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"Da Eluana al salva-liste il duello infinito tra Silvio e il Colle", di Filippo Ceccarelli

Vade retro, decretino! Irresistibile la tentazione di proiettare sul presente pasticcio politico e legislativo l´umorismo pre-bagaglinesco dei Fratelli De Rege, che con un celebre grido entravano in scena sui palcoscenici degli anni trenta del secolo scorso; dopo di che furono Walter Chiari e Carlo Campanini a riecheggiare sui teleschermi l´infausta e pressante intimazione: «Vieni avanti, cretino!».
La questione è che il presidente della Repubblica Napolitano è la persona meno disposta ad accogliere i canoni dell´avanspettacolo nelle complesse logiche del diritto costituzionale, specialmente quando l´esigenza è quella di mettere una pezza sul più ordinario e straordinario pasticcio della Seconda Repubblica nell´Italia, ormai, dei post-partiti. E questo anche perché nei proverbi, fonte d´ogni sapienza, le toppe e i rammendi rischiano di arrecare i maggiori guai.
Fatto sta che nel mezzo del caotico pomeriggio, il decreto legge tappabuchi si era posto all´ordine del giorno, per poi sdoppiarsi e poi anche e addirittura triplicarsi in varie ipotesi e sottoipotesi, come se la molteplicità graduabile e opzionale avesse potuto addolcire Napolitano nell´impervio incontro con il presidente del Consiglio.
Ancora una volta la cultura istituzionale del Cavaliere si mostrava per quello che è. Da una quindicina d´anni, ormai, appare evidente che necessità e urgenza sono per lui elementi su cui il vaglio personale certamente sovrasta, per non dire che tende a travolgere la Costituzione. Cioè: decido io se ne ho bisogno, e presto. Questo, di norma.
Ma una volta che gli impicci se li è costruiti il Pdl con le sue manine, e anche suscitando l´ira dello stesso grande capo («Dilettanti»), il ricorso al decreto legge, più che di scappatoia, sapeva di forzatura e insieme di truffa. E ancora una volta Napolitano ha detto: no.
In tale contesto, tanto reale che immaginario, il provvedimento era già entrato nella macina riduzionista per farsi «ino», acquistandone sia in miniatura che in caricatura. Ma non è venuto avanti, il decretino, anzi si è probabilmente disperso nella notte, sotto le fontane in piazza del Quirinale, in attesa di maggiore prudenza, di più miti consigli, di sentenze del Tar e di altro che si saprà a partire da oggi.
Come capita quasi sempre – e tra Berlusconi e Napolitano pure con una certa frequenza – qualcosa del genere è già capitato. Il presidente del Consiglio infatti ha il decreto-legge facile; e se uno va a sfogliare gli archivi si trova sommerso da titoli che dicono: «Dal Quirinale l´altolà al blitz», o formule analoghe.
E comunque già nel giugno del 2008, cioè appena un mese dopo essersi insediato a Palazzo Chigi, il Cavaliere aveva provato a regalarsi il lodo salva-premier con quel comodo e sbrigativo sistema, ma visto il diniego del Quirinale il governo aveva ripiegato su un normale disegno di legge.
A ottobre, Napolitano glielo scritto sulla Stampa e poi anche detto in faccia: non pensasse a governare a colpi di decreti con la scusa che le Camere sono lente. Ma Berlusconi evidentemente insisteva, e così prima di Natale, sempre del 2008, era partito il contenzioso e quindi lo stop sulla riforma della giustizia. Il povero Alfano era costretto a scrivere testi su testi: «Poi ci andate voi da Napolitano – cercava di sottrarsi quello – quando ci rimanda indietro il testo».
L´autorità presidenziale, in Italia, sembra fatta apposta per frustrare le velleità di comando, tutte monarchiche, carismatiche e aziendali, che sono proprie del berlusconismo. Quando, nel febbraio del 2009, divampò la questione di Eluana Englaro e dopo essersene per la verità abbastanza infischiato il presidente del Consiglio mise mano al solito decreto o decretino in extremis, ecco che di nuovo le prerogative del Quirinale schiacciarono ogni improvviso afflato pro-life. La morte della ragazza allontanò allora il probabile conflitto.
Ma Berlusconi, con ogni evidenza, continuava a patire questa inferiorità istituzionale. Perché lo strumento del decreto, al dunque, va al cuore del potere e chi lo possiede ha appunto la legittimità di scombinare la routine dichiarando lo stato di necessità.
Da sempre Berlusconi stenta e fatica a comprendere che non è lui il titolare, però ci prova lo stesso, anche con le intercettazioni telefoniche. Come si ricorderà, ce n´era in giro un mazzetto che potevano creargli qualche cruccio – così come obiettivamente gliene ha creato quest´ultimo ciclo sulla Protezione civile. E dunque: perché non proibirle? Perché non fare un bel decreto? Detto, fatto.
Ma di nuovo questa urgente necessità si trovò sbarrata la porta del Colle. Al punto che il governo dovette fare una curiosa marcia indietro, c´era stato un errore di stampa, non decreto legge era da intendersi, ma disegno di legge. E anche nel disegno di legge c´era qualcosa che non andava. Quindi cambiate. Poi partì il conflitto sulla sicurezza, e poi – siamo a ottobre – quello sulla Consulta che aveva bocciato il lodo. Altri attacchi, altre difese.
Lettere, nel frattempo, collere, musi e lunghi silenzi. Rappacificazioni forzate. Bracci di ferro. Fino al pasticciaccio brutto delle liste elettorali. E al decretino dei Fratelli De Rege che non è venuto avanti – e così sia.
La Repubblica 05.03.10