economia, lavoro

«Soldi pubblici senza politica industriale», di Luciano Gallino

A rigore dice il vero il presidente Fiat Luca di Montezemolo quando afferma che da quando sono arrivati lui e Sergio Marchionne ai vertici del gruppo, ossia dal 2004, la Fiat non ha mai ricevuto un euro dallo stato.Il punto è gli incentivi sono una solida forma di aiuto – anche se indiretto – e soprattutto che di euro la Fiat ne aveva ricevuti tanti pochi anni prima. Secondo stime del 2002 rilasciate dal ministero delle Attività Produttive, come si chiamava allora, lo Stato ha sostenuto salvo errore la costruzione dello stabilimento di Termini Imerese ed i suoi annessi con versamenti complessivi che all´epoca toccavano i 4,5 miliardi di euro. E qualche anno prima aveva contribuito allo sviluppo industriale di tutta l´area di Melfi, il più grande insediamento Fiat fuor di Torino, con 3.000 miliardi di lire – un altro miliardo e mezzo in moneta attuale. Sarebbe quindi preferibile da parte dei vertici del gruppo lasciar perdere questo tasto nella discussione con il governo o nelle esternazioni pubbliche.
Da parte sua ha pure ragione l´amministratore delegato Marchionne nel dire che ci vorrebbe una politica industriale per l´auto. È una politica alla cui assenza si deve in gran parte se Fiat, rimasto l´unico costruttore italiano, costruisce auto in Italia per un totale che nel 2009 ha corrisposto a meno di un terzo di quelle che costruiscono in casa loro, ciascuno, Francia e Regno Unito, e un quinto o un sesto di quelle che fabbricano i tedeschi. Non solo il governo in carica, ma anche il precedente governo di centro-destra avrebbe pur dovuto accorgersi sin dai primi anni 2000 che lo stabilimento di Mirafiori aveva perso quasi 70.000 addetti a paragone degli anni ‘60, e che Termini poteva reggere soltanto se in Sicilia si fosse sviluppato un adeguato distretto della componentistica. Giacché tre quarti di un´auto sono fabbricati in luoghi diversi da quello in cui avviene il montaggio finale. Questa semplice equazione significa che se nello stabilimento principale lavoravano 1.500 persone, non lontano avrebbero dovuto essercene, da subito, due o tre volte tante a produrre componenti. Si sarebbe così evitato di scoprire dall´oggi al domani che l´Italia è lunga, e far arrivare a Termini scocche fatte a Melfi, e magari motori costruiti in Polonia, risulta anti-economico.
Adesso Fiat e governo giocano una partita in cui la prima sa quanto valgono le proprie carte ma cerca di non farlo capire, mentre il secondo non ha nemmeno compreso bene a quale gioco si stia giocando. I vertici della prima si profondono in assicurazioni circa il fatto che la testa e il cuore della Fiat resteranno sempre in Italia, quasi che il mondo non fosse pieno di multinazionali che hanno sì i due organi in patria, i quali però occupano in tutto mille persone mentre sono centinaia di migliaia le braccia che stanno all´estero. Il secondo si trastulla con il dilemma incentivi sì-incentivi no, mentre ci vorrebbe una squadra di tecnici ed economisti veramente esperti negli intricati meccanismi odierni della produzione automotoristica, in grado di stendere una carta del mondo su un tavolo e pretendere dalla Fiat di spiegare dove e come pensa realmente di localizzare nei prossimi anni le sue produzioni, ivi compresi tutti i pezzi che le vengono forniti da centinaia di fornitori nel mondo. Chiedendo in cambio, nel caso di rifiuto, che vengano restituiti almeno i miliardi di Termini. Atti un po’ drastici, se si vuole; ma è in questo modo che in Usa il governo ha salvato il salvabile della sua disastrata industria automobilistica.

da www.repubblica.it