lavoro, pari opportunità | diritti

Giù le mani dall'art. 18

“L’articolo 18 dello Statuto dei lavoratori potrebbe diventare un optional”. A denunciarlo è il senatore del Pd Tiziano Treu, vicepresidente della commissione Lavoro. Il disegno di legge sul lavoro è stato approvato mercoledì in Senato e contiene norme sull’arbitrato per risolvere le controversie di lavoro all’articolo 31 del ddl, approvato con 144 sì, 106 no e 3 astenuti.
La norma su arbitrato e conciliazione consente a qualunque lavoratore individualmente di chiedere l’arbitrato in qualunque stadio di eventuali controversie. In pratica è un attacco all’articolo 18 dello Statuto dei lavoratori che prevede l’impossibilità del licenziamento senza giusta causa in aziende con più di quindici dipendenti.

Anna Finocchiaro, Presidente del gruppo PD a Palazzo Madama, dirama una nota per denunciare come si sia “scritta una brutta pagina per i lavoratori italiani. E’ l’ennesimo ‘regalo’che questo governo ha fatto alle famiglie dei lavoratori italiani. Per sconfiggere la crisi questo governo non vuole mettere in campo nessuna misura veramente efficace ma è pronto a trovare nuovi strumenti che colpiscono i diritti minimi di chi, magari a fatica, conserva ancora un posto di lavoro. E’ questa la filosofia aberrante del governo Berlusconi”.

Stefano Fassina, responsabile Economia e Lavoro della segreteria del PD bolla le norme contenute nel Collegato Lavoro in approvazione al Senato come “l’ennesimo passo della contro-riforma della regolazione del mercato del lavoro portata avanti dal ministro Sacconi e dalla maggioranza. Dopo l’eliminazione delle misure sulle dimissioni in bianco, le deroghe alle norme e l’indebolimento delle sanzioni sulla sicurezza sul lavoro, la rimozione dei limiti ai contratti a termine, il re-inserimento dei contratti a chiamata, la cancellazione della responsabilità in solido dell’appaltatore con il sub-appaltatore per arginare il lavoro nero, ora si arriva a smantellare le tutele contro gli ingiusti licenziamenti. Per il ministro Sacconi, i diritti e la retribuzione dei lavoratori sono la variabile compensativa delle inefficienze di sistema e delle rendite corporative accuratamente difese. Nonostante i tentativi di retorica riformista, è un disegno che guarda al passato più lontano per un mercato del lavoro selvaggio, senza diritti, diametralmente opposto a quanto servirebbe per
spingere le nostre attività produttive verso la competizione di qualità. Il Pd continuerà a battersi in Parlamento e nel Paese per affermare la dignità dei lavoratori e delle lavoratrici, “il lavoro decente” invocato dall’Organizzazione Internazionale del Lavoro e da Benedetto XVI nella Caritas in veritate”.

Il meccanismo è quello dello smantellamento delle garanzie. “L’articolo 31 del Ddl – spiega Treu – prevede due possibilità’ per ricorrere all’arbitrato in funzione della risoluzione delle controversie tra datore di lavoro e lavoratore. La prima attraverso contratti collettivi, ed è la strada piu’ sicura. In questo modo, infatti, le parti possono stabilire i limiti in cui l’arbitrato puo’ essere esercitato. Poi, pero’, resta il fatto, che se le parti falliscono nel trovare un accordo, puo’ intervenire il ministro per decreto”.
C’e’ poi una seconda possibilità consentita dalla norme volute dal governo e dalla sua maggioranza. Spiega Treu: “che il singolo lavoratore accetti un accordo secondo cui il proprio contratto di assunzione preveda il ricorso all’arbitrato per risolvere le controversie, incluso il ricorso all’arbitrato secondo equità. Cosa, quest’ultima, che implica la possibilità di bypassare le norme inderogabili di legge e quindi diritti come l’articolo 18 o come le retribuzioni o le ferie. E’ grave inoltre che un simile accordo può essere stretto anche in corso di rapporto di lavoro”.

Stavolta la propaganda non basta. “E’ molto importante che i media abbiano acceso i riflettori su un
provvedimento orrendo del governo in tema di lavoro” dichiara il senatore del Pd Achille Passoni che, nel 2002 come esponente della segreteria della Cgil, organizzò quella che rimane la più grande manifestazione della storia della Repubblica portando in piazza oltre tre milioni di lavoratori proprio in difesa dell’articolo 18.
“E’ naturale che la manomissione possibile dell’articolo 18 sia elemento centrale di questa attenzione in quanto effettivamente si apre con la norma, voluta dal governo Berlusconi, un’autostrada alla cancellazione del diritto a non essere licenziati senza giusta causa. Ma è l’insieme del provvedimento che abbassa le tutele per chi lavora e dà un duro colpo al diritto del lavoro che, nel nostro Paese, significa storicamente garanzia per la parte più debole, cioè il lavoratore. Sull’articolo 18 – conclude Passoni – bisognerà sviluppare una forte iniziativa politica e un’alta
vigilanza sindacale in grado di arginare un vero e proprio buco nella diga dei diritti che si realizzerebbe applicando queste pessime norme”.

E se il governo vuole rendere i lavoratori più deboli e ricattabili la Cgil annuncia un ricorso in Corte Costituzionale. Parola del segretario generale del sindacato Guglielmo Epifani, che in un’intervista al quotidiano “La Repubblica”, attacca la legge sul processo del lavoro, in ballo in Parlamento da quasi due anni (il 28 ottobre del 2008 era stata approvata alla Camera).
«L’impressione è che ci sia più di una norma in contrasto con la Costituzione», ha detto Epifani
Rispondendo alle parole del ministro del Lavoro Maurizio Sacconi, che ha parlato di una polemica da parte dei ’soliti noti’, Epifani ha dichiarato: «Non capisco perché Sacconi parli di malafede. Questa non è una questione di malafede e buonafede. Sacconi dovrebbe dire se ciò che sostiene la Cgil è vero o meno». Per Epifani in sede di contrattazione non si potrà «certo modificare quello che stabilisce la legge». Il sindacalista ha osservato come il ricorso all’arbitrato fosse un’opportunità in più per difendersi «prima di questa legge», ma come «in questo nuovo schema una volta imboccata la strada dell’arbitro non si può più andare dal giudice. Sacconi non dice la verità».

E’ lo stesso Treu, che ha denunciato per primo il pericolo a replicare a Sacconi: “”Non c’entra nulla la campagna elettorale. Che questa norma fosse devastante per i lavoratori, il Pd lo denuncia da più di un anno e per verificarlo basta guardare i resoconti parlamentari e le agenzie. Ma il ministro Sacconi è evidentemente distratto. Che l’arbitrato possa essere stabilito solo in presenza di Contratto collettivo nazionale è una possibilità e noi la abbiamo auspicata. Però invito il ministro a
leggere bene la norma, in particolare il comma 5 dell’articolo 31 del provvedimento all’esame del Senato, secondo cui qualunque lavoratore individualmente può chiedere l’arbitrato in qualunque stadio di eventuali controversie. Quindi, anche di fuori dei contratti collettivi nazionali
e, in tal caso, anche senza certificazione. Dire, come sostanzialmente fa Sacconi, che c’è la volontà del lavoratore che non è un minus habens significa dimenticare la storia del diritto del lavoro che è stato costruito proprio per proteggere i lavoratori nei momenti di debolezza. Penso ad esempio – conclude Treu – al momento prima dell’assunzione, prima del rinnovo di un contratto a termine. In questi momenti il lavoratore potrebbe essere costretto a firmare un mandato in bianco a un arbitro e il certificatore potrebbe anche accertare una volontà che, in questo caso, sarebbe coatta”.

Il capogruppo del Pd nella commissione Lavoro della Camera, Cesare Damiano, nota come il governo rispetta l’autonomia delle parti sociali a corrente alternata: “Quando fa comodo dichiara che non si debbono operare invasioni, quando conviene si possono apportare modifiche al diritto del lavoro senza alcuna consultazione preventiva delle parti sociali. Sul tema dell’arbitrato, che incide profondamente sulle tutele del lavoratore indebolendo la strada giudiziaria, si introduce un nuovo ‘correttivo chirurgico’ che questa volta però lascia il segno. Alla Camera, come Pd, abbiamo presentato emendamenti per la soppressione di queste norme, respinti dalla maggioranza. E’ da un anno che denunciamo la silenziosa controriforma del mercato del lavoro, costruita con una sommatoria di interventi mirati. Adesso la goccia ha fatto traboccare il vaso: mi auguro che ci si renda conto che abolire le tutele del licenziamento in bianco, cancellare i libri paga, matricola e presenza, cancellare la responsabilità dei committenti nella catena degli appalti, reintrodurre il lavoro a chiamata e lo staff leasing, rappresenta la cancellazione del protocollo sul welfare del 2007 e la scelta di imboccare una strada che porta ad un ampliamento della precarietà e del lavoro nero che, a parole, il governo vorrebbe combattere. Sarebbe opportuno che l’esecutivo decidesse di ritirare queste norme estremamente dannose e si aprisse al confronto con le parti sociali”.
www.partitodemocratico.it

2 Commenti

    I commenti sono chiusi.