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"Quando Modena non si vedeva", di Luca Mercalli

I nebbioni di un tempo non ci sono più. La «scighera» che ovattava le vie di Milano, quella descritta da Giovanni Testori in «Nebbia al Giambellino», è quasi un ricordo sbiadito: «Venendo fuori dalle finestre lunghe, strette e uguali delle cantine.
Dai canali, dai fossi, dai mucchi d’immondizie e di concime, prima diffidente, a brandelli che ora si allungavano, ora si rapprendevano, poi via via più densa, crudele e aggressiva, fin dalle prime ore della mattina la nebbia aveva preso a fasciare gli ultimi casamenti… non solo le immagini e i corpi, ma anche i rumori e i suoni erano stati smangiati da quel mare che aveva continuato ad avanzare in ogni direzione, lento, umido e ostinato; anche le sirene delle fabbriche, che pure avevano tentato di superarlo coi loro fischi pomeridiani, ne erano rimaste sconfitte, spegnendosi in una catena di echi e di singhiozzi».

Quarant’anni fa l’inverno padano era segnato da lunghe settimane immerse in un fluido lattiginoso, chi doveva prendere l’aereo era afflitto dal dubbio di ritardi e cancellazioni, chi partiva in auto temeva di finire in un incidente o di perdersi tra strade tutte uguali, dove toccava sporgersi dal finestrino per identificare sull’asfalto la linea bianca salvatrice.

A Torino-Caselle si contavano circa 80 giorni di nebbia all’anno, con un massimo di 108 nel 1970. Oggi la media è dimezzata, con 39 giorni. All’Osservatorio di Modena la «fumana» negli anni 1955-1960 veniva registrata perfino in 200 giorni all’anno, incluse le segnalazioni di breve durata. A partire dal 1990 le osservazioni nebbiose riguardano solo una ventina di casi all’anno. La tendenza alla riduzione della nebbia negli ultimi 30 anni è confermata a livello europeo. Nel lavoro di Robert Vautard del Cnrs di Gif sur Yvette e di Geert Jan van Oldenborgh del servizio meteo olandese, comparso su Nature nel 2009, la si attribuisce almeno in parte alla diminuzione di inquinamento dell’aria da biossido di zolfo, un gas che in effetti in quegli anni abbondava a causa della combustione di carbone e di petrolio ad alto tenore di zolfo. Le particelle di solfati sono molto igroscopiche e favoriscono la formazione delle goccioline di nebbia.

L’introduzione di norme antinquinamento più severe, e la diffusione del metano come combustibile da riscaldamento e da generazione elettrica, hanno dunque ridotto una delle cause di formazione della nebbia, ma non la sola. Gioca anche l’urbanizzazione che limita la superficie evaporante – i canali e i fossi descritti da Testori nelle periferie non ci sono più – e poi la frequenza delle alte pressioni invernali che generano inversione termica e calma di vento e che si sono presentate con particolare ostinazione alla fine degli Anni 80. Ma in fondo, se c’è meno nebbia non può che farci piacere. Può essere più difficile ambientare certi romanzi e stagionare certi salami, però ci sono meno incidenti, meno disagi per tutti e più sole sui nostri inverni.
La Stampa 22.02.10