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"Tangetopoli non è mai finita", di Grazia Mannozzi

Nonostante le richieste sopranazionali di sanzioni proporzionate, adeguate e dissuasive nei confronti della corruzione, l’Italia non sembra aver intrapreso finora un’azione di contrasto efficace. Rispetto a un fenomeno apparso come dilagante già ai tempi di Tangentopoli, pur in carenza di rilevazioni sistematiche, la risposta sanzionatoria è stata incerta e improntata ad assoluta mitezza.
La lotta alla corruzione e ai reati che normalmente si pongono con essa in rapporto di interdipendenza funzionale (falso in scritture contabili e riciclaggio) costituisce uno degli obiettivi politico-criminali prioritari a livello europeo ed internazionale.
Dalle principali convenzioni in materia emerge la preoccupazione per gli effetti generati da pratiche corruttive diffuse: cattiva allocazione delle risorse pubbliche, alterazione delle regole sulla concorrenza, innesco di sistemi fiscali regressivi, riduzione degli investimenti diretti esteri. (1) Fattori tali da esercitare, a loro volta, una funzione frenante sullo sviluppo economico. (2)
Del resto, la convenzione di Merìda, adottata nel 2003, sottolinea come la corruzione amministrativa, saldandosi alla criminalità organizzata, diventi il grimaldello con cui l’impresa mafiosa riesce a passare dalla gestione dei mercati illegali alla gestione dei mercati legali.
Ma la corruzione non soltanto ostacola lo sviluppo economico, creando frizione con i principi di buon governo e di etica della politica: specie se di livello «sistemico», essa finisce col costituire una minaccia per lo Stato di diritto, la democrazia, il principio di uguaglianza e i diritti dell’uomo.

QUANTO È DIFFUSA LA CORRUZIONE?

Nonostante la molteplicità delle ragioni che inducono a intensificare il contrasto alla corruzione, la necessità di dare risposte alle richieste sopranazionali di criminalizzazione e la dura «lezione» ricevuta dalla Tangentopoli dei primi anni Novanta – quando la corruzione è affiorata nella sua dimensione «sistemica» – il legislatore italiano non sembra aver compiuto significativi passi avanti per «contenere» tale fenomeno criminoso. (3)
Anzitutto non vi è un’accurata rilevazione quantitativa, indispensabile per verificare l’andamento della corruzione nel tempo ed individuare i settori su cui maggiormente essa incide.
Neppure il Servizio anticorruzione e trasparenza istituito nel 2008 all’interno del Dipartimento della funzione pubblica) sembra aver offerto, attraverso il primo rapporto al Parlamento, una piattaforma conoscitiva adeguata. I dati sui delitti denunciati per l’arco temporale 2004-2008 (riportati nella tabella seguente), essendo aggregati, non consentono di «isolare» il fenomeno della corruzione nella sua specificità criminologica.

Sono infatti stati riportati cumulativamente, sotto l’etichetta fuorviante di «reati connessi al fenomeno corruttivo», due categorie di illeciti tra cui corrono differenze sostanziali: i delitti dei pubblici ufficiali contro la pubblica amministrazione (tra cui corruzione, concussione, abuso d’ufficio, peculato) e i delitti dei privati contro la Pa o il suo patrimonio (indebita percezione di erogazioni a danno dello Stato, truffa, turbata libertà degli incanti). I primi possono essere commessi soltanto da un pubblico ufficiale o da un incaricato di pubblico servizio, perciò da colui ha speciali doveri di fedeltà verso la Pa, desumibili dall’art. 54 della Costituzione, sicché è la condotta di un soggetto interno alla Pa a ledere gli interessi propri di quest’ultima (buon andamento, imparzialità, corretto adempimento dei doveri istituzionali).
I secondi sono invece commessi da privati, soggetti che non hanno obblighi di fedeltà verso la Pa, e pertanto costituiscono una aggressione che proviene dall’«esterno», diretta prevalentemente al patrimonio pubblico.
Tale rilevazione statistica altera il quadro della distribuzione geografica del fenomeno: il Rapporto del SAeT assegna infatti alle regioni meridionali (tra cui Calabria e Puglia) il più alto tasso di denunce di reati genericamente «collegati alla corruzione». Ma se la corruzione viene considerata isolatamente da frodi e truffe, come sarebbe corretto fare in ragione delle sue peculiarità, la distribuzione geografica appare del tutto diversa: la corruzione emerge poco e comunque ancor meno nelle regioni (soprattutto quelle meridionali) in cui è più presente la criminalità organizzata. (4)
Muovendo da quest’ultima chiave di lettura, le politiche nazionali di contrasto alla corruzione (inclusa la concussione) si rivelano deboli e poco mirate. Acquisito che la corruzione è generalmente un reato a elevata «cifra nera» per il convergente interesse al silenzio di corrotto e corruttore, e lo è ancor di più quando è gestita dalla criminalità organizzata, ci si può chiedere come mai il legislatore non abbia scelto, come proposto già nel cosiddetto «Progetto Cernobbio», di incentivare la propensione alla denuncia attraverso l’introduzione di un meccanismo, simile a quello del cosiddetto «dilemma del prigioniero», volto a spezzare dall’interno il vincolo di omertà tra corrotto e corruttore. (5)
In concreto, il «Progetto Cernobbio» proponeva l’introduzione di una causa di non punibilità per chiunque avesse denunciato spontaneamente e per primo un episodio di corruzione entro tre mesi dalla realizzazione dell’illecito e prima che la notizia di reato fosse stata iscritta nel registro generale a suo nome, fornendo indicazioni utili per la individuazione degli altri responsabili. Tale causa di non punibilità risultava condizionata dalla restituzione del prezzo della tangente da parte del corrotto o dalla messa a disposizione di una somma pari all’importo della tangente versata da parte del corruttore.

LA CORRUZIONE IMPUNITA

Venendo alla risposta sanzionatoria, i dati sulle condanne definitive documentano la sostanziale impunitàdei delitti di corruzione: nell’87,6 per cento dei procedimenti penali sono state inflitte pene fino a due anni di reclusione (area della sospendibilità condizionale); nell’8,8 per cento dei casi, pene tra due e tre anni (area delle misure alternative, ad es. l’affidamento in prova ai servizi sociali); soltanto nel 3,5 per cento dei casi sono state irrogate pene superiori a tre anni, eseguibili in forma detentiva. (6) A quest’ultima, esigua quota di condanne è affidato l’effetto deterrente tipico della sanzione penale. Siamo dunque ben lontani dagli standard di proporzionalità, adeguatezza e dissuasività delle risposte sanzionatorie auspicati a livello sopranazionale.
Inutile dire che inasprimenti sanzionatori sulla carta costituirebbero una soluzione tutt’altro che soddisfacente, stante la generalizzata incertezza della pena connessa al rischio prescrizione e l’operatività dei benefici penali o penitenziari che livellano e opacizzano la severità delle risposte. Controindicata è poi da considerare l’opzione a favore del depotenziamento di quegli strumenti di indagine – il riferimento è alla restrizione nell’uso delle intercettazioni telefoniche – indispensabili a far emergere la corruzione dalla «cifra nera» che storicamente e strutturalmente la contraddistingue. A meno che anche il legislatore non scelga di considerare corrotti e corruttori come semplici «mariuoli» o «birbantelli».

(1) Convenzione Ocse sulla lotta alla corruzione dei pubblici funzionari stranieri nelle operazioni economiche internazionali (Parigi, 1997), Convenzione penale sulla corruzione (Strasburgo, 1999), Convenzione delle Nazioni Unite sulla corruzione (Merìda, 2003).
(2) Tanzi, Davoodi, Road to Nowhere: How Corruption in Public Investment Hurts Growth, International monetary Fund, 1998; Mauro, Why worry About Corruption?, International Monetary Fund, 1997; Mauro, Corruption and Growth, in The Quarterly Journal of Economics, 1995, 681-712.
(3) Cfr. la Decisione-quadro 2003/568/Gai del Consiglio europeo (22 luglio 2003), contenente la richiesta di criminalizzazione della corruzione nel settore privato.
(4) I dati del Casellario giudiziale centrale sono riferiti da Davigo, Mannozzi, La corruzione in Italia. Percezione sociale e controllo penale, Laterza, Roma-Bari, 2007.
(5) Proposte in materia di prevenzione della corruzione e dell’illecito finanziamento di partiti, in Riv. it. dir. proc. pen., 1994, 1025 ss.
(6) Davigo, Mannozzi, op. cit., 236.
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