economia, lavoro

"L'Italia dei finti assunti e del lavoro nero", di Gian Antonio Stella

Ricordate l’antico adagio? La madre degli stolti è sempre incinta. Va rivisto: è sempre incinta anche quella dei falsi braccianti agricoli. Anche perché, oltre al resto, frega gli assegni di maternità. Con i 98.376 smascherati nel 2009, dice l’Inps, i «furbetti del poderino» (finto) salgono negli ultimi 7 anni a 569.841. Pari alla popolazione di Genova. Con differenze tra regione e regione abissali: un imbroglione ogni 4.890.841 abitanti in Lombardia, uno ogni 151 in Calabria. Trentaduemila volte di più.

Sia chiaro: gli ispettori dell’Istituto nazionale di previdenza sociale presieduto da Antonio Mastrapasqua non hanno dovuto occuparsi solo della truffa sui braccianti. Anzi, su un miliardo e 253 milioni di euro accertati di contributi evasi, quelli che riguardano l’agricoltura sono solo 295. E fanno impressione anche gli altri numeri. Secondo i quali non solo il 79% delle aziende visitate avevano dei dipendenti non in regola (con punte del 90% in Sardegna, dell’88% nelle Marche e nel Molise ma anche dell’ 84% in Emilia-Romagna) ma le stesse regioni meno disinvolte col sommerso fanno segnare cifre da capogiro.C’era un’impresa su sei in nero tra quelle controllate in Piemonte, una su 9 in Lombardia e Veneto, una su 6 in Emilia…

Per non dire dei lavoratori in nero trovati in giro per le fabbriche, i laboratori e soprattutto i cantieri edili: oltre 2 mila in Liguria, oltre 5 mila in Emilia e in Lombardia, oltre 3 mila in Veneto, oltre 6 mila in Piemonte. E stiamo parlando solo di quelli scoperti, probabilmente pochi rispetto al totale. Prova provata di come abbia ragione il professor Marzio Barbagli, il massimo studioso della criminalità in Italia, quando spiega che non sono i «vescovoni», i buonisti o le anime belle della Caritas ad attirare gli immigrati in Italia. Sono anche, se non soprattutto, tutti quelli italiani che offrono una quantità di lavoro nero impensabile negli Stati più seri: «La nostra è un’economia che ha caratteristiche strutturali che favoriscono l’immigrazione irregolare. Si basa sul lavoro nero e non esistono controlli. Le norme ci sono, ma nessuno le fa rispettare». Soluzione? «Moltiplicare per mille i controlli. Rendere più severe le pene per gli imprenditori che sfruttano i lavoratori».

Ma chi dovrebbe fare, questi controlli? Non c’è dipendente pubblico che frutti quanto gli ispettori dell’Inps: fatti i conti, nel 2009 hanno recuperato tra evasioni accertate e sanzioni alle casse statali (almeno sulla carta: si sa come poi vanno le cose…) un miliardo e 502 milioni di euro. Vale a dire 1 milione e 88 mila euro a testa. Al punto che lo Stato dovrebbe volerne sempre di più, di più, di più. Invece, come denuncia Antonio Mastrapasqua, l’esodo verso la pensione e il blocco delle assunzioni anche per i concorsi già fatti nel lontano 2006 fa sì che gli ispettori sono scesi nel 2009 da 1.588 al 1.380. E quest’anno se ne andranno almeno altri 200. Col risultato che dal 2011, a tentare di arginare il «nero» di un Paese con oltre quattro milioni di imprese, un’economia sommersa valutata tra il 17% ed il 25% del Pil e una gran massa di furbi, ci saranno poco più di un migliaio di «Poirot » previdenziali. Auguri.

Auguri soprattutto sul fronte dei falsi braccianti agricoli. Che sono concentrati per il 99,1 % in 5 regioni: Campania (35.556 furbetti scovati nel 2009), Puglia (25.896), Sicilia (20.790), Calabria (13.262) e Basilicata (2004) per un totale di 97.508 imbroglioni su un totale nazionale di 98.376. Una sproporzione assurda. Basti dire che è stato scovato un truffatore ogni 294 abitanti in Basilicata, uno ogni 242 in Sicilia, uno ogni 163 in Campania, uno ogni 157 in Puglia, uno ogni 151 in Calabria.

Contro una media nazionale di uno ogni 611 che in realtà, tolte quelle 5 regioni, precipita a un falso bracciante agricolo ogni 49.133 abitanti. E parliamo del solo 2009: in totale, come dicevamo, negli ultimi 7 anni i falsi assunti da false imprese che coltivano false tenute risultanti su false carte catastali sono stati 569.841.

Un’illegalità di massa inaccettabile. Tanto più che, come dimostrano le inchieste, in larga parte dei casi non si tratta di un fenomeno di sopravvivenza dovuto a disperati che non sanno come tirare avanti ma di un sistema gestito dalla criminalità. Un sistema scientifico. Che muove una quantità enorme di soldi. Basti ricordare che i soli accertamenti da 2003 a oggi (e chissà quante truffe sono sfuggite al setaccio…) hanno consentito all’Inps risparmi per 1 miliardo e 331 milioni di euro.

Si è visto di tutto, in questi anni. Di tutto. Valga ad esempio una relazione interna sull’area salernitana nella quale Ferdinando Rossi, un dirigente della polizia poi promosso a Bologna, scrive di avere «scoperto la presenza a Battipaglia di una sorta di ufficio di collocamento parallelo», in cui venivano gestite le false assunzioni per una molteplicità di aziende, condotto senza alcuna precauzione alla luce del sole e tra l’altro distante poche decine dimetri da quello legale. Una sfida o forse piuttosto la sicurezza di impunità in un settore, in cui le truffe all’Inps da tempo sembrano essere diventate la regola

Dalle indagini è emerso che privati cittadini, ma anche rappresentanti di patronati e di sindacati portavano quotidianamente in quell’ufficio di collocamento illegale la documentazione necessaria per far figurare centinaia di soggetti assunti in una delle tante aziende agricole esistenti solo sulla carta oppure presso realtà produttive reali, che si prestavano a effettuare false assunzioni.

Un «imprenditore» che risultava avere una grande azienda agricola e assumeva a tutto spiano si rivelò essere un barbone «che dormiva nella stazione di Battipaglia e che, avvicinato dagli organizzatori della truffa, si era prestato a dare il nome a una azienda con circa 500 falsi assunti, in cambio di una vecchia auto dove dormire»

C’è poco da sorridere. Lo spiega un’altra relazione interna, firmata dalla Responsabile del Centro per l’impiego di Battipaglia, Antonietta Barone. Dove si legge che «la malavita, che gestisce il circuito illecito, ha imposto un vero e proprio tariffario che i braccianti fittizi devono rispettare per risultare falsamente assunti». Che sempre più spesso «gli extracomunitari irregolari siano stati utilizzati in nero per coltivare i suoli sui quali risultava poi fittiziamente assunta manodopera italiana».

Che «non sono mancate neppure le aziende costituite ad hoc per assumere fittiziamente gli stranieri, che in realtà sono risultate una sorta di scatole vuote, costituite solo sulla carta per poter presentare le istanze per le assunzioni in occasione degli ingressi annuali». Fino al capolavoro: molti neocomunitarie arrivate come badanti, «fittiziamente assunte in agricoltura», diventano beneficiarie «delle indebite prestazioni previdenziali di disoccupazione, maternità e malattia» continuando «a lavorare in nero presso le famiglie come colf o badanti»… Una truffa. Ma chi sono i veri truffatori: loro o i loro datori di lavoro italiani?
Il Corriere della Sera 07.02.10