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"15enni in azienda come se fossero a scuola, la Camera approva", di A.G.

Come previsto l’Aula ha detto sì a maggioranza all’emendamento Cazzola che anticipa di un anno l’apprendistato: ma c’è l’obbligo di trovare un’intesa tra Regioni, ministero del Lavoro e dell’Istruzione. Bordate dall’ex ministro Fioroni: siamo il Paese con meno diplomati e laureati, imbocchiamo una china pericolosa. Nessuna sorpresa: il 28 gennaio l’Aula della Camera, a maggioranza e con il parere favorevole del governo, ha dato il via libera per l’assolvimento all’ultimo anno di obbligo di istruzione (quindi tra i 15 ed i 16 anni) attraverso l’apprendistato. Come preannunciato nei giorni scorsi, in fase di revisione finale è stato approvato un “ritocco” di non poco conto: poiché la tipologia di apprendistato-scolastico rientra nelle norme di attuazione della legge Biagi, per vedere attuata la norma sarà “necessaria l’intesa – riporta la stessa norma contenuta nel ddl lavoro – tra Regioni, ministero del Lavoro e ministero dell’Istruzione, sentite le parti sociali”.La modifica è giunta soprattutto a seguito delle tante polemiche che si sono scatenate nei giorni scorsi per l’approvazione del cosiddetto emendamento Cazzola. L’opposizione, che ha votato contro, ha ribadito sino all’ultimo la sua contrarietà al provvedimento, inteso come una scelta in controtendenza rispetto alle indicazioni dell’Ue che tendono ad innalzare l’obbligo formativo. Secondo Giuseppe Fioroni (Pd), ex ministro dell’Istruzione, invece la norma “toglierà un altro pezzo di futuro ai nostri figli. Stiamo parlando del biennio – ha detto Fioroni – che deve consentire ai giovani di essere posti in condizione, di avere saperi, competenze e apprendimenti che gli assi previsti dalla Comunità Europea consentono a tutti i ragazzi degli altri Paesi. L’unica cosa certa è che questo obbligo di istruzione costa e noi siamo il Paese che ha meno diplomati, meno laureati e meno giovani con qualifiche professionali. Oggi imbocchiamo – ha concluso – una china pericolosa perché non vogliamo dare le risorse all’istruzione”.La maggioranza, dal canto suo, ha ribadito che il provvedimento è stato voluto specificatamente per contrastare l’ancora troppo alto tasso (quasi il 20%) di studenti che lasciano la scuola benché ancora in età di obbligo formativo. E le esperienze di lavoro possono essere altamente formative al pari di quelle scolastiche.

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Di seguito riportiamo alcuni interventi di ieri alla Camera dei Deputati proprio sul tema dell’anticipo dell’apprendistato

MANUELA GHIZZONI. Signor Presidente, il collega Baldelli poco fa ha citato i ragazzi che hanno l’intelligenza nelle mani e ha sostenuto che il nostro approccio ideologico impedirebbe loro di acquisire un titolo. Il problema, collega, non è tanto quello di acquisire un titolo, quanto di permettere a tutti questi ragazzi, a sedici anni, di acquisire competenze e saperi che sono fondamentali per la loro vita adulta, che si gioca nella società della conoscenza, dove le mani sono importanti, ma non sono sufficienti. Allora, per « fare qualcosa di sinistra », collega, dovremmo assolutamente stralciare questa norma e insieme riscrivere un progetto alternativo, per consentire davvero pari opportunità di formazione e di istruzione, e ci dovremmo mettere anche un po’ di risorse. Non vi chiedo un gesto di sinistra, ma uno di coerenza.

EMILIA GRAZIA DE BIASI. Signor Presidente, vorrei dire al relatore che ha fatto riferimento alla legge Biagi – legge discutibile per molte parti ed utile per altre – che c’è una contraddizione in quello che sta facendo questo Governo. Infatti, da una parte, avete chiesto che la formazione professionale risulti capace di assolvere all’obbligo scolastico (formazione professionale alle regioni e quindi potenziamento e qualificazione). Giusta o sbagliata che sia questa è una realtà.
Non si capisce per quale motivo dobbiate però adesso pensare a un gradino sotto, ossia scegliere di nuovo la strada per i tagliati fuori. È contraddittorio rispetto alle vostre scelte, signor sottosegretario, non rispetto all’idea del Partito Democratico. Infatti ancora una volta abbassate il livello sociale di un gradino, dopo che avete tentato di innalzarlo. Vorrei che faceste chiarezza tra di voi, a meno che non abbiate in mente il fatto che i ricchi abbiano una scuola e i poveri, come sempre, è meglio che siano tagliati fuori.

GIOVANNI BATTISTA BACHELET. Signor Presidente, al problema vero della dispersione scolastica qui si dà una soluzione peggiore del male: aboliamo un anno di scuola e buonanotte. Lo scopo non ndichiarato è quello di ridurre, senza se e senza ma, l’offerta scolastica, anziché provare a migliorarla e a renderla più adeguata ai ragazzi in fuga dalla scuola. Si riesce a far discutere a vanvera il Parlamento e i giornali di una alternanza tra scuola e lavoro che è strutturalmente priva di adeguata legislazione e finanziamento e quindi non esisterà mai nella realtà, rivelando che questo provvedimento è l’ennesima bufala ideologica, atta a mascherare la riduzione della spesa pubblica dell’istruzione. Per fortuna, le famiglie e molte realtà educative pubbliche e private, specialmente quelle strutturalmente più vicine ai ragazzi in difficoltà con la scuola dell’obbligo, come i Salesiani di cui parlava l’onorevole Baldelli, sanno bene che ogni battaglia contro la dispersione scolastica richiede maggiori, non minori, risorse e controlli pubblici e non cadono perciò in questa trappola. Non ci cadiamo neanche noi, che voteremo contro.

GIUSEPPE FIORONI. Signor Presidente, ho ascoltato con attenzione gli interventi del relatore e di tanti colleghi della maggioranza, che hanno parlato dell’obbligo di istruzione. A me preoccupa che in questo dibattito – credo solo per superficialità, non certo per sciatteria e non voglio pensare neanche per ignoranza, intesa come l’ignorare ciò di cui stiamo parlando – si faccia confusione: l’obbligo di istruzione che qui si abroga non è l’obbligo scolastico. Non stiamo parlando di ragazzi che sono costretti a 16 anni a stare in classe con le catene legate ai banchi, ma stiamo parlando di quel biennio che deve consentire ai nostri figli di essere posti nella condizione di avere saperi, competenze ed apprendimenti che gli assi previsti dalla Comunità europea consentono a tutti i ragazzi degli altri Paesi europei.
L’obbligo di istruzione già oggi è svolto all’interno di percorsi di istruzione e formazione e nel rapporto tra scuola e lavoro. L’unica cosa certa è che questo obbligo di istruzione è un obbligo di istruzione che costa. Siamo il Paese che ha meno diplomati, meno laureati e meno giovani con qualifiche professionali. Oggi, vi assumete la responsabilità di dare ai nostri ragazzi una povertà ancora maggiore di saperi e di competenze, per renderli, domani, poveri nella vita, quando nel mercato del lavoro non avranno possibilità di svolgere alcuna attività e saranno i nuovi poveri della vita.Sapete bene che, se i nostri giovani non saranno posti in condizione di poter sperimentare insieme il sapere e il saper fare, non saranno in grado di uscire da quella disaffezione che hanno oggi e che non li porta a raggiungere quei titoli di studio che sono indispensabili. Il 21 per cento dei nostri figli, che viene disperso dall’istruzione, necessita di una scuola che non è la vostra scuola, non è la scuola che risparmia: non vi sono più i 40 milioni di euro per aiutare la sperimentazione a fare scuola anche nel mercato del lavoro; avete tolto i 240 milioni di euro che servivano per i percorsi triennali. Oggi, scegliete la strada più semplice e sostenete che il contratto di apprendistato è in grado di dare ai nostri ragazzi quei saperi e quelle competenze che gli altri Paesi europei consentono di raggiungere con 500 o 600 ore di lezione. Pensate che tutto questo si possa fare modificando una norma, un provvedimento collegato che riguarda il lavoro, senza metterci neanche una lira. Questa è la scuola che domani renderà i nostri figli disoccupati e ancora più poveri. In quest’Aula, due anni e mezzo fa, abbiamo commemorato due ragazzi di quindici anni che erano morti in un sottoscala, mentre svolgevano un particolare tipo di apprendistato: producevano materassi per due euro al giorno. In quell’occasione, abbiamo detto che quella non poteva essere la prospettiva per i nostri figli. Oggi, imbocchiamo una china pericolosa, perché non vogliamo dare le risorse all’istruzione, affinché ciò possa avvenire. Il semplice fatto che si privino i nostri figli dell’istruzione con un provvedimento fatto e voluto dal Ministero del lavoro e dal Ministero dell’economia, senza che il Ministero dell’istruzione, dell’università e della ricerca possa dire una sola parola, e senza che abbia la capacità di impegnarsi perché a quei ragazzi di quindici e sedici anni venga dato ciò che gli altri Paesi europei danno, rappresenta un’involuzione del nostro progresso civile e sociale. Che ciò avvenga nell’indifferenza generale, forse, farà guadagnare a qualcuno qualche lira in più, ma toglierà un altro pezzo di futuro ai vostri figli. Pensateci, mentre approvate questo scempio.

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Da BresciaOggi: Sedicenni apprendisti? La scuola non ci sta, di Mimmo Varone

ISTRUZIONE, LA RIDUZIONE DELL’OBBLIGO. Dibattito aperto anche a Brescia: ma l’idea di sostituire la fase finale del periodo di studio non convince presidi e insegnanti
Brescia. Presidi, professori, sindacati della scuola fanno muro contro l’idea che si vada a lavorare a 15 anni senza violare l’obbligo scolastico. Togliere un anno all’istruzione, e per di più con un emendamento al disegno di legge lavoro collegato alla Finanziaria, è quanto di più «incomprensibile» si possa immaginare. Idea tanto strana da indurre persino il sospetto che serva a recuperare il denaro che si perde avviando la riforma delle superiori (e i tagli) dalle prime e non dal primo biennio. Ci sarà l’abbandono scolastico – dicono gli insegnanti bresciani -, sarà indiscutibile il valore formativo del lavoro, ma la soluzione del ministro Maurizio Sacconi rischia di lasciare ragazzi inesperti e troppo giovani in balia di imprese che non hanno alcun interesse alla formazione dei giovani. L’unica voce favorevole, per dovere di cronaca, è di Leonardo Napoli, docente di italiano e storia all’Alberghiero. «Forse il ministro ha capito che la scuola ha problemi con ragazzi che è inutile tenere in classe – dice – e per loro imparare un lavoro può essere interessante».
«E’ UN’IDEA contraria a quanto fatto negli ultimi anni per allargare l’obbligo alla formazione di base» sottolinea al contrario Francesco Stagnoli, docente di elettronica all’Itis Castelli. Ed è «incomprensibile che salti fuori in modo così estemporaneo – aggiunge -, piuttosto si potrebbe potenziare l’alternanza scuola/lavoro, in un progetto più organico». Ancora più severo è il preside del professionale Golgi. «Una cosa è il lavoro, un’altra la scuola – taglia corto Ercole Melgari –, c’è l’obbligo di istruzione fino a 16 anni e non si può barare dicendo che è uguale all’apprendistato». Per lui l’anno che dovrebbe essere formativo diventa: «di lavoro e basta, tant’è che «la proposta Moratti dell’obbligo formativo fino a 18 anni, assolvibile anche nel lavoro con i corsi di formazione in azienda è naufragata miseramente». E ora resta che «mentre il mondo va verso l’istruzione fino a 18 anni noi scendiamo a 15 impoverendo le superiori». Il segretario provinciale Cgil-scuola Pierpaolo Begni sospetta che si tratti di un taglio mascherato. «Nel progetto di nuova scuola superiore il biennio doveva partire l’anno prossimo – dice -, invece si inizia con le prime classi e i risparmi sul secondo anno verrebbero recuperati con questa trovata. Sarebbe una meschinità». Simonetta Valle è docente dell’Ipsia Fortuny e non ha dubbi. «Sarebbe in controtendenza con l’Europa e gli Stati Uniti – osserva -, e poi le aziende hanno difficoltà a farci fare l’alternanza scuola lavoro perché i ragazzi di terza sono piccoli e incompetenti. Cosa accadrebbe con 15enni lasciati a se stessi?». La preside del Capirola di Leno Ermelina Ravelli pensa alla fatica che fa per tenere a scuola i tanti 16enni immigrati. Se passasse la proposta di Sacconi non li vedrebbe più. Non che abbia motivi di opposizione pregiudiziali, anzi «credo molto nel valore formativo del lavoro – dice – ma le grandi imprese non fanno apprendistato e non vedo artigiani in grado di formare apprendisti». Due anni di istruzione superiore «sono fondamentali al di là degli abbandoni – sottolinea il preside dello scientifico Calini Gaetano Cinque -, ridurli ci farebbe fare un passo indietro: un anno di scuola sganciato dal resto, in attesa di andare a lavorare non avrebbe nessun senso».

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Lavoce.info: Daniele Checchi sulla proposta di apprendistato a 15 anni
http://www.lavoce.info/multimedia/-radio/pagina299.html