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Un treno per Auschwitz: saluto ai 600 studenti che partecipano al viaggio della memoria

Purtroppo impegni parlamentari mi impediscono quest’anno di partecipare alla partenza del Treno per Auschwitz. Fin da quando ricoprivo la carica di assessore alla cultura e al progetto memoria del Comune di Carpi, non ho mai voluto perdere questo evento, carico di forti significati simbolici che evocano il tragico itinerario percorso dai deportati trascinati verso l’inferno dei campi di sterminio nazisti.
Ogni volta mi sono interrogata su quale fosse lo stato d’animo dei ragazzi che si apprestavano a partire. Li ho guardati negli occhi per capire cosa stessero pensando. Nei loro sguardi ho avvertito in alcuni casi curiosità; in altri ho colto l’eccitazione che si prova prima di cominciare un’esperienza inedita; alcuni mi pareva che intuissero cosa stavano per fare; altri apparivano indifferenti.
Insomma, ho osservato un’eterogeneità di emozioni che non si può ridurre ad un unico sentimento.
Ma ciò che ho trovato sempre straordinario è stato verificare come, viceversa, al rientro cinque giorni dopo, gli sguardi dei ragazzi che scendevano dal treno avessero tutti qualcosa in comune.
Avevano condiviso un’esperienza straordinaria e irripetibile, che aveva scosso le loro coscienze.
La riflessione sulla storia più buia del nostro passato e il contatto diretto con i luoghi dove essa si è svolta aveva consegnato a questi giovani una consapevolezza che prima non avevano, e che forse nessun libro avrebbe mai potuto trasmettere. Aveva fatto di loro dei testimoni.
Per questa ragione, il Treno per Auschwitz è molto più di un progetto didattico che guarda al passato e che si occupa di storia: è un’esperienza di vita che si rivolge al futuro.
Al futuro della generazione che anche oggi si appresta a partire e alla quale trasmetto i miei più affettuosi saluti.

On. Manuela Ghizzoni

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Ritorno a Fossoli stazione per l´inferno , di TAHAR BEN JELLOUN
Carpi, una delle più graziose cittadine dell´Italia settentrionale, cinquantotto chilometri da Bologna, non va confusa con Capri. Un gruppo di turisti americani vi si è ritrovato qualche mese fa, e si è chiesto per quale motivo il mare non si vedesse. Carpi ha sessantamila abitanti, più di diecimila dei quali immigrati in buona parte da Pakistan, Marocco e Cina e al lavoro nei campi e nell´industria dell´abbigliamento. È una cittadina tranquilla che va fiera della propria piazza, la più grande in Europa: si chiama piazza dei Martiri in memoria di sedici partigiani, i cui cadaveri furono esposti per tre giorni dai soldati fascisti nell´agosto 1944. Carpi, da sempre di sinistra, conserva una buona qualità della vita. Ma questa città che a fine Ottocento contava oltre cinquemila ebrei oggi se ne ritrova soltanto sette, un numero insufficiente per aprire una sinagoga. Gli ebrei di Carpi erano andati incontro a persecuzioni tra il 1290 e il 1294, ma soltanto nel 1719 il ghetto fu chiuso e ricevettero l´autorizzazione a costruirsi un luogo di culto.
Ciò non rese loro in ogni caso la vita facile. Se ne andarono: nel 1898 a Carpi erano rimasti non più di trenta ebrei, e ciò portò alla chiusura della sinagoga nel 1922. Quando nel 1938 furono promulgate le leggi razziali – sulla falsariga delle leggi tedesche del 1935 – gli ebrei italiani furono presi apertamente di mira. Formavano l´élite intellettuale, appartenevamo alla borghesia o a una classe media molto agiata. Per loro quelle leggi furono veramente inimmaginabili. Non pensavano affatto che un giorno sarebbero stati discriminati nel loro stesso Paese, scacciati dalle scuole, esclusi dai mezzi pubblici, umiliati pubblicamente dai fascisti. Attesero il peggio e il peggio arrivò. Il premio Nobel per la medicina del 1986 Rita Levi Montalcini, oggi centenaria, nel 1938 era scappata in Belgio. Il governo di Mussolini aprì alcuni campi di concentramento per ammassarvi l´opposizione politica da una parte e gli ebrei dall´altra.
Ciò accadde proprio nei dintorni di Carpi, per la precisione a Fossoli, in aperta campagna. Agli ebrei furono destinate otto baracche, nelle quali furono rinchiuse intere famiglie. In ogni camerata c´erano tra le centocinquanta e le centosessanta persone. Le condizioni di detenzione erano «più o meno corrette» – raccontano oggi alcuni dei sopravvissuti -, soprattutto se paragonate a quelle che avrebbero vissuto a Auschwitz o a Bergen-Belsen, dove il novantadue per cento dei prigionieri fu sterminato dai nazisti. Gli oppositori politici furono spediti a Mauthausen, in Austria.
Primo Levi fu arrestato per motivi politici il 13 dicembre 1943 in Val d´Aosta, ma nel suo interrogatorio confessò di essere anche ebreo. Fu spedito immediatamente nel campo di Fossoli dove rimase un mese nelle baracche riservate agli ebrei, per la precisione nella sesta. Poi, il 22 febbraio 1944, fu deportato ad Auschwitz. Nel suo libro Se questo è un uomo parla poco di Fossoli: «Ci caricarono sui torpedoni, e ci portarono alla stazione di Carpi. Qui ci attendeva il treno e la scorta per il viaggio. Qui ricevemmo i primi colpi e la cosa fu così nuova e insensata che non provammo dolore, nel corpo né nell´anima. Soltanto uno stupore profondo: come si può percuotere un uomo senza collera?».
La discrezione e il coraggio di Levi furono notati dai suoi compatrioti, come testimoniamo alcuni sopravvissuti. Egli aveva assistito all´esecuzione di donne incinte e di anziani, perché in attesa della morte in ogni caso certa non erano risultati adatti a lavorare nei campi. Quell´uomo ferito così profondamente si convinse che le parole non potessero bastare a reggere il peso di una simile tragedia.
Il 12 luglio 1944 i nazisti uccisero nel campo di Fossoli settanta antifascisti, i cui nomi sono scritti sulle pareti del museo di Carpi. Il campo di Fossoli è diventato oggi un luogo della memoria. È visitato dalle scolaresche (fino a quarantamila studenti ogni anno), da stranieri, da storici, dai familiari di chi vi perse la vita. Una mostra permanente ricorda che cosa fu quel luogo, cosa fu quell´epoca. È interessante vedere il primo numero della rivista fascista La difesa della razza, datato agosto 1938, un mese prima che entrassero in vigore le leggi razziali. Foto, testimonianze, disegni, modellini, tutto ciò che serve a rendere l´idea di quello che accadde in quegli anni disgraziati è lì esposto.
La sinagoga principale, situata all´angolo tra la piazza dei Martiri e via Giulio Rovighi, è vuota. Funge da ufficio per la Fondazione dell´ex-campo di Fossoli. Più lontano, il museo della memoria è situato di fronte alla più vecchia chiesa di Carpi, Santa Maria del Castello detta la Sagra. Sulle sue pareti sono incisi migliaia di nomi. Vi sono delle voci registrate, dei disegni su pietra, uno dei quali di Picasso, e un muro dipinto da Guttuso in ricordo delle Fosse Ardeatine, l´esecuzione di 335 civili nella rappresaglia per l´attentato del 23 marzo 1944 a Roma nel quale erano stati uccisi trentatré tedeschi.
Le pareti del museo sono interamente ricoperte di brani di lettere scritte dai deportati: «Le porte si aprono… ed ecco i nostri assassini. Sono vestiti di nero. Le loro mani sporche indossano guanti bianchi» (Esther); «Io muoio, ma vivrò» (Alekscin); «Se tu avessi visto, come io ho visto in questa prigione, ciò che fanno patire agli ebrei, rimpiangeresti di non averne salvati in numero maggiore» (Odoardo); «Sono fiero di meritare questa pena» (Pierre); «Che cosa può fare un uomo che si trova in prigione e che è minacciato di morte sicura? Eppure mi temono» (Sawa); «La mia bocca vi porterà sulle labbra mute» (Emile).
E così Carpi mantiene viva la memoria delle vittime del fascismo e del nazismo. I suoi abitanti amano altresì ricordare che è una regione ricca, che non ha mai votato a destra e che coltiva le sue tradizioni culinarie, famose per il parmigiano e l´aceto balsamico. C´è un centro culturale molto attivo, e ogni anno si organizza un grande festival letterario, la Festa del racconto. Alcuni ricordano con umorismo che i genitori dell´attore americano Ernest Borgnine sono di Carpi. Dicono: «Carpi ha regalato al cinema il più celebre interprete di ruoli secondari, spesso cattivo e crudele. Ma Ernesto Bordino (il suo vero nome) è un uomo così affascinante!».
Traduzione di Anna Bissanti