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"E le torri crollano dalla vergogna", di Edmondo Berselli

Si sapeva della propensione irrefrenabile per l´altro sesso dell´economista. Tra i cittadini c´è un senso di scoraggiamento, come di qualcosa di irrimediabile. Prima di analizzare la contorta vicenda di Flavio Delbono sarà meglio capire chi è e che cos´è il sindaco di Bologna. Subito dopo la Liberazione, Giuseppe Dozza si toglieva il cappello di fronte a tutti i concittadini che incontrava.
Era il sindaco «di tutti» a cui si ispirò Giorgio Guazzaloca lanciando la propria candidatura «a 360 gradi», seppure di destra tradizionalista. Dopo di lui, rimangono nella memoria i sindaci «storici», come Guido Fanti e Renato Zangheri, sindaci eterni, immutabili perfino nella fisionomia, a cui non si può ricondurre nessuna caratteristica che non sia il comunismo. Era il comunismo emiliano. Un pragmatismo senza pari nel rapporto con l´economia e un´ortodossia studiatissima e prudentissima sul piano ideologico. Il tutto mediato da facce di legno che rendevano immutabili volti e corpi, e rendevano perfettamente credibili quei volti immobili come depositi di moralità socialista, credibili per sempre e per tutti. Così quando arrivò Sergio Cofferati, fu fin troppo facile scherzare sul Cinese («è come comprare i tortellini in Svezia» disse Luca Cordero di Montezemolo»), ma l´aspetto principale fu che Cofferati fece una campagna a tappeto, dalle polisportive ai partigiani e alle associazioni di donne, accompagnato dalla moglie, rapidamente liquidata per stanchezza matrimoniale dopo la facile vittoria elettorale.
E poi, evviva. Si era mai visto un sindaco con una compagna, Raffaella Rocca, di venticinque anni più giovane? In una città non morale, figurarsi, ma certamente moralista? Bastava attendere il successivo turno elettorale, con tanto di primarie, per essere soddisfatti: ecco a voi Flavio Delbono, giovane, prodiano, di sinistra ma non comunista, noto a tutte le istituzioni pubbliche che ha frequentato per la sua propensione irrefrenabile per l´altro sesso.
Tanto che quando si comincia a parlare del suo passaggio dalla vicepresidenza della Regione alla poltrona di Palazzo D´Accursio, qualcuno storce il naso con l´ambiente di Romano Prodi: «Non è che gli piacciono troppo le donne?». Ma dai, che cosa vuoi che sia, rispondono dal Pd, dove non ci sono candidati alternativi. Inoltre lo qualificano come cattolico, viene dalla Margherita, sembra avere tutti i requisiti in regola per la moralità prodiana. Per la verità, Delbono convive con una signora bene, Cinzia Cracchi, elegante sul genere Prada, occhiali sempre vistosi, pantaloni alla grande. Ma per giungere a questo legame informale, Delbono ha dovuto lasciare la prima e la seconda moglie (quest´ultima mentre era incinta, dice il gossip bolognese). E poi, mentre era in Regione, darsi a una vita goliardica, fatta di assunzioni clientelari (diciamo così) e di viaggi più o meno di lavoro, in Messico, a Santo Domingo. A cui si aggiunge una incomprensibile storia di bancomat, di auto blu, e piccole spese sulla carta di credito della Regione, che Delbono ieri ha cercato di spiegare al procuratore Morena Piazzi in un lungo colloquio (mentre Delbono si dice in grado di spiegare tutto, il procuratore continua a contestargli il reato di truffa aggravata).
In un altro momento, e in un´altra situazione politica, a Delbono avrebbero già chiesto (e da lui ottenuto) le dimissioni. Figurarsi: Bologna, ovvero la capitale della questione morale. La città dove Pertini tenne stretta la mano a Zangheri dopo la strage del 2 agosto 1980. Ma non solo: Bologna come simbolo assoluto della moralità comunista e del suo modello alternativo rispetto al malgoverno romano. Oggi questo simbolo cade mediocremente e forse tragicamente per alcune storielle prive di peso ma drammaticamente importanti perché coinvolgono la psicologia dei cittadini e la loro identità. Perché sono le due Torri a crollare, il profilo della città, il senso di una diversità su cui si è formata l´immagine di Bologna.
A parlare con i cittadini di Bologna si avverte un senso di scoraggiamento, come se fosse avvenuto qualcosa di irrimediabile, ma anche di prevedibile. Stiamo tornando nella normalità, sembrano dire i mugugni della gente di fronte alle domande sul caso Delbono. Anzi, ai tentativi di domanda. Gianfranco Pasquino, politologo, che si candidò alle primarie facendo perdere a Delbono quel due per cento virgola qualcosa che impedì al primo competitore e vincitore designato Flavio Delbono di vincere al primo turno, scrive in questi giorni che chi ha responsabilità pubbliche deve essere il più trasparente possibile, portatore di etica. Non è neppure una vendetta. E semplicemente la dimostrazione che il Pd, erede del Pci, non è mai stato in grado di autogestirsi.
Il vecchio Pci era un blocco di potere che non permetteva a nessuno di trovare strade diverse o alternative. Nel Pd invece ci sono numerosi nuclei che tentano di gestire il potere a loro volta. Sarà un vantaggio perché ciò significa la fine dello stalinismo, ma è uno svantaggio perché questo rappresenta la perdita di controllo dei dirigenti sul partito. Segretari di sezione, di federazione o di qualsiasi cosa imperversano sui quotidiani, senza che il loro ruolo sia mai stato chiarito. Basta leggere le cronache locali per osservare il calvario per tutto ciò che rappresenta la scelta delle candidature alle regionali. Ma soprattutto per avere la sensazione di una netta distanza fra la città e la sua nuova classe politica. Nei salotti, intanto, la borghesia bolognese ridacchia sulle ultime tragedie della sinistra. Un ceto che aveva sempre scelto la sinistra per opportunismo e per abitudine si trova a sghignazzare grazie ai regali di una classe dirigente malcresciuta.
C´era l´abitudine, in tempi elettorali, di ritrovarsi nelle migliori case di Bologna, in compagnia di Andreatta, Prodi e un po´ di supermanager (Gnudi, Clò). Era il luogo in cui si formavano le opinioni; si discutevano i problemi del paese, si generavano amicizie. Adesso anche quella Bologna tace. Si è indebolita come il Partito democratico. Dovrà trovare un nuovo referente politico. Ma per Bologna, la grassa eccetera, dov´è il partito nuovo capace di sostituire le parole, e soprattutto i silenzi e l´etica, di quel partito che veniva da lontano?
La Repubblica 24.01.10