attualità, politica italiana

"Prescrizione o assoluzione, sta a lui la scelta", di Eugenio Scalfari

È molto difficile immaginare lo sforzo e la tensione morale prima ancora che politica che il presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, deve fare per arginare lo sconfinamento continuo, le provocazioni e gli insulti che Berlusconi lancia ogni giorno contro l’assetto istituzionale e costituzionale dello Stato. La lettera che Napolitano ha inviato ieri al vicepresidente del Consiglio superiore della magistratura è l’ultima e più esplicita testimonianza di questa esondazione berlusconiana, arrivata al punto di definire “talebani” i magistrati inquirenti e giudicanti, rei ai suoi occhi di applicare le leggi alle quali egli vuole sottrarsi con tutti i mezzi a sua disposizione.
Del resto Napolitano non è il primo a dover fronteggiare questa situazione di estremo disagio in cui versa la Repubblica. Oscar Luigi Scalfaro e Carlo Azeglio Ciampi si sono anch’essi dovuti scontrare loro malgrado con analoghe difficoltà e analoghi travagli. Sono ormai quindici anni che il Quirinale deve ergersi come antemurale contro la furia berlusconiana; ma mai come in questa legislatura quella furia aveva raggiunto un’aggressività così pericolosa, esplicita, mirata ad abbattere ogni equilibrio, ogni garanzia, ogni ostacolo e lo spirito stesso della Costituzione repubblicana. Chi ha avuto la fortuna di poter osservare da vicino Scalfaro, Ciampi, Napolitano, ha conosciuto le loro angosce ma anche la loro tenace fermezza e la serenità con le quali si sono comunque mantenuti al di sopra delle parti, non avendo altro fine che la difesa della Costituzione, la lotta contro i privilegi, l’eguaglianza dei cittadini di fronte alla legge, l’equilibrio dei poteri previsto dallo Stato di diritto.

Ho scritto più volte che il vero bersaglio nel mirino di Berlusconi è il presidente della Repubblica, i tre presidenti della Repubblica che si sono succeduti al Quirinale. Verrà pure il momento che questa storia segreta dovrà essere scritta e si vedrà allora quanto gli italiani debbano a quei tre uomini che sono riusciti a preservare la libertà di tutti richiamando i principi di moderazione, rispetto reciproco e condivisione delle norme che stanno a fondamento della convivenza sociale. Non a caso il Quirinale è destinatario di un altissimo consenso da parte degli italiani; al di là e al di sopra delle preferenze politiche e degli steccati che ne derivano, i cittadini riconoscono unanimemente dov’è l’usbergo che tutela l’unità della patria e la coscienza morale della nazione. Questa compattezza ci infonde fiducia e ci stimola a superare il fango e le lordure che insozzano in modo ormai intollerabile la vita pubblica del nostro Paese.

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L’episodio più recente che ha provocato l’ira funesta di Silvio Berlusconi è stata la sentenza della Cassazione che, a Sezioni unite, ha giudicato prescritto il reato di corruzione in atti di giustizia dell’avvocato Mills, lasciando aperto il processo per lo stesso reato nei confronti del presidente del Consiglio. La Cassazione ha dato torto alla Corte d’appello milanese che aveva condannato Mills a quattro anni e mezzo di carcere. Secondo le Sezioni unite il processo Mills era caduto in prescrizione da tre mesi e mezzo. Non così per Berlusconi, nei confronti del quale il processo continuerà fino a quando decadrà anch’esso per scadenza dei termini nella primavera del 2011.
In un primo momento il premier sembrava aver gioito (e con lui tutti i suoi “replicanti”) della sentenza delle Sezioni unite che “aveva dato torto ai giudici di Milano”. Ma il giòito è durato poco di fronte all’evidenza: il processo continua per la semplice ragione che il reato è tuttora da giudicare ed è un reato di estrema gravità perché il premier è accusato di aver corrotto un magistrato e “comprato” una sentenza. Per Mills non c’è stata assoluzione ma prescrizione dei termini. Per Berlusconi sarà probabilmente altrettanto: nel marzo del 2011 sarà probabilmente prescritto ma non assolto e per un uomo politico che guida il governo nazionale questa situazione gli evita il carcere ma non cancella le macchie infamanti di quel reato.

Che può fare il premier per evitare questo scorno e cancellare quelle macchie?
Alla ripresa del processo i suoi avvocati potrebbero decidere in suo nome di rinunciare alla prescrizione e chiedere al Tribunale di riconoscere la sua estraneità rispetto ai reati. Se si comportasse in questo modo acquisterebbe una credibilità della quale ha molto bisogno ed anche altre iniziative legislative in corso, come per esempio quelle preannunciate contro la corruzione, le guadagnerebbero. È infatti evidente a tutti quale valore si possa dare a inasprimenti di pena per reati di corruzione quando chi propone tali inasprimenti è lo stesso soggetto che si sottrae al suo processo utilizzando la prescrizione i cui termini sono stati abbreviati da 15 a 10 anni dalla legge Cirielli “ad personam”.

Non dimentichiamo infine che sono attualmente all’esame del Parlamento due leggi rispettivamente già votata una alla Camera e l’altra al Senato, sul “legittimo impedimento” e sul “processo breve”. Ambedue hanno la stessa finalità di estinguere i procedimenti in corso contro il premier per decadenza dei termini o per improcedibilità, senza mai poter arrivare a sentenza sul merito del reato, se sia stato commesso oppure no.
Questo è il punto di fondo e dipenderà soltanto da Berlusconi se vorrà che sia dimostrata la propria innocenza o preferirà fuggire dal processo. Non sarebbe del resto la prima volta; tra il 1999 e il 2003 fu prescritto già quattro volte: nel lodo Mondadori, nell’illecito finanziamento del Psi per 21 miliardi di lire date a Bettino Craxi, nel falso in bilancio Fininvest e nell’acquisto del calciatore Lentini da parte del Milan, pagato in Svizzera con fondi neri della Fininvest. In nessuno di quei casi Berlusconi chiese di rinunciare alla prescrizione. Ora ne avrebbe l’occasione di farlo. Meglio tardi che mai. Lo farà? Lo spero, ma non ci credo.

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Il bavaglio alla stampa è un’altra delle leggi mirate a diminuire il tasso di libertà e di opposizione al malaffare che imperversa. Si obietterà che giornali e giornalisti sono parte in causa e che quindi la loro (la nostra) opposizione a quel disegno di legge è di natura corporativa. Può darsi. Può darsi che inconsciamente dentro di noi questo sentimento vi sia. Ma noi possiamo invocare a nostro favore il fatto che la libertà di stampa è un principio tutelato dalla Costituzione che ne fa anzi uno dei requisiti principali della democrazia. La nostra opposizione del resto non riguarda il tema delle pene detentive minacciate contro i giornalisti che non ottemperino agli obblighi normativi. Nell’ultima versione di quel disegno di legge sembra che le pene detentive siano state tolte, ma la nostra opposizione resta fermissima.

Ci rendiamo ben conto che riferire intercettazioni (peraltro solo quando siano state rese pubbliche dai magistrati inquirenti) utilizzando i testi in modo parziale col rischio di fraintenderne il senso compiuto, può arrecare gravi danni alla privatezza delle persone intercettate e soprattutto a quelle casualmente coinvolte nelle conversazioni. Questi difetti possono essere rimossi con disposizioni intelligenti che obblighino i giornalisti a riferire i fatti con parole proprie e/o con brani virgolettati ma compiuti di senso. In questi casi il giornalista non potrà difendersi dietro il velo del virgolettato ma riferirà con parole proprie assumendosi la piena responsabilità di quanto scritto e dovrà difendersi in giudizio dall’eventuale querela per diffamazione. Si potrà anche (secondo me si dovrebbe) far cadere dinanzi al magistrato il diritto al segreto sulle fonti quando si riferiscano fatti e notizie ancora secretati.

Tutto ciò detto, vietare alla stampa ogni accesso alla fase istruttoria del processo è una pretesa inaccettabile e incostituzionale. La fase istruttoria è delicatissima poiché è in quella sede che si formano e si rassodano gli indizi di colpevolezza o di innocenza e i materiali probatori che poi saranno valutati e circostanziati nel corso del dibattimento. L’attenzione della stampa sull’operato delle Procure e della polizia giudiziaria è materia di primaria importanza perché il controllo dell’opinione pubblica su tutte le fasi del processo scoraggia e comunque rende note eventuali manovre di insabbiamento, sistematicità dei rinvii richiesti dai difensori, collusioni sempre possibili tra i magistrati che indagano e le parti indagate. La presenza della stampa è utile, oso dire più nella fase istruttoria che in quella dibattimentale. Le responsabilità di giornali e giornalisti debbono essere a loro volta accuratamente indicate e le sanzioni eventualmente inasprite, ma il divieto d’accesso non può essere accettato e il divieto di riferire radicalmente respinto.

Continuo a pensare che il bavaglio alla stampa violi un principio costituzionale che neanche il potere legislativo può cancellare. Né potrebbe farlo una legge di modifica della Costituzione trattandosi di un principio indisponibile. L’ipotesi ventilata sulla Stampa da Luca Ricolfi di creare un apposito organo di regolamentazione autonomo rispetto alla magistratura e cogente verso i giornali mi sembra una costruzione barocca che si infrangerebbe non appena si dovessero scegliere i modi per formare questo improprio tribunale, esso sì di natura corporativa. Quanto all’altra proposta dello stesso Ricolfi di consentire ai giornali l’accesso alle fonti in fase istruttoria e riferirne “a rotazione periodica” tra le varie testate, mi sembra una proposta che mi permetto di definire ridicola.

A volte il potere corrompe non le tasche dei probi ma i loro cervelli. E questo non è un rischio remoto ma estremamente attuale tra quelli che stiamo correndo.
La Repubblica 28.02.10

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Napolitano: “Basta accuse ai giudici”
Non passano nemmeno ventiquattr’ore dall’ennessimo attacco del premier Berlusconi contro la magistratura accusata stavolta di essere, anche se in una sua minoranza, una «banda di talebani» che arriva la dura presa di posizione del Quirinale.
In una lettera al vice presidente del Csm Nicola Mancino il presidente della Repubblica Giorgio Napolitano esprime tutta la sua preoccupazione per quello che egli teme sia un nuovo, violento scontro tra poteri dello Stato. Per di più alla vigilia delle elezioni Regionali e dopo gli ultimi sviluppi «di delicate vicende processuali». I riferimenti sono chiari. Ebbene Napolitano teme nuove «drastiche contrapposizioni e pericolose tensioni» non solo tra opposte parti politiche ma «tra istituzioni, poteri e organi dello Stato». Sono mesi che questo problema è aperto e che si ripropone ciclicamente.

Un punto di non ritorno è stato rappresentato senza dubbio dalle polemiche che si innescarono – con protagonista il premier – dopo la bocciatura del Lodo Alfano da parte della Corte Costituzionale. Oggi Napolitano stigmatizza «accuse quanto mai pesanti che feriscono molti e che possono innescare un clima di repliche fuorvianti» e apprezza che la magistratura associata abbia annunciato di non volersi far trascinare nelle polemiche. Tutto questo non serve a nessuno nè al Paese nè alla riforma del sistema giustizia che si può portare a casa solo se ci saranno «ascolto» e «senso della responsabilità e della misura da tutti». Da qui occorre partire. E l’Anm, con il leader Palamara, si dice «confortata» dalle parole del Presidente e pronta a fare la propria parte.

Anche da Mancino, destinatario della lettera, giunge un monito per un «confronto civile e rispettoso» con il ritorno a «un linguaggio più sobrio e austero». Coro di plauso alle parole del presidente ma con evidenti distinguo. Se il presidente della Camera Gianfranco Fini ripete che «è indispensabile che tutti facciano quanto è in loro dovere e potere per garantire il reciproco rispetto e un clima costruttivo», il capogruppo al Senato Maurizio Gasparri insiste sulla necessità che siano «le minoranze politicizzate della magistratura che antepongono l’ideologia al diritto» ad ascoltare l’appello. Le parole del Capo dello Stato trovano apprezzamento nelle file del Pd. «Mi auguro che il suo invito venga accolto dalla politica, dal Governo, dal presidente del Consiglio e anche dalla magistratura», dice Rosi Bindi arrivando alla manifestazione del popolo viola in piazza del Popolo. Per Bersani le parole di Berlusconi sono «inaccettabili». «Ormai siamo alle sparate, si sragiona. È preoccupante, sono frasi inaccettabili», commenta il segretario del Pd ai microfoni di Sky Tg24. «Non si può dire che ormai ci siamo abituati – aggiunge – perchè restano inaccettabili. Credo che gli italiani debbano cominciare a pensare veramente come andare oltre questa fase». «Noi – continua il leader del Pd, che stamattina a Faenza ha portato la solidarietà del partito agli operai della Omsa – non possiamo essere tutti i giorni dentro a queste vicende. Abbiamo un sacco di problemi, siamo davanti a fabbriche che chiudono. Non possiamo parlare sempre di Berlusconi e delle sue beghe coi magistrati. Questa – insiste Bersani – è una responsabilità che lui porta, mettere sempre al centro se stesso e le sue questioni».
La Stampa 27.02.10

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Giustizia, Napolitano al premier: “Basta polemiche e accuse pesanti”

Fini elogia il Capo dello Stato: “Ha grande senso di responsabilità istituzionale”
Bersani contro Berlusconi: “Sui giudici ormai sragiona”.
Dopo l’attacco di Berlusconi ai giudici che il premier ha definito “talebani”, il presidente della Repubblica con una lettera inviata al vicepresidente del Csm Mancino interviene perché vengano evitate “in tema di giustizia esasperazioni polemiche e accuse pesanti tra parti politiche, istituzioni, poteri e organi dello Stato”. Invito che Mancino accoglie con sollievo, sottolineando come “il forte ed autorevole messaggio del presidente della Repubblica esorta tutte le istituzioni a guardare oltre i confini delle rispettive competenze e a impegnarsi in un confronto civile e rispettoso rivolto a realizzare il bene comune in un momento tanto difficile per il nostro Paese”. Protesta anche l’opposizione: il segretario del Pd Pierluigi Bersani definisce quelle del premier “frasi inaccettabili”. E il presidente della Camera Gianfranco Fini si dice completamente d’accordo con Napolitano: “Ha un senso di grande responsabilità istituzionale. E’ indispensabile che tutti facciano quanto è in loro potere e dovere per garantire reciproco rispetto e un clima costruttivo”.

La lettera di Napolitano. Nella lettera inviata a Mancino Napolitano esprime il “vivissimo auspicio che prevalga in tutti il senso della responsabilità e della misura, e che in particolare nelle prossime occasioni di dibattito, sotto la sua guida, nel Consiglio Superiore della Magistratura l’attenzione si concentri su segni positivi che pure si sono registrati, anche in Parlamento, di maggiore ascolto fra esigenze e posizioni diverse”.

“Anche la causa delle riforme necessarie per rendere più efficiente, al servizio dei cittadini, l’amministrazione della giustizia in un quadro di corretti rapporti istituzionali, non può trarre alcun giovamento – sottolinea napolitano – da esasperazioni polemiche, da accuse quanto mai pesanti che feriscono molti e che possono innescare un clima di repliche fuorvianti: clima nel quale la magistratura associata apprezzabilmente dichiara di non voler farsi trascinare”.
“Sarà questo il modo migliore di essere vicini a tutti i magistrati – conclude il Capo dello Stato – che sono impegnati con scrupolo e imparzialità nell’accertamento e nella sanzione di violazioni di legge da cui traggono forza la criminalità organizzata e la corruzione”.

La risposta di Mancino. Il vicepresidente del Csm Mancino sottolinea “la piena condivisione delle preoccupazioni espresse dal Capo dello Stato”. “Non nasconde il Capo dello Stato – sottolinea Mancino nella lettera di risposta a Napolitano – il rischio di drastiche contrapposizioni tra le forze politiche e di ritorsioni esasperate. Anche un linguaggio più sobrio e austero può, infatti, aiutare a far prevalere un clima di dialogo costruttivo rispetto a tentazioni o a repliche giustamente definite fuorvianti”.

L’apprezzamento di Palamara. “Apprezziamo e troviamo conforto nelle parole del presidente Napolitano – replica il presidente dell’Anm Luca Palamara – nelle quali ci riconosciamo sia per la vicinanza al lavoro dei magistrati impegnati nello svolgimento di delicate inchieste oggi al centro dell’attenzione dell’opinione pubblica che per il riconoscimento del ruolo e dell’attività svolta dall’Associazione nazionale magistrati”.
L’elogio di Fini. “Il presidente Napolitano – ha affermato Fini in un incontro a Vicenza – ha un senso di grande responsabilità istituzionale. E’ indispensabile che tutti facciano quanto è in loro potere e dovere per garantire reciproco rispetto e un clima costruttivo”. Anche per favorire il varo delle riforme istituzionali, proprio come chiede il Capo dello Stato: “Dopo le elezioni regionali, le ultime importanti della legislatura – ha detto ancora Fini – ci sono tre anni di tempo perché il Pdl possa mettere in campo le sue proposte assumendosi la responsabilità di fare le riforme. Altrimenti sarà difficile spiegare che con una maggioranza così ampia siamo ancora alle prese con la stessa agenda di problemi che ci sono da dieci, quindici anni”.

Le proteste dell’opposizione. Contro le parole di Berlusconi insorge anche l’opposizione. Duro il segretario del Pd Pierluigi Bersani. “Penso – ha detto – quello che pensa una persona normale. Ormai siamo alle sparate, si sragiona. E’ preoccupante, sono frasi inaccettabili”. “Dire che ormai ci siamo abituati, no – ha aggiunto Bersani – perché restano inaccettabili. Credo che veramente gli italiani debbano cominciare a pensare come andare oltre questa fase. Noi non possiamo essere tutti i giorni dentro a questa vicenda. Abbiamo un sacco di problemi, siamo davanti a fabbriche che chiudono. Non possiamo parlare sempre di Berlusconi e delle sue beghe coi magistrati”. “E questa – ha ripetuto il segretario Pd – è una responsabilità che lui porta: mettere sempre al centro se stesso e le sue questioni”. Bersani ha ricordato che “c’è un appuntamento elettorale. Non chiedo che il governo venga mandato a casa, ma chiedo che i cittadini mandino una letterina al governo per dire basta, cerchiamo di occuparci dei problemi nostri”.

Ancor più allarmato l’Idv che parla per bocca del suo portavoce Leoluca Orlando. “Non possiamo accettare – dice – che i magistrati che amministrano la giustizia in nome del popolo italiano siano offesi solo perché svolgono con onestà il proprio dovere. Ci rivolgiamo al presidente della Repubblica, nella sua veste di garante della costituzione e dell’equilibrio dei poteri, nonché di presidente del consiglio superiore della magistratura, affinché difenda l’onorabilità delle toghe”. “Siamo al golpe – avverte il portavoce di Idv – ad opera di un politico corruttore a capo di una banda di lestofanti e di rappresentanti nelle istituzioni di mafia, camorra e ‘ndrangheta. Della banda di talebani fanno parte i corrotti, i corruttori, coloro che ridevano nel letto durante il terremoto dell’aquila e tutti coloro che, sentendosi al di sopra della legge, usano le istituzioni per far soldi a sfregio della costituzione e umiliando tutti i cittadini onesti”.

La Repubblica 27.02.10

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“Berlusconi tace per evitare tensioni. Il premier irritato per le mosse dei pm”, di Ugo Magri

Dei vari colloqui di cui si ha notizia, non ce n’è uno, uno soltanto, in cui Berlusconi abbia ragionato di Napolitano, del suo aperto rimprovero, dell’alto invito a non offendere le altre istituzioni repubblicane. Alza le spalle? Può darsi. Risulta invece che il Cavaliere sia irritato assai col Tribunale milanese per «l’ultima che mi combina»: processo sospeso in attesa di capir meglio la sentenza di Cassazione su Mills, ma udienza già fissata il 26 marzo. Due giorni prima delle elezioni. Quando il premier sarà impegnato nei comizi di chiusura. Gasparri, che non nega di avere sentito il Capo, la mette così: «E’ una tempistica quantomeno singolare. Potevano aspettare il 31 marzo, qualche giorno non avrebbe cambiato nulla. E invece…».

Il lamento è tornato con l’avvocato Ghedini all’altro capo del filo, laddove con Daniela Santanché (intima confidente del premier) i conversari hanno riguardato il partito, le sue dinamiche e, naturalmente, le reali intenzioni di Fini che giusto ieri insisteva da Vicenza sulle riforme dopo le Regionali, sul «rischio di galleggiare per i prossimi tre anni», sulla legge per l’immigrazione che lui rifirmerebbe insieme con Bossi, sulle pensioni da mettere sotto controllo, ma anche sulla «flessibilità che non deve trasformarsi in pracariato». Più bacchettata a Tremonti sul «carico fiscale eccessivo» (il ministro dell’Economia «tiene sotto controllo i conti pubblici ma taglia», segnala Fini, «anche dove non dovrebbe, sulla legalità e sulle infrastrutture»). Di tanti argomenti ha discusso ieri il premier. Ma su Napolitano, nemmeno un cenno che gli interlocutori rammentino. Bonaiuti non ha telefonato ad Arcore per chiedere istruzioni a riguardo, Berlusconi s’è ben guardato dal farsi vivo per concordare una presa di posizione. Il premier, dunque, incassa il rimprovero e tace. Ciò non significa che acconsenta. E si può immaginare il tono dell’autodifesa: l’altra sera a Torino mi sarà pure scappata qualche parolina di troppo («certi magistrati talebani sono peggio dei criminali»), ma fa parte della natura umana il lasciarsi prendere dagli sdegni… Napolitano potrebbe prendersela con questi pm… E comunque, lo difende in privato Cicchitto, «Berlusconi non è uno di quei monsignori maestri nell’arte della dissimulazione, della bugia». Circola un’altra tesi, per ora soltanto sussurrata ai vertici Pdl: che Berlusconi si sia sfogato contro le toghe titolo preventivo, in quanto le inchieste su Protezione Civile e dintorni potrebbero (ecco la diceria) portare a nuovi sviluppi già nella settimana prossima. Inutile cercare conferme.

Ma ragion di più per evitare guerre col Quirinale. Il Cavaliere sa che non gli conviene. Napolitano è popolarissimo, sarebbe come attaccarsi ai fili dell’alta tensione. Inoltre l’uomo del Colle deve controfirmare il «legittimo impedimento», con lui c’è in sospeso la legge sulle intercettazioni, quale errore sarebbe prenderlo di punta. E difatti. Le dichiarazioni degli esponenti Pdl sono tutte molto educate verso il Capo dello Stato. Al miele il ministro Rotondi, «Napolitanto dispensa pillole di saggezza». Intelligente Capezzone, «non si rivolge soltanto a noi ma anche al Csm perché eviti polemiche». Se mai a Berlusconi restasse voglia di far polemica, c’è Bossi che verso sera gliela fa passare del tutto: «Sto con Napolitano. Bisogna tenere la battaglia nella politica e non coinvolgere la magistratura».
La Stampa 28.02.10