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"Reggio Emilia: il benessere sotto l'assedio leghista", di Pietro Spataro

«Loro sono contro tutti tranne loro. Loro si chiamano Lega Nord e sono contro il Sud, l’Ovest e l’Est». Naima ha 11 anni, va a scuola a Reggio Emilia e ha capito meglio di altri che cosa vuol dire essere leghisti. La sua testimonianza è stata raccolta dal suo maestro, Giuseppe Caliceti, ed è uno spaccato di questa città d’Italia che dista appena 30 chilometri dalla Lombardia ed è al terzo posto per concentrazione di immigrati. In superficie Reggio Emilia mostra tutta la sua perfezione riformista, con i servizi migliori d’Italia, le migliori scuole del mondo, la rete di coop che ti segue passo passo e un partito che ancora oggi supera il 45% dei voti. Eppure sotto pelle gorgoglia un tempo meno clemente: la paura di perdere il benessere, il disorientamento di chi vede vacillare le certezze. La crisi lascia ferite profonde, gli immigrati danno la percezione dell’insicurezza, anche la ‘ndrangheta ha piazzato i suoi artigli. Ci vorrebbe forse di nuovo un San Prospero, il patrono della città che secondo la leggenda salvò Reggio dai barbari nascondendola tra la nebbia…

Ma del santo resta la Chiesa nel centro storico. E proprio qui vicino, in piazza del Monte, ogni sabato che dio comanda c’è il gazebo padano. Camicie verdi incaricate di portare il verbo di Bossi nella terra degli infedeli. Gabriele Fossa è uno di loro: geometra, ex fascista, oggi presidente della circoscrizione, nel gazebo ci veniva anche 15 anni fa. «Allora ci insultavano – ricorda – oggi no.…». Oggi succede che la Lega abbia sette consiglieri in Comune e alle elezioni del sindaco abbia preso il 17%. La ricetta è la stessa dei fratelli lombardi. Per dirla con Fossa: «Qui ci sono troppi cromosomi di buonismo, il cittadino vuole l’autorità». Discorsi che fanno breccia tra i più anziani che vedono franare sotto i piedi il loro vecchio mondo e tra i giovani che non ne vedono uno nuovo. Certo, un bel problema che segna la sfida per le regionali. Nella casa che fu del Pci sono convinti che il leghista è un intruso non da poco. Il segretario del Pd, Giulio Fantuzzi non ha dubbi: «Il vero competitor per noi è la Lega. Loro cavalcano temi popolari e sono nel territorio. Diciamo così: nella patria del comunismo le milizie leghiste sono in piena attività». Aggiunge Sonia Masini, presidente della Provincia. «I leghisti sono veloci, duttili, intercettano i problemi e le paure». E allora? Si resta a guardare mentre le truppe scendono dal Po armate di odio e di paura? La risposta è univoca: il Pd è troppo timido. «Dobbiamo far capire alla gente il loro bluff – dice Fantuzzi – Qui dicono una cosa, a Roma ne fanno un’altra…». «Sì, certo bisogna svelare il grande inganno», concorda Sonia Masini. Il sospetto però è che il partito sia più impegnato nelle beghe interne che in questa battaglia. E’ sulle candidature che si accendono gli animi, mica nel contrasto alle fesserie che dicono Fossa e i suoi amici. A tal punto che Fantuzzi parla di «rischio di balcanizzazione» e Masini di «lotte interne».

Nessuno lo dice esplicitamente ma qui sono ancora aperte le ferite dello scontro congressuale. Ha vinto Bersani ma chi governa il partito sono quelli che stavano con Franceschini. A maggio ci sarà il congresso provinciale e lì, si dice sottovoce, si faranno i conti veri.
Eppure fuori la città ribolle. Il modello emiliano resiste ma a fatica. Garantire quel livello di protezione sociale è ogni anno più difficile quando il governo taglia. Graziano Delrio è il sindaco («il primo sindaco non comunista della storia», dice). Viene dal cattolicesimo democratico e non è molto d’accordo con l’idea che sia in crisi il modello sociale. «Il problema è che è in crisi il modello economico», spiega. E anche sul tema degli immigrati cerca di rimettere a posto le cose. Ricorda che il Consiglio d’Europa ha scelto Reggio come esempio di integrazione, spiega che dieci anni fa gli immigrati erano il 4% della popolazione e oggi sono il 15. «Eppure il 65% di loro riconosce di essere accolto bene, solo il 7% si lamenta del razzismo». Anche il candidato presidente Vasco Errani in tour elettorale a Reggio tiene a questo punto. Dice: «Dobbiamo sconfiggere l’idea che chiudendosi si possa difendere il nostro benessere. La destra e la Lega vogliono smontare tutto quel che abbiamo costruito puntando sull’egoismo e sulle chiusure. No, non è quella la strada giusta». La strada giusta è tenere la porta aperta e cercare di guardare oltre i confini di casa propria. Oltre il passato, soprattutto. La vede così anche don Giuseppe Dossetti, nipote del Dossetti che fu dc, costituente e poi si ritirò a vita monastica. Il nipote è parroco della chiesa di San Pellegrino dove qualche anno fa diede scandalo perché fece dormire gli immigrati nella navata. «Il mondo ci è venuto in casa – dice – E oggi c’è la tendenza a ritirarsi nel proprio orticello. Dobbiamo ritrovare i motivi per impegnarci. La Lega? Guardi, credo sia solo un voto di protesta contro una politica che qui rischia di apparire compassata». Se lo dice un prete impegnato nel sociale bisognerà starlo a sentire.

Il fatto è che Reggio è messa a dura prova dentro la bufera della crisi. Chiudono le aziende, i lavoratori vanno a casa. Alla Camera del Lavoro sono in allarme. «Sono 30 mila i lavoratori coinvolti, tra cassa integrazione e mobilità – dice Guido Mora – Aggiungiamo gli 8 mila precari e ricordiamoci che il tasso di disoccupazione oggi è al 7% e tre anni fa era al 2,5. Un disastro». Che i sindacati cercano di affrontare come possono: puntando sui contratti di solidarietà, ottenendo sostegni dagli enti locali. Ma certo non basta. La paura di finire nell’esercito dei senza lavoro si diffonde come un virus. Tocca la Tecnogas della Merloni, la Marazzi e la Iris per la ceramica, le vecchie Officine Reggiane finite nelle mani di una multinazionale che ora vuole chiudere. E bussa alla porta anche di un marchio d’oro della moda come quello di Mariella Burani. La fabbrica è fuori Reggio, nelle nebbie di Cavriago. Le operaie sfilano in corteo sotto la pioggia e raccontano le loro storie. Le stesse che senti davanti a ogni azienda che prima costituiva l’ossatura della via emiliana e che oggi vacilla.

Un bel grattacapo per Mirto Bassoli, segretario della Cgil, che in questi giorni gira come una trottola da un presidio all’altro. «Abbiamo compiuto un balzo indietro di dieci anni – dice sotto il ritratto di Bruno Trentin – Si stanno gonfiando le file dei nuovi disoccupati e rischiamo una deindustrializzazione pericolosa». La Regione (ma anche il Comune e la provincia) sta dando una mano. Lui ricorda che l’Emilia-Romagna ha un fondo di non autosufficienza di 400 milioni di euro, la stessa cifra che il governo ha stanziato per tutta l’Italia. «Però a Errani voglio dire che bisogna trovare nuove risorse – spiega Bassoli – E poi dobbiamo pensare al dopo. Ci vogliono scelte nuove: ricerca, innovazione, tecnopoli». Un concetto che Erio Malagoli, uno che è stato vent’anni nei paesi dell’est ed è tornato per lavorare qui tra bar e ristorante, semplifica così: «Sa cosa gli chiedo a Errani? Di scegliere la meritocrazia, ma quella buona. Diciamo una via di mezzo tra la giustizia del comunismo e la sveltezza del capitalismo, altrimenti restiamo imbrigliati e poi spuntano i furbetti».
Certo, non sarà facile, anche nel cuore dell’Emilia rossa, trovare la strada che porta al domani senza lasciare sul campo troppi morti e feriti. Il maestro-scrittore Giuseppe Caliceti osserva la sua città «sospesa tra passato e futuro». «Vedo un certo spaesamento, un’identità indefinita. Bisogna fare una città delle persone e per farlo bisogna partire dallo sguardo dei bambini. E poi serve un forte ricambio generazionale. Solo allora ci avvieremo verso il futuro». Facile dirlo mentre ci si sente in qualche modo sotto assedio. Però questa non è gente che si arrenda facilmente. Lo ha dimostrato nel corso della storia in più occasioni, anche più drammatiche. Forse non è un caso che nel Teatro di piazza della Vittoria siano in cartellone due titoli che potrebbero essere il programma della Reggio Emilia del futuro: «La vera costanza», un dramma giocoso di Haydn e «Mai più soli», un viaggio nel presente di Stefano Benni. Ecco: la vera costanza per riuscire a non essere mai più soli.
L’Unità 10.03.10