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"Troppi debiti su imprese e famiglie la crisi globale non è ancora finita", Eugenio Occorsio intervista il Nobel Michael Spence

«La ripresa in America ma soprattutto in Europa sarà molto lenta, molto faticosa e caratterizzata da continui stop and go. Tutto questo perché non sono stati risolti i problemi strutturali che hanno provocato la crisi, dal debito americano alle finanze pubbliche europee». Michael Spence, 68 anni, premio Nobel 2001, il più europeo fra gli economisti americani di spicco se non altro perché vive a Milano ormai da anni dopo essere stato a lungo preside del dipartimento di Economia di Stanford, si iscrive senza dimostrare alcun dubbio al partito dei pessimisti in questo vorticoso giro di cifre e previsioni sull´economia del 2010.
Lei ha vinto il Nobel per i suoi studi sull´effetto delle informazioni “asimmetriche” quando arrivano sui mercati. E più asimmetriche di queste…
«E´ logico che quando si esce da una crisi di queste proporzioni tutti si esercitino sulle proiezioni per i mesi a venire. Il fatto è che non ne siamo ancora usciti. Perlomeno dobbiamo stare attenti a non farci abbagliare da previsioni di una crescita di pochi decimali, perché è tale l´abisso dove eravamo finiti…»
C´è il rischio di un “double dip”, insomma di ricominciare da capo?
«Forse del double dip proprio no, ma di sicuro ci attendono ancora mesi difficilissimi. In America la crisi è cominciata, ed è stata dovuta all´eccessivo indebitamento. Mi spiega com´è possibile che famiglie e aziende si siano liberate da questa massa di debiti in così poco tempo? Oltretutto buona parte del debito dei privati era legato alle case, e i valori sono crollati. Serviranno ancora molti anni».
E l´Europa?
«Qui come dicevo la situazione è ancora peggiore. Ha fatto molto bene la banca centrale ad avvertire che la disoccupazione è destinata ad aumentare, perché non potrà essere altrimenti visti gli attuali flussi di domanda e commerci nel mondo».
Significa che l´Europa non riesce a ripristinare un´adeguata forza di export?
«Certo. La Cina, per esempio, destinata a diventare la seconda economia del mondo, in realtà non fa da locomotiva a nessuno se non a se stessa perché genera pochissima domanda. Ma con l´America le cose sono destinate a migliorare perché secondo me Pechino finirà col cedere alle richieste di rivalutazione dello yuan sul dollaro, e comunque oggi è stabile. Invece per l´euro, che soffre per la continua rivalutazione sia contro il dollaro che contro lo yuan, il trend già oggi è negativo, nel senso che tutto lavora contro le esportazioni europee non solo in Cina ma in tutti i paesi che le ruotano intorno, e c´è il pericolo che la situazione peggiori ancora».
Lei accennava alla debolezza del dollaro, però in questi giorni c´è un po´ di rivalutazione…
«È dovuta al nervosismo dei mercati globali sull´euro per la crisi finanziaria di Grecia e Spagna, i cui sviluppi non sono in effetti molto chiari ma che potrebbe portare ad una crisi della valuta. Ma sinceramente credo che più forte di tutti i fattori sarà ancora la precisa determinazione delle autorità americane di tenere il dollaro debole per favorire l´export Usa: l´euro, e quindi il continente che ne è espressione, è destinato a restare chiuso in questa morsa. E la disoccupazione ad aumentare».
La Repubblica 22.01.10