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"Quando la disoccupazione uccide", di Leo Sansoni

Con la Grande recessione la disoccupazione è tornata ad aumentare e miete vittime soprattutto tra i cinquantenni e i giovani. La cassa integrazione regge, ma il 2010 è buio anche perché manca un progetto di politica industriale contro il declino, per assicurare un futuro competitivo al sistema produttivo. Il governo Berlusconi annuncia piani obsoleti di centrali nucleari che nessuna regione vuole mentre gli Usa e la Germania investono sulle nuove tecnologie e sull’economia verde
La disperazione della disoccupazione può provocare perfino omicidi e suicidi. Silvano Condotti, 55 anni, ex autista di scuolabus del comune di Montecatini Terme, era sconvolto da quando era stato licenziato nel 2004. Il 21 gennaio, poco prima delle 16, andò in municipio e trovò Giovanna Piattelli, 59 anni, dirigente del comune che considerava la responsabile del suo licenziamento. Gli sparò un solo colpo di pistola alla testa, mortale. Più tardi, circondato a casa dagli agenti della squadra mobile di Pistoia, ritirò fuori la sua calibro 45 e si suicidò: un unico colpo diretto al volto.
Nella notte tra l’11 e il 12 febbraio Emanuele Vacca, operaio, appena 28 anni, ha preso una corda e si è impiccato dopo essere stato messo in mobilità dalla Tecnodrink, rimasta senza commesse. Si è ucciso a Vinovo, Torino, proprio nel magazzino della piccola azienda nella quale aveva lavorato con orgoglio per 4 anni. Era sconvolto dall’idea di rimanere disoccupato.
Leggendo i giornali sono decine, centinaia, i casi di disperazione, di disoccupati che cercano la morte e, molte volte, la trovano. Scorrendo le pagine dei quotidiani si scoprono i drammi umani di chi perde il lavoro, tragedie di solito nascoste dietro le aride cifre delle statistiche.
La Grande recessione internazionale, scoppiata nel 2008 negli Stati Uniti a causa dei mutui immobiliari speculativi, si è allargata a macchia d’olio e da quasi due anni sta provocando pesantissimi danni anche in Italia. I disoccupati, a dicembre 2009, sono saliti a 2.138.000, più 392.000 rispetto allo stesso mese del 2008. Il tasso di disoccupazione è aumentato all’8,5%, più 1,5% rispetto al dicembre 2008. Il tasso di disoccupazione giovanile è schizzato al 26,2%, più 3% rispetto a dicembre di due anni fa. Il Pil (Prodotto interno lordo) l’anno scorso è sprofondato del 4,9% e la produzione industriale è crollata di quasi il 20%. Si tratta della peggiore crisi patita dall’Italia dal 1971.
Mentre le “tigri” dell’Asia hanno superato la recessione (il Pil in Cina è tornato a crescere a livelli boom del 10% l’anno), gli Usa hanno cominciato a vedere dei spiragli di ripresa, l’Italia adesso “sta uscendo dalla crisi con un tasso di crescita bassa, ai minimi europei”, ha avvertito sabato Mario Draghi. “Per una crescita sostenuta servono riforme strutturali”, ha ripetuto il governatore della Banca d’Italia. Gli analisti stimano un aggravamento della disoccupazione al 9-10% nel 2010. Un progetto anti-declino manca.

Gli operai della Fiat e dell’Alcoa scioperano e scendono in piazza. I primi contestano l’abbandono da parte del Lingotto dello stabilimento di Termini Imprese (Sicilia), giudicato dall’azienda non competitivo; e i lavoratori della multinazionale dell’alluminio protestano contro la minacciata chiusura degli impianti di Porto Vesme (Sardegna) e Fusina (Veneto). Gli operai bloccano le strade, protestano davanti alla Camera, salgono sulle gru e sui tetti delle fabbriche per impedirne la chiusura.
Sono i segni drammatici di una crisi strutturale, che investe anche settori un tempo trainanti del made in Italy: tessile-abbigliamento, calzature, mobilio, elettrodomestici, meccanica. Sono in difficoltà perfino realtà forti come i distretti industriali della Lombardia, del triveneto, delle Marche, dell’Emilia-Romagna. Giulio Tremonti si è limitato a garantire la tenuta dei conti pubblici, anche con mezzi discutibili come lo scudo fiscale per far rientrare in Italia i capitali esportati illegalmente all’estero. Il ministro dell’Economia ha sostenuto la necessità di garantire “la coesione sociale. Il pagamento di stipendi, pensioni, cassa integrazione e sanità”.
C’è riuscito, bisogna dargliene atto. Così l’Italia non ha fatto la fine della Grecia, della Spagna, del Portogallo e dell’Irlanda, paesi con il deficit pubblico (soprattutto Atene) sull’orlo del collasso. Ma non basta. Il governo Berlusconi non ha un progetto di politica industriale sul quale puntare per uscire dalla crisi ed assicurare al paese una strategia di sviluppo. Non è stato elaborato alcun progetto industriale, da presentare ai sindacati, per assicurare competitività al sistema produttivo italiano che sta perdendo colpi. Anche dalle opposizioni o c’è il silenzio o la semplice contestazione di singoli provvedimenti del governo.

Cosa fare? Basterebbe guardarsi un po’ attorno per farsi venire qualche idea. La Germania è un paese con un alto costo del lavoro, ma è tra i maggiori paesi esportatori del mondo per la qualità e l’alta tecnologia dei suoi prodotti. La Repubblica federale tedesca ha investito miliardi di euro in ricerca ed oggi, anche nelle energie alternative, è all’avanguardia. Il 19% dell’energia elettrica prodotta da Berlino proviene dal sole, eppure per gran parte dell’anno le giornate in Germania (al contrario dell’Italia) sono nuvolose e piovose. Nel nostro paese, invece, Silvio Berlusconi propone di risolvere il problema dell’energia costruendo una serie di centrali nucleari. Peccato che questi impianti atomici siano molto costosi, tecnologicamente superati e con il rebus delle scorie radioattive da smaltire non si sa come. Non a caso gli stessi candidati del centrodestra alle elezioni regionali del 28-29 marzo hanno replicato al presidente del Consiglio: nel nostro territorio non ospiteremo alcuna centrale nucleare.

Barack Obama ha deciso di puntare proprio sulle nuove tecnologie verdi per riconvertire il sistema industriale americano. Il presidente degli Stati Uniti ha capito che Washington può conservare la sua leadership mondiale solo assumendo la supremazia (un po’ come è successo per l’informatica) nelle nuove tecnologie industriali rispettose dell’ambiente. Non a caso Barack Obama ha scelto la Fiat per il salvataggio della Chrysler, perché il gruppo automobilistico torinese ha messo a punto dei motori (tipo il multiair) d’avanguardia: riducono i consumi di combustibile del 10%, aumentano la potenza del 10% e abbattono drasticamente le emissioni inquinanti.

Non solo. Sergio Marchionne produrrà negli Usa le auto con i motori elettrici e non in Italia. Una stranezza solo apparente. La scelta dell’amministratore delegato della Fiat non è causale. La Casa Bianca gli ha chiesto di produrre negli Usa i motori elettrici ed ha stanziato, anche per questo motivo, miliardi di dollari in favore della Chrysler. Gli Stati Uniti hanno un progetto di politica industriale, l’Italia no. “Noi competiamo con Detroit, ma Roma non può competere con Washington”, disse quarant’anni fa Gianni Agnelli. Forse oggi la situazione è peggiorata. Facciamo fatica a competere nell’Unione Europea anche con Berlino e Parigi.
Da Aprileonline