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Rivolta egiziani di Milano, Bersani: «Fallita politica integrazione»

La rivolta di Milano dimostra che è fallita la politica di integrazione e sicurezza del governo. Il segretario del Pd, Pier Luigi Bersani, va giù duro commentando i fatti di via Padova e il fallimento del governo di destra. Quello che è accaduto «è una cosa gravissima – ha detto Bersani – un’impressione veramente notevole, ma mi ha fatto impressione sentire le alte grida di esponenti della destra, della Lega: ma di cosa stiamo parlando, governano loro il Paese, la regione, la città, si prendano carico del fatto che è fallita una politica sia di integrazione sia di sicurezza e non scarichino le responsabilità». Se si vuole lavorare seriamente per affrontare e superare i problemi, ha proseguito il leader del Pd «si lavori seriamente, ma continuare a coltivare questi problemi per fare consenso e non risolverli mai non è più accettabile».

I fatti di Milano
Quattro cittadini egiziani irregolari, ritenuti responsabili di aver partecipato ai disordini scoppiati ieri sera a Milano in seguito all’omicidio di un giovane connazionale, un pizzaiolo di 19 anni, sono stati fermati nella notte dalla polizia con l’accusa di devastazione e saccheggio. I quattro fermati hanno uno 19 anni, uno 31 e due 27 anni. La polizia sta indagando sugli scontri che hanno messo a ferro e fuoco via Padova, una lunga arteria nella periferia nord- est del capoluogo lombardo, dove la presenza di immigrati è molto alta.

A scatenare la rivolta, durante la quale sono state rovesciate automobili e spaccate vetrine, è stata la morte del giovane egiziano, accoltellato da un gruppo di sudamericani durante una lite. Complessivamente le persone identificate dopo gli scontri sono 36, quasi tutte egiziane. Dieci di loro sono risultate non in regola con il permesso di soggiorno. Parallelamente, stanno continuando le indagini sull’omicidio del giovane.

«Questa è un’emergenza che va gestita con pugno duro. Occorrono controlli ed espulsioni casa per casa, piano per piano», aveva sparato subito Matteo Salvini, capogruppo in consiglio comunale ed eurodeputato della Lega Nord.
L’Unità 14.02.10

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“La casbah delle 50 lingue. Tra droga, kebab e risse”, di F. MOSCATELLI – F. SPINI

La terra di nessuno comincia dopo le luci di Buenos Aires e la «Piccadilly» triste delle insegne di piazzale Loreto. Ieri sera il traffico veniva fermato da due volanti della Polizia locale in lampeggiante blu: il supermarket della droga, stasera è chiuso, spiacenti. Chiuso per rabbia, esasperazione, violenza. Quella di sempre, che cova dietro le mura di questi palazzi invecchiati male, dove ti sembra che l’Italia non ci sia più e quasi non possa entrare. «Questa via è tutto il mondo», dice Mohammed, egiziano. Con i suoi tre amici se ne sta davanti al portone del civico 31, guardando la macchina appena rovesciata, in un mare di vetri. E’ la rivolta. «Qui trovi cinesi, cingalesi, rumeni, egiziani, marocchini – continua il giovane -, ma non siamo tutti così; ma molti bevono e ci sono sempre risse. Solo nell’ultima settimana abbiamo visto due o tre pestaggi».

I personaggi e gli interpreti di questa convivenza difficile tra stranieri e italiani e tra gli stessi migranti sono svariati: «Egiziani e rumeni contro sudamericani. Egiziani contro altri africani», alza le spalle Mohammed. Da Piazzale Loreto fino alla fine, la strada è lunga 4 chilometri, 50 nazionalità. Secondo l’ultimo censimento della Camera di Commercio 1311 imprese da queste parti parlano un’altra lingua.

E non è difficile accorgersene. Entri in questa via e cambiano le insegne, i profumi: tanti negozi sono cinesi. Nei primi chilometri incontri loro, soprattutto, i meglio vestiti. E poi cingalesi, gente del bangladesh. Da metà in poi inizia la parte dei nordafricani, con i loro kebab. E con la casa di cultura islamica, dove già si prega, e la voglia di trasformarsi in una vera moschea. Finora non se ne è fatto nulla, anche se il suo presidente Mahmoud Asfa ha ricevuto perfino l’Ambrogino d’oro (si è sempre detto contrario a un partito islamico), il progetto è bloccato da due anni. La voglia di integrarsi, in questa benedetta strada, ci sarebbe anche. C’è l’Orchestra di via Padova. Ha fatto un disco, 13,90 euro, sono musicanti che non guardano al colore della propria pelle o al passaporto per suonare insieme. Ed è il lato buono della convivenza, il segnale della speranza. Che deve lottare per emergere in una mare di degrado. Ci sono le discariche a cielo aperto, in via Padova. C’è il supermercato della droga, in via Padova. Ci vanno anche i ragazzi della buona società, salvo poi dirottare le serate su vie più allegre.

E c’è la difficoltà degli anziani superstiti in condomini talvolta del tutto colonizzati da extracomunitari, come il palazzo davanti a cui ieri è scoppiato il caos: qui comandano le bande nordafricane dello spaccio. Si fanno festini, che spesso finiscono nella droga, nelle bevute. E nelle risse. Chi parla italiano, spesso vuole scappare. Non si contano i cartelli «vendesi» sparsi per tutta la via. Non importa se poi ci si deve accontentare della metà dei soldi spesi tanti anni fa per comprare la casa che si immaginava diversa. Si vende e basta, quando si può. L’integrazione è un cantiere ancora aperto e molto difficile. C’è chi vuole smorzare i racconti dell’orrore che escono da questi 4 chilometri. Ma bastano quelli delle ragazze che non riescono ad uscire di casa la sera senza temere il peggio. Cercano con gli occhi i poliziotti di quartiere, i soldati che il governo aveva spedito da queste parti. Ma che troppo spesso non trovano.
La Stampa 14.02.10