficilissima che investe le famiglie, in particolare quelle del Mezzogiorno».

Il Parlamento “occupato” dai problemi privati del premier, quindi. Come se ne esce?
«Il Parlamento usato. Con conseguente spreco di tempo e di risorse pubbliche. Il potere legislativo utilizzato per un unico ossessivo scopo: quello di salvare il premier dai processi che lo riguardano».

Per il senatore Gasparri il processo breve serve a dare giustizia al Paese…
«Questo provvedimento, in realtà, manderà al macero centinaia di migliaia di processi penali e contabili, con il risultato di danneggiare i conti dello Stato e introdurre principi di irresponsabilità per chi amministra risorse pubbliche. Si produrrà non l’abbreviazione dei tempi del processo, ma in una denegata giustizia. Di fronte a questa obiezione la maggioranza non è riuscita mai a dare risposta. L’unica verità che può affermare, infatti, è l’impellente necessità di salvare il premier. C’è da rilevare, tra l’altro, che con le nuove norme, l’unico interesse dell’imputato colpevole sarà quello di portare avanti il processo il più a lungo possibile. Non avrà alcun interesse, infatti, a chiedere un patteggiamento o un giudizio abbreviato»

Dopo il sì del Senato ci sarà, prevedibilmente, anche quello della Camera. Il Partito democratico si opporrà anche nel Paese, fuori dal Parlamento?
«Ogni volta che facciamo una battaglia efficace, come quella che abbiamo condotto in Senato, parliamo al Paese. Vorrei dare valore all’impegno parlamentare anche per evitare che venga vissuto, quasi, come un passaggio burocratico. Ci pensano già altri, il governo e la maggioranza, a mettere in mora il Parlamento costringendolo a timbrare decisioni prese dagli avvocati del Presidente del Consiglio, ad Arcore o a Palazzo Grazioli. Nel Parlamento e nel Paese il Pd deve svolgere il proprio ruolo con questa consapevolezza».

Individua nel processo breve profili di costituzionalità che possano influire sulle decisioni del Presidente della Repubblica?
«Abbiamo presentato in Senato le nostre pregiudiziali di costituzionalità. La maggioranza ha ripulito un po’ il testo, ma noi continuiamo a mantenere delle riserve. Dopodiché vedremo…».

L’ossessione di salvare il premier, come lei la definisce, non rende poco credibile il confronto sulle riforme?
«Le riforme dovrebbero essere varate per arginare una concezione in cui il potere non trova confini e per sbarrare il passo a una prassi costituzionale secondo la quale il Parlamento diventa il luogo della ratifica. Oggi si legifera per decreti legge modificati con i maxiemendamenti, si ricorre continuamente al voto di fiducia. Il Capo dello Stato ha denunciato più volte queste distorsioni. Abbiamo tutto l’interesse di rendere più forte la democrazia italiana con riforme che riescano a restituire forza alle istituzioni e a rendere più agevole il procedimento legislativo. Una grande forza riformista, come la nostra, non può arretrare di fronte all’esigenza di dare al Paese un assetto istituzionale equilibrato e moderno».

E c’è il clima giusto, oggi, per ottenere i risultati che lei auspica?
«È ovvio che la maggioranza si assume la responsabilità di un certo clima e su di lei certamente oggi grava un giudizio di inaffidabilità. La prima garanzia di ogni relazione positiva, anche di quella politica quindi, è il riconoscimento e il rispetto reciproco. E se andranno avanti con questo andazzo tutto potrebbe complicarsi, malgrado avverta come impellente la necessità delle riforme. Per fare riforme utili al Paese ci troveranno sempre pronti, non ci troveranno pronti per fare ciò che hanno fatto oggi (ieri, ndr.) al Senato»

La parola confronto evoca immediatamente il fantasma dell’inciucio, a maggior ragione in rapporto a una maggioranza “ossessionata” dai processi del premier…
«Sbaglia chi accusa d’inciucio coloro che vogliono le riforme. Non si capisce che, in questo momento, stare fermi significa consentire che si affermi una gestione del potere che punta a stravolgere la stessa regola costituzionale».
L’Unità 21.01.10

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“La pretesa immunitaria”, di GIUSEPPE D’AVANZO
IL “processo breve” è la ventesima legge approvata nell’interesse di Silvio Berlusconi dai commessi nominati in Parlamento dalla Lega e dal Partito della libertà. È una legge che salva l’Egoarca (morirà il rognosissimo processo Mills, dove è accusato di corruzione). Qualche effetto immediato. La legge sfascia la già malmessa macchina giudiziaria. Non c’è, infatti, nessun contemporaneo provvedimento che asciughi le procedure, depenalizzi i reati, renda più efficiente l’organizzazione giudiziaria, qualifichi le risorse umane e incrementi gli strumenti materiali.
Il “processo breve” impoverisce le casse dello Stato perché si creano condizioni favorevoli alla “casta” (ministri, sindaci, amministratori pubblici) per non risarcire il danno di sperperi e distrazioni. Allontana dalla condanna le società che hanno la responsabilità amministrativa dei reati commessi dal management nell’interesse dell’azienda. Prepara soprattutto un processo ingiusto e diseguale. Lasciate immutati, oltre ogni ragionevolezza, i reati, le procedure e le garanzie processuali, il processo non potrà che avere tempi lunghi. Effetti a lungo termine. Un processo – da un lato, nato per essere dilatato nei tempi e, dall’altro, strozzato nella durata – è uno strumento destinato a diventare superfluo, inutilizzabile, inutile. Soprattutto è un arnese che non potrà essere mai “giusto”, nonostante le filastrocche a uso televisivo delle ugole obbedienti. Perché danna i poveri cristi senza risorse e premia chi ha il denaro per pagarsi legulei competenti nell’esplorare i labirinti della procedura. In conclusione, il paese sarà più fragile, insicuro e criminofilo con giubilo dei delinquenti con e senza colletto bianco: c’è finalmente il modo legale per arraffare, arricchirsi, farsi prepotente senza danno, malvivere senza pagare dazio né allo Stato né agli innocenti diventate vittime.
Il “processo breve”, frutto avvelenato di un’arrogante pretesa immunitaria, è soltanto l’intimidatoria ipoteca che, per ora, Berlusconi lascia sul tavolo. È già accaduto appena ieri, nel 2008. Con un emendamento al decreto sicurezza, il capo del governo si fa approvare la sospensione di un anno dei processi per fatti commessi prima del 1 luglio 2002, la cui pena non ecceda i dieci anni (è il suo caso). La norma manda all’aria centomila processi. Berlusconi l’agita per rendere accettabile come “danno minore” un provvedimento che lo rende immune fino a fine mandato (il “lodo Alfano” sarà approvato l’11 luglio 2008 e bocciato dalla Consulta, perché incostituzionale, il 7 ottobre 2009).

Il quadro tattico, in apparenza, non pare diverso in quest’anno di grazia 2010. Distruttivo dell’intero sistema giudiziario, il “processo breve” è il mostruoso sgorbio che dovrebbe convincerci ad accogliere, come riduttivo di un rovinoso danno, un altro provvedimento che, senza umiliare l’interesse collettivo, può ottenere lo stesso risultato: il congelamento dei processi del Cavaliere. E soltanto apparenza. In realtà, in quest’occasione la strategia che si intravede dietro mosse rituali guarda più lontano, è più pericolosa perché vuole essere definitiva.

Il “male minore” (per i cittadini, per lo Stato), che dovrebbe salvare l’Egoarca dalle sue rogne giudiziarie, è il disegno di legge sul “legittimo impedimento” (da lunedì alla Camera). È la riformulazione, ancora per via ordinaria e quindi incostituzionale, del “lodo Alfano”. La definiscono “disposizione temporanea in materia di legittimo impedimento del presidente del consiglio a comparire nelle udienze penali”. Prevede che “costituiscano motivo di rinvio delle udienze gli impegni istituzionali del capo del governo”. La norma sarà valida, per “tutti i processi in corso in ogni fase, stato o grado”, solo per 12 mesi in attesa di una riforma costituzionale che reintroduca l’immunità parlamentare (già pronta la proposta bi-partisan Chiaromonte-Compagna). Naturale che Berlusconi non si fidi dell’escamotage o della solidità di quel “ponte”. Perché dovrebbe vedere garantita la sua salvezza in una legge (il “legittimo impedimento”) che oltraggia la Costituzione in attesa che la Costituzione venga poi riscritta per cicatrizzare la ferita? Un pasticcio, come nemmeno un Ghedini potrebbe organizzare. È ovvio che il capo del governo vorrà raddoppiare la sua pressione sull’opposizione, sul capo dello Stato, sulla magistratura, sull’opinione pubblica con l’uno e l’altro dei provvedimenti (“processo breve” e “legittimo impedimento”) per ottenere il consenso ad aprire subito (e al diavolo il governo e le difficoltà del Paese) una “stagione costituente” che assegni alle Camere il potere di “disporre, a garanzia della funzione parlamentare, la sospensione del procedimento per la durata del mandato” (così si legge nel disegno di legge Chiaromonte-Compagna).

Ora si ascoltano molti pareri favorevoli al ritorno irrobustito dell’immunità parlamentare. Poco male. Allarma che l’opposizione – e anche segmenti di una magistratura stressata e “stanca di guerra” – non si accorgano che la revisione dell’immunità (il Cavaliere deve farsela approvare anche dall’opposizione perché, impopolarissima, non supererebbe il referendum) è nelle manifeste intenzioni di Berlusconi la cruna attraverso cui infilare il cammello della “costituzionalizzazione” di se stesso, dell’anomalia dei suoi interessi confusi e sovrapposti, il congegno per potenziare un potere che immagina limitato da troppi contrappesi (parlamento, ordine giudiziario, capo dello Stato, Corte costituzionale). A Bonn è stato fin troppo chiaro, a questo proposito. È dunque la riforma della Costituzione l’ancoraggio finale di una strategia cominciata oggi con l’approvazione al Senato del “processo breve”. L’agenda politica può essere favorevole per il progetto. Dopo le elezioni regionali (marzo), non si voterà per tre anni. Lontano dagli elettori, il sistema politico potrà ritornare sordo e autoreferenziale. Le carte sono già in tavola, se le si vuole vedere. L’Egoarca chiede che la Costituzione diventi strumento di chi governa, Instrument of Government, dispositivo per esercitare il potere. Ci si sarebbe aspettato che, nella sinistra nouveau style, qualche autorevole oracolo ricordasse che la Carta fondamentale della Repubblica è figlia di un costituzionalismo che non l’ha immaginata strumento di governo ma di garanzia contro gli abusi del potere. Al contrario, evocando la “bozza Violante” (fine del bicameralismo perfetto, riduzione del numero dei deputati, Senato federale), le menti soi-disant “realiste” dell’opposizione sembrano convolare verso la linea tracciata dall’Egoarca. Enfatizzano la modernità della “bozza”, ne occultano in pubblico il più autentico obiettivo: il rafforzamento dei poteri del premier. Che, una volta immunizzato per sempre, è appunto l’obiettivo dell’Egoarca.

Bisogna prendere atto oggi che non si odono voci responsabili che denuncino quanto possa essere pericoloso imboccare questa strada. “Chi ci salverà da Berlusconi, “padre costituente”?”, si chiedeva nel 2004 lo storico Sergio Luzzatto. La risposta provvisoria è oggi questa: a livello politico, nessuno sembra aver voglia di salvarci. Chi potrebbe farlo o tace o dissimula le sue intenzioni. Soffiano arie bicamerali e, dopo il voto regionale, infurieranno impetuose, aggressive e libere.
La Repubblica 21.01.10