scuola | formazione

Apprendisti a 15 anni. Ghizzoni (PD): "Così si va verso il caos assoluto"

«La maggioranza dovrà assumersi le proprie responsabilità per questa scelta, che è sbagliata e che è destinata a produrre gravi disagi agli studenti e difficoltà nella vita delle scuole». Così la capogruppo del pd nella commissione cultura della Camera, Manuela Ghizzoni, commenta l’approvazione dei regolamenti per il riordino della scuola secondaria superiore con il voto negativo del pd e delle altre forze di opposizione. «Questo atto- spiega Ghizzoni- affonda le proprie radici nei tagli di Tremonti imposti all’istruzione pubblica: si è preteso di dare una veste di pseudo riforma a ciò che altro non è se non un assestamento di bilancio. Solo così si può spiegare la riduzione di ore di insegnamento, di cattedre, di laboratori, di discipline. a fronte di una necessità vera di riformare dalle fondamenta il nostro sistema delle scuole superiori si è preferito impoverire l’offerta formativa. Oggi in commissione la maggioranza non ha voluto accettare la nostra proposta, di buon senso, di rinviare di un anno l’applicazione dei regolamenti, al fine di migliorarne i contenuti e reperire le risorse necessarie. Il rinvio avrebbe scongiurato il caos assoluto che impedirà alle famiglie di scegliere consapevolmente il più adeguato percorso di istruzione per i propri figli».
L’Unità 21.01.10

******
Per lasciare la scuola basteranno 15 anni, di Laura Matteucci

La maggioranza si vota un provvedimento che prevede a quella età l’apprendistatoCancellata la legge Prodi che ha innalzato la frequenza obbligatoria a sedici anni. L’obbligo di istruzione, che la Finanziaria del 2006 ha innalzato a 16 anni, «si assolve anche nei percorsi di apprendistato». Recita così un emendamento votato ieri dalla commissione Lavoro alla Camera come modifica al ddl sul lavoro collegato alla Finanziaria. Autore dell’emendamento, il relatore del ddl Giuliano Cazzola, Pdl. Se il testo passerà (arriva in aula alla Camera lunedì) si potrà andare a lavorare a 15 anni e utilizzare l’apprendistato per coprire l’ultimo anno obbligatorio di scuola. La «possibilità» è in realtà uno dei cavalli di battaglia del ministro al welfare Maurizio Sacconi, che aveva lanciato l’idea già alla fine dello scorso anno. L’ex ministro all’Istruzione Giuseppe Fioroni (Pd) si rivolge proprio a lui: «Ha deciso insieme alla maggioranza di fare carta straccia dell’obbligo scolastico». «È inaccettabile – aggiunge – che, invece di intensificare gli sforzi per collegare la fase educativa alla formazione e mettere in grado i ragazzi italiani di poter competere ad armi pari con i loro colleghi nel resto del mondo, qui si decida di fare un salto all’indietro così macroscopico. Il buon senso dovrebbe suggerire, proprio nei momenti di crisi violente come quella che ancora attraversiamo, di intensificare la preparazione anche come misura di contenimento dei suoi effetti sociali, non di giocare al ribasso». Chiamato in causa, Sacconi prima parla di «critiche ideologiche», poi parla d’altro: «Oggi migliaia di giovani tra i 14 e i 16 anni nè studiano nè lavorano e talora lavorano in nero».Ma è la dichiarazione di Cazzola ad essere un capolavoro: «Allo studente non resta in mano nulla dopo quei due anni di scuola dai 14 ai 16 anni. Al massimo può fare una formazione di base che non dà nulla. Tanto vale andare a lavorare ».
LONTANI DALL’EUROPA La Ue, l’Ocse, Bankitalia raccomandano l’esatto opposto: investire in conoscenza, che è anche il titolo di un recente studio proprio della Banca d’Italia. Anche il Trattato di Lisbona, come ricorda il senatore Pd Antonio Rusconi, prevede ben altri livelli d’istruzione: «Il governo Berlusconi – dice – sembra orientare la scuola e la società verso indirizzi classisti: la serie a dei licei, la serie b degli istituti tecnici, la serie c dei professionali, e ora per qualcuno, finita la terza media, l’idea di andare subito al lavoro ». Decisamente contrari anche i sindacati, secondo i quali questo «è l’ultimo atto dello smantellamento di un vero obbligo scolastico». Per la Cgil «non è con l’abbassamento dei diritti o con la propaganda che si affrontano temi come il lavoro dei giovani e la lotta al sommerso», dice Fulvio Fammoni, della segreteria. L’emendamento «è sbagliato dal versante formativo,ma è altrettanto grave che si tenti in questomododi superare surrettiziamente anche l’età minima per lavorare, fissata per legge a 16 anni». La rete degli studenti medi lo definisce «un salto indietro epocale: traduce in legge la proposta di Sacconi di mandare i giovani a raccogliere le arance al posto degli immigrati a Rosarno». Ancora: «Ecco l’idea del governo: fuori casa a 18 anni, come dice Brunetta, ma con lavori dequalificati e prospettive di crescita formativa e personale inesistenti». Il sistema scolastico è «ridotto ai minimi termini», e «il governo disegna un futuro in cui regnano precarietà, lavoro nero e diseguaglianze».
L’unità 21.01.10

******

“Apprendisti-studenti a 15 anni”, di Roberto Giovannini
Scontro durissimo Per il Pd si fa carta straccia della legge Ma Sacconi: «Critiche ideologiche». Una vera e propria bomba: con un emendamento al disegno di legge lavoro presentato dal deputato Pdl Giuliano Cazzola – ma fortemente sostenuto dal ministro del Lavoro Maurizio Sacconi – verrà in pratica ridotto di un anno, da 16 a 15 anni, sia il limite per l’obbligo scolastico che l’età minima per poter lavorare. Più precisamente, la norma prevede la possibilità per un ragazzo di 15 anni di assolvere il suo obbligo scolastico (che formalmente resta fissato a 16 anni, come stabilito dalla riforma varata dal governo Prodi) anche lavorando con un contratto di apprendistato, un contratto «misto» che prevederebbe anche attività di formazione. La proposta è stata approvata in Commissione Lavoro della Camera, ed ha sollevato una durissima reazione di opposizione e sindacati. Nelle intenzioni del governo in realtà il senso dell’emendamento è quello di rispondere al problema della dispersione scolastica, cioè l’abbandono da parte di molti studenti di ogni attività scolastica e formativa. Insomma, dice Sacconi, meglio che questi ragazzi vadano a lavorare in azienda piuttosto che passare un anno a casa a non fare niente, a lavorare al nero, o a finire in «attività criminali», dice. Vero è che in tutta Europa si tende piuttosto ad innalzare verso quota 18 anni l’obbligo scolastico, anche per generare cittadini e lavoratori più istruiti e qualificati. Inoltre, lavorare è una cosa; studiare un’altra.
Bisogna ricordare che già durante la discussione della Legge Finanziaria il governo aveva inserito lo stesso emendamento, poi eliminato perché non attinente alla materia di bilancio. E del resto il ministro Sacconi aveva già manifestato in più sedi la sua intenzione di cambiare queste regole. Stavolta a presentare la proposta ci ha pensato il deputato Pdl Giuliano Cazzola. Che interpellato però spiega che di fronte alla levata di scudi generale la maggioranza non è intenzionata a fare le barricate: «siamo persone ragionevoli, vedremo». Al contrario, appare determinatissimo Sacconi, che respinge come «ideologiche» tutte le critiche. «Migliaia di giovani tra i 14 e i 16 anni, superata la scuola media, né studiano né lavorano e talora lavorano in nero. Non si tratta per nulla di anticipare l’età di lavoro, ma di consentire il recupero di un giovanissimo demotivato a seguire gli altri percorsi educativi attraverso una più efficace modalità di apprendimento in un contesto lavorativo». Sulla stessa linea il suo collega dell’Istruzione Maria Stella Gelmini.
Sparano a zero dal Pd. «La maggioranza e il ministro Sacconi hanno deciso di fare carta straccia dell’obbligo scolastico», dicono gli ex ministri Giuseppe Fioroni e Cesare Damiano. Per Fulvio Fammoni, segretario confederale Cgil, «l’abbassamento dell’obbligo scolastico a quindici anni attraverso l’apprendistato è sbagliato dal versante formativo, ed è altrettanto grave che si tenti in questo modo di superare surrettiziamente attraverso questa via anche l’età minima per lavorare, fissata per legge a 16 anni». «Emendamento approvato in modo frettoloso e senza consultare le parti sociali – dice per la Cisl il segretario confederale Giorgio Santini – deve essere corretto». Contrarissimi anche i sindacati della scuola di Cgil-Cisl-Uil e le Acli. Che spiegano che il contenuto formativo dei contratti di apprendistato è nei fatti modestissimo: come peraltro certificano i dati dell’Isfol, attualmente soltanto il 17% dei ragazzi apprendisti svolgono attività di formazione oltre a lavorare. Gli altri lavorano e basta. I contratti di apprendistato (nelle tre tipologie oggi previste nel 2008 ne sono stati attivati 644.000) sono uno dei più tradizionali strumenti di ingresso nel mercato del lavoro, e consentono ai datori di lavoro consistenti vantaggi. Si possono inquadrare i giovani a livelli retributivi più bassi rispetto al lavoro effettivamente svolto, e godere di forti sgravi contributivi.
La tesi del ministro Sacconi – che nega che si tratti di una modifica all’età dell’obbligo scolastico o a quella minima per poter lavorare – è che questa misura consentirebbe di inserire immediatamente buona parte dei 126.000 giovani tra i 14 e i 17 anni che nel 2008 erano già fuori da qualsiasi percorso di istruzione e formazione. Lavorare è di fatto già formare, e in ogni caso sempre meglio di restare con le mani in mano. Ironizzano quelli della Rete degli Studenti: «Tutti a Rosarno a raccogliere le arance!». Ed è probabile che siano molti gli studenti di origine non-comunitaria a uscire anticipatamente dal percorso scolastico: molti di loro a 15 anni di età sono ancora impegnati nelle scuole medie.
La Stampa 21.01.10

******

Scuola o lavoro: a 15 anni la scelta, di An. Pa:
La Commissione Lavoro della Camera, com’era prevedibile, dice sì. Ed è subito polemica. Perché uno degli emendamenti al disegno di legge sul lavoro ritenuti ammissibili dalla Commissione stessa (si è ancora, comunque, a una tappa intermedia, il testo andrà in aula il 25 e dovrà poi tornare ancora al Senato per la rilettura e l’approvazione definitiva) è quello che “diploma” l’apprendistato come lecita alternativa all’ultimo anno di scuola dell’obbligo. La legge oggi fissa l’età dell’obbligo scolastico a 16 anni. Ora potrebbe calare a 15 con un anno aggiuntivo di apprendistato. Lo stabilisce il testo proposto dallo stesso relatore del ddl, e vice presidente della Commissione, Giuliano Cazzola. Il provvedimento riguarda i ragazzi che scelgono di non continuare la scuola fino a 16 anni e devono frequentare così i corsi di formazione professionale regionali di due anni. Il secondo anno si potrà fare facoltativamente in azienda e varrà come assolvimento dell’obbligo scolastico.

Il ministro dell’Istruzione Mariastella Gelmini si dice «favorevole a ogni iniziativa che permetta un rapido inserimento dei giovani nel mondo del lavoro, consentendo così ai giovani di disporre delle competenze necessarie per trovare un’occupazione», e il suo collega di governo Maurizio Sacconi, ministro del Lavoro, bolla come «ideologia» ogni resistenza al provvedimento, argomentando che «migliaia di giovani tra i 14 e i 16 anni, superata la scuola media, né studiano né lavorano, e talora lavorano in nero», è però un coro decisamente alto e nutrito quello che tuona contro l’ipotesi prefigurata dall’emendamento Cazzola.

Sono unanimi, e duri, i sindacati: la Cisl parla di scelta «frettolosa, e senza nessuna consultazione delle parti sociali»; la Uil ribadisce di «essere sempre stata a favore dell’innalzamento dell’obbligo scolastico e, di conseguenza, mai stanchi di ripetere in tutte le occasioni e le sedi quanto sia importante alzare il livello di istruzione dei giovani»; e la Cgil tuona contro l’«abbassamento dei diritti» e la «mera propaganda» che non aiutano certo a «risolvere temi centrali come il lavoro dei giovani e la lotta al sommerso». Per il sindacato di Guglielmo Epifani, anzi «l’abbassamento dell’obbligo scolastico a quindici anni attraverso l’apprendistato è sbagliato dal versante formativo, e per questo non deve essere approvato; ma è altrettanto grave che si tenti in questo modo di superare surrettiziamente mediante questa via anche l’età minima per lavorare, fissata per legge a 16 anni».

Fuoco di fila anche dai partiti di opposizione. «La maggioranza e il ministro Sacconi hanno deciso di fare carta straccia dell’obbligo scolastico», commenta Giuseppe Fioroni, responsabile Pd area Welfare ed ex titolare del dicastero oggi affidato alla Gelmini. «Ancora una volta il governo Berlusconi, totalmente incapace di riforme si impegna a distruggere quelle fatte togliendo opportunità di futuro ai giovani e di sviluppo economico per il Paese», dichiara invece Mariangela Bastico annunciando «opposizione dura» da parte del centrosinistra. E dalla sponda Idv Antonio Borghesi, vice capogruppo alla Camera, è drastico: «Ci troviamo di fronte a un governo ignorante che incita all’ignoranza». Fa ironia infine la Rete degli studenti, secondo la quale l’emendamento passato in Commissione «traduce in legge la proposta di Sacconi di qualche settimana fa, di mandare cioè i giovani a raccogliere le arance al posto degli immigrati a Rosarno».

Difende il provvedimento, invece, lo stesso relatore del disegno di legge e proponente della modifica che ha scatenato la polemica: «Il provvedimento riguarderà alcune decine di migliaia di quindicenni che dopo il primo anno di scuola superiore avrebbero continuato a vivere in ogni caso male l’obbligo scolastico di cui si sarebbero sentiti ostaggi».

Quanto a Confindustria «contina ad insistere sul fatto che serve più formazione, più scuola», sottolinea Emma Maecegalgia, per la quale però la misura contestata può anche essere letta in un’ottica positiva «se è nella logica di dare una risposta al problema di chi abbandona la scuola.
Il Messaggero 21.01.10

******

“L´obbligo scolastico scende a 15 anni”, di Roberto Mania
Cade l´obbligo scolastico fino a 16 anni: l´ultimo anno, un quindicenne, anziché stare sui banchi di scuola, potrà andare a fare il garzone in una bottega o in un´officina con un contratto di apprendistato. Lo prevede un emendamento, fortemente voluto dal ministro del Welfare, Maurizio Sacconi, approvato ieri dalla Commissione Lavoro impegnata nell´esame del cosiddetto “collegato-lavoro” alla Finanziaria.
Il disegno di legge passerà lunedì in Aula, ma la norma – in un Paese nel quale l´abbandono scolastico sfiora il 22 per cento contro una media europea di circa il 15 per cento – ha subito scatenato lo scontro politico e culturale. A sostegno dell´emendamento (presentato dal relatore Giuliano Cazzola) sono scesi in campo i due ministri direttamente interessati: Sacconi e Mariastella Gelmini (Pubblica Istruzione). Con loro la presidente della Confindustria, Emma Marcegaglia, e quello della Confartigianato, Giorgio Guerrini. Contro le opposizioni politiche (Pd e Idv), tutti i sindacati Cgil, Cisl e Uil (per una volta uniti) nonché gli artigiani della Cna.
Una bagarre che ha colto di sorpresa lo stesso relatore Cazzola: «È una tempesta in un bicchier d´acqua. È solo una possibilità prevista per chi dopo le medie rischia di non fare sostanzialmente nulla per un biennio in attesa di compiere i 16 anni e potere andare a lavorare». La tesi del ministro Sacconi è che non si abbassi l´età di accesso al lavoro («pensarlo è una porcheria», ha detto) bensì si consenta, attraverso un apprendimento in un luogo di lavoro, di acquisire «una qualifica e cioè un titolo di studio del secondo ciclo». Certo i numeri dei ragazzi che rimangono in uno stato di inattività, una volta terminate le scuole medie, fanno impressione: secondo l´ultimo rapporto dell´Isfol (l´istituto che per il ministero si occupa di formazione), sono 126 mila (pari al 5,4 per cento) i giovani tra i 14 e i 17 anni fuori da qualsiasi percorso di istruzione e formazione.
Anche sulla base di queste cifre, Sacconi sostiene da tempo che si debba rafforzare l´istituto dell´apprendistato e che questo serva alle imprese, soprattutto quelle piccole. La conferma è arrivata con una dichiarazione della Marcegaglia secondo la quale «la norma viene incontro all´esigenza che c´è soprattutto in alcune zone del paese dove a 14 anni si interrompono gli studi e si va al lavoro». Fenomeno – va detto – che interessa in particolare il nord e che comunque finisce inevitabilmente per schiacciare i giovani lavoratori nel sommerso essendo vietato lavorare a 14 anni. In ogni caso, ha aggiunto la Marcegaglia: «Serve più formazione e più scuola. Ma questa misura può essere letta in un´ottica positiva se è nella logica di dare una risposta al problema di chi abbandona la scuola».
Molto diverso l´approccio di Cesare Damiano, ex ministro del Lavoro nel governo Prodi: «Questo governo, ammaestrato dagli errori del passato, non scegli più lo scontro su elementi simbolici come fu sull´articolo 18. Bensì, attraverso norme, codicilli, emendamenti e sub-emendamenti, in modo sapiente e chirurgico, manomette il diritto al lavoro e all´istruzione».
A incrinare la saldezza del fronte imprenditoriale è stato il presidente della Cna, Ivan Malavasi: «Sono sorpreso dalla scelta del governo che non ha nemmeno consultato le parti sociali. Credo piuttosto che i livelli di istruzione vadano innalzati e che per risolvere il problema che dice il ministro ci siano altre strade». Da lunedì la parola all´Aula di Montecitorio.
La Repubblica 21.01.10

3 Commenti

    I commenti sono chiusi.