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"L'immunità e lo spirito dei gangster", di Franco Cordero

Starà lontano dai tribunali, quasi fossero plotoni d´esecuzione: parole sue; altro che ricacciare le accuse in gola al pubblico ministero rosso, come blaterava. Erano latta i due scudi immunitari e vituperando i fabbri inetti, s´è ordinato il terzo in metallo forte (una legge ex articolo 138 della Costituzione, ma sarebbe altrettanto invalida).
Il dl numero 1880, applaudito a Palazzo Madama mercoledì 20 gennaio, sotterra i processi pendenti a decine di migliaia: l´ordine al ministro era tassativo, servirglielo in due mesi o perde i sigilli (qui, 22 novembre 2009); e resta nell´utero finché la Cassazione abbia deciso sul ricorso Mills, mentre la filanda allestisce una presunzione iuris et de iure d´impedimento del premier a comparire. Splende lo stile gangsteristico: il testo votato dalla Camera alta è una pistola alla tempia del paese; e nella pentola stregonesca bolle un´altra idea, riesumare l´immunità parlamentare. Esisteva (articolo 68 della Costituzione): l´ha abrogata una legge costituzionale 29 ottobre 1993 numero 3; vogliono risuscitarla nella stessa forma. Parliamone cominciando dallo Statuto albertino, 4 marzo 1848: «Nessun deputato può essere arrestato, fuori del caso di flagrante delitto, né tradotto in giudizio senza il previo consenso della Camera» (articolo 46); i senatori, allora nominati a vita dal re, godono d´un foro speciale, giudicabili solo dai loro pari (articolo 37). L´immunità processuale difende i deputati antigovernativi da una magistratura devota alla monarchia (articolo 68: «La giustizia emana dal re ed è amministrata in suo nome dai giudici ch´egli istituisce»): e i pensanti notano come sia un quadro inverso dell´attuale; adesso sono gli uomini del governo a temere la giurisdizione indipendente (articolo 101 della Costituzione).
I costituenti 1946-47 vedevano la politica in chiave virtuosa. Dopo tre decadi fioriscono “culture” alquanto diverse: l´egemone è impresario d´affari bui, via via più grossi, re pirata delle televisioni commerciali sotto l´ala del postmarxista rosa Bettino Craxi; Giulio Andreotti gli cuce addosso un´oscena legge Mammì, agosto 1990, dichiarata invalida dalla Consulta, 5 dicembre 1994, ma ormai les jeux sont faits. La criminalità in colletto politico allevava un debito pubblico da bancarotta. Erano taglia esosa le tangenti riscosse dai partiti, con largo arricchimento privato. L´arresto d´un amministratore (Mario Chiesa, presidente del milanese Pio Albergo Trivulzio, 17 febbraio 1992) innesca effetti domino: i pagatori coatti vengono a denunciarsi; pochi mesi disintegrano Dc e Psi (particolare curioso: il segretario risanatore era Ottaviano Del Turco, il cui nome riappare l´anno scorso sullo scenario penale della sanità abruzzese). Il parlamento fungeva da luogo d´asilo: e lo rimane, visto il voto 29 aprile 1993, con cui la Camera bassa salva Craxi dalle accuse più gravi, ma sei giorni dopo abolisce l´impopolare voto segreto in questa materia; idem Palazzo Madama l´indomani; e con le foglie d´autunno l´immunità parlamentare cade come una Bastiglia diroccata o la statua staliniana nella Piazza Rossa. Ma siccome la malattia era radicata, morbus italicus, sopravvengono metastasi: fingendosi uomo nuovo, l´avventuriero parassita dei partiti morti raccoglie l´eredità, donde un lungo riflusso; nel sedicesimo anno dall´intrusione imperversa senza ritegno. La platea pare stupefatta: incalliti Tartufi gli rendono ossequio; i soliti chierici salmodiano e scampanellano; vigono iniqui privilegi. Vediamone uno: l´articolo 68 della Costituzione subordina ancora perquisizioni e intercettazioni al permesso della Camera competente; è già favore incongruo, e niente lo giustifica quando l´incauto onorevole sia ascoltato su linee altrui; lì non esisteva tutela; paghi dazio l´incauto parlatore. L´articolo 4 legge 20 giugno 2003 numero 140 contempla tale caso: le cose dette svaniscono se l´assemblea vieta d´usarle; anche fossero corpo d´un reato flagrante? Sì, risponderebbero sull´attenti i gruppi Pdl. Li abbiamo visti, automi parlanti al cenno del padrone, qualunque cosa ordini.
Dunque, i berluscones rivogliono l´immunità parlamentare: che vìoli il principio d´eguaglianza, lo vede anche un bambino appena sveglio; manterremmo otto o novecento invulnerabili dalla giurisdizione penale, finché non lo conceda la Camera dove siedono. Responsi insindacabili. Dire che vaglino il cosiddetto fumus delicti, è formula ipocrita, falsa in fatto, assurda in logica normativa, dovunque i poteri siano separati, né esistono limiti temporali: sui banchi invecchiano dinosauri con sette o otto legislature, id est quarant´anni, senza contare i senatori a vita; e che l´essere «toccabili» o no dipenda dai motivi sommersi d´un voto dei colleghi, costituisce ulteriore vizio. Le Camere ridiventano luogo d´asilo: “confugio” era il nome corrente nel foro napoletano quando chiese e conventi ospitavano gl´immuni, tema d´un conflitto permanente tra le autorità laiche ed ecclesiastiche; Mater Ecclesia difende i privilegi con le unghie. Veniamo al clou: l´articolo 3 della Costituzione non ammette persone diseguali ma l´immunità era prevista dall´articolo 68; possibile che fosse invalido? Ci vuol poco a sciogliere l´apparente paradosso. I complessi normativi vivono, diversamente dai teoremi d´Euclide: mutando l´ambiente, variano i significati delle formule; sessantadue anni fa nessuno pensava che saremmo diventati armento d´uno strapotente pirata. Inoltre, non è norma intangibile qualunque testo votato ex articolo 138: deve inquadrarsi nel sistema, altrimenti sarebbero interpolabili le regole più matte da chi controlla i due terzi dei seggi; ad esempio, non luogo a procedere se così delibera una corte d´onore (nelle monarchie assolute circolavano lettres de cachet) o la tessera d´un partito quale requisito d´ammissione al pubblico impiego (vedi regime fascista). Norme simili nascono morte, secondo la Costituzione vigente, salvo prendere piede, perché avvento e caduta degli ordinamenti sono puro fatto: non sarebbe la prima volta che soperchierie diventano legge; e divus Berlusco può riuscirvi, con tutti quegli sgherri, così ricco, padrone delle lanterne magiche.
La Repubblica 28.01.10