partito democratico

«La "pax" Franceschini-Bersani», di Lina Palmerini

L’ex leader: debelliamo il virus del Pd, il segretario va rafforzato e non indebolito. Il Pd e regionali. Minoranza interna divisa. Primi sondaggi: scatta tl’allarme Piemonte, si teme una totale débàcle al Nord

Una pace pre-elettorale in attesa di vedere quale sarà l’esito delle regionali. Dario Franceschiin sceglie l’appeasement con Pierluigi Bersani e cerca di tenere a freno l’opposizione interna al partito che guida ma che al momento non riesce più a gestire. «Non c’è alcun asse con Bersani ma dobbiamo liberarci dal virus del Pd che ogni segretario va indebolito. E un destino che è toccato a tutti: a me e a Veltroni. Ma va debellato. Il leader, semmai, va rafforzato». Franceschini parla nel suo doppio ruolo di capogruppo del Pd alla Camera ma anche di leader della minoranza e il messaggio, più che a Bersani, sembra diretto ai suoi compagni di Area democratica. In realtà i problemi dell’opposizione interna non sono proprio questi. Il rischio che sta correndo è invece quello della dissoluzione divisa com’è tra popolari di Fioroni e diessini di Fassino da un lato; da veltroniani dall’altro. E Franceschini, al momento, non sembra aver alcuna voglia di scegliere. Come ha dimostrato sul caso Umbria dove i veltroniani gli rimproverano un comportamento pilatesco .

Atteggiamento che continuerebbe anche ora tant’è che l’assemblea dei parlamentari di Area democratica non è stata ancora convocata. La difesa di Bersani e il richiamo allo spirito unitario viene così interpretato come un modo per rinviare tutti i dilemmi al dopo voto. I veltroniani però vanno avanti da soli. Presto ci sarà una nuova riunione organizzativa (ci doveva essere ieri ma è slittata per la fuga di notizie) per mettere a punto l’assetto organizzativo del think tank che si chiamerà Democratica e che avrà Veltroni come presidente e Michele Salvati come direttore scientifico. Si cerca già una sede a Roma e Mauro Agostini, ex tesoriere Pd, si occuperà dei finanziamenti della Fondazione che saranno in stile public company.

E chiaro che il destino della minoranza interna dipende dal destino del Pd e da come andranno le elezioni. Ancora ieri sono arrivati gli ultimi sondaggi Swg che danno cinque regioniin bilico: Liguria, Piemonte, Lazio, Campania e Puglia. In Liguria e Puglia ci sarebbe un piccolo vantaggio per il centro-sinistra, in Piemonte ci sarebbe una situazione di parità, in Campania e Lazio i candidati governatori sono in vantaggio ma il centro-destra ha più voti di lista. L’Ipsos, invece, delinea una situazione un po’ diversa come spiega il suo presidente Nando Pagnoncelli: «In Liguria, dopo l’accordo con l’Udc, il centro-sinistra è in vantaggio mentre in Pie- monte c’è, al momento, una situazione di parità».

Proprio sul Piemonte è scattato l’allarme in casa Pd. E lì si concentreranno gli sforzi del segretario perché una sconfitta sarebbe pesantissima. Vorrebbe dire che il Nord volta completamente la faccia al centro-sinistra. Dopo la Lombardia e il Veneto,la débacle piemontese sarebbe uno choc per Pierluigi Bersani che ha spinto moltissimo sulla crisi, il lavoro, le imprese: perdere lì vorrebbe dire non essere stato credibile sul terreno che gli è più congeniale. E soprattutto, dopo il fallimento del laboratorio Puglia, il Piemonte diventa la regione-simbolo del patto Pd-Udc. E le urne saranno un test anche per quest’alleanza. Ieri Bersani rivendicava il fatto di aver portato Casini dalla sua parte e spiegava: «L’avvicinamento delle forze di opposizione è un percorso. C’è stato qualcosa di profondo che si è mosso: la deriva populista preoccupa forze che non sono solo le nostre». Ora si aspetta che a riconoscersi in questo schema siano pure gli elettori.

dal Sole 24 Ore, venerdì 12 febbraio 2010