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Bonino allontana i cattolici dal Pd? Fioroni: «Non l'abbiamo candidata alla guida del paese», di Sara Bianchi

Giuseppe Fioroni non sembra turbato dagli attacchi di Avvenire al Pd, anche perché «il fatto che il giornale della Conferenza episcopale italiana si preoccupi di noi è un riconoscimento fondamentale per il ruolo che i cattolici svolgono nel centro sinistra». È la prima volta che questo si verifica dalla nascita del Pd, dice, e poi precisa di sottoscrivere «in pieno» le parole di Marco Tarquinio sull’incompatibilità tra dottrina sociale della chiesa e cultura radicale. Ma la candidatura alla Regione Lazio di Emma Bonino («chiamata a rispettare la pluralità di consensi nella colaizione») «non significa aver abdicato a una deriva radicale e neanche aver rinunciato a portare avanti propri progetti». «Non l’abbiamo mica candida al governo del Paese».

Ma al di là dell’addio di Paola Binetti, da cui sono partite le riflessioni di Avvenire, assicura Fioroni «la presenza dei cattolici nel Pd è molto significativa sia dal punto di vista quantitativo che qualitativo». Piuttosto l’invito al mondo cattolico «nel suo complesso» è quello di riflettere «sulla mutazione genetica del Pdl e sulla progressiva irrilevanza dei cattiolici nel centro destra e nella compagine di governo». Fioroni pensa in particolare agli indirizzi del Carroccio sul tema dell’immigrazione e sollecita: «Non c’è da esprimere qualche preoccupazione a secondo dei dicasteri che alla Lega vengono assegnati?». E poi come mai, si domanda Fioroni, in questa fase di dibattito elettorale «il testamento biologico è diventato meno rilevante e sono stati più importanti il legittimo impedimento e la protezione civile Spa?». I temi di bioetica, in realtà, dice l’ex ministro «entrano ed escono nell’agenda dei governi, in base alla convenienza del periodo». È l'”allodolismo” (utilizzare il cattolicesimo come specchietto delle allodole, ndr). Metodo al quale noi, dice il presidente del Forum Welfare del Partito democratico, «non ci prestiamo». Insomma «l’impegno politico e la testimonianza delle nostre convinzioni e dei nostri valori sono fondamentali in quei momenti che riguardano la sala parto e la sala rianimazione, ma vogliamo anche occuparci di tutti gli 83 anni di vita media del cittadino italiano».

Riferendosi a a Paola Binetti ha citato il vecchio adagio: una rondine non fa primavera, non la fa quando arriva ma nemmeno quando se ne va. Fuor di metafora: l’addio dell’esponente teo-dem non avrà alcuna incidenza sui consensi del Pd…
I parlamentari cattolici che provengono dalla storia del Ppi prima e della Margherita poi sono circa 100. La Binetti è una cara collega, che è arrivata con l’esperienza di Francesco Rutelli e molti di coloro che sono venuti con lui ora se ne sono andati. Ma i popolari che sono stati fondatori della scelta di centro sinistra, a livello nazionale come nei territori, stanno convintamente nel Pd.

La Binetti è andata nell’Udc. Non temete la concorrenza di Casini?
No, non pensiamo che l’alleanza con l’Udc sia un pericolo, la consideriamo una scelta di fondo che va fatta. Anche perché, ed è cosa chiara, non appaltiamo all’Udc la ricerca dei consensi moderati e cattolici. Mi auguro piuttosto che per il futuro Casini sappia definire una propria posizione, superando la macchia di leopardo, quella che spesso viene chiamata la politica dei due forni. Perchè quella scelta appartiene a una vicenda superata. Ora occorre saper scegliere dove esistono le maggiori possibilità di condivisione e di operatività, in un Paese che non vuole il bipartitismo ma il bipolarismo.

Torniamo alle questioni interne al Pd, come procede il processo di mescolamento delle due anime del partito, ex Ds e ex Margherita?
Deve realizzarsi con tempi e procedure necessarie.

Cioè?
Abbiamo avviato un percorso per arrivare a sintesi avanzate e occorre che le culture originarie dei riformismi che hanno dato vita al Partito democrativo abbiano l’opportunità di confrontarsi, di non essere evanescenti, di non annacquarsi, perché solo da una pluralità di presenza culturali forti, radicate sul territorio, di riferimento per i settori vitali del paese, si può arrivare a quel percorso di sintesi polito-culturale più avanzata sul quale abbiamo scommesso.

Ma secondo lei oggi i cattolici in base a che cosa decidono il loro voto? Pesano ancora tanto le questioni etiche?
I cattolici come tutti i cittadini scelgono partendo da un presupposto: richiedono al politico non più di dare buoni consigli semplicemente perchè è capace solo di dare cattivi esempi. Gli italiani preferiscono alle parole i fatti. Penso alle nuove generazioni: i nostri ragazzi votano sulla base non di quello che diciamo ma di quello che facciamo. E siamo tutti terribilmente responsabili della nostra incapacità di testimonianza. I cattolici danno valore alle scelte etiche ma danno valore all’etica come aggettivo qualificativo della vita di un uomo. E poi votano anche e soprattutto per come si risolvono i problemi del lavoro, dell’occupazione, dell’ambiente, della casa, della famiglia, della crescita, dello sviluppo del Paese.
Il Sole 24 Ore 17.02.10