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"Fuga dalle responsabilità", di Gian Antonio Stella

Che succede con l’utero in affitto in Kerala e nel Rajasthan? L’inquietante interrogativo potrebbe dominare domenica la trasmissione «Report» di Milena Gabanelli. La quale, non potendo trasmettere gli altri servizi nel cassetto perché finiscono sempre per toccare la politica (qui c’è un deputato o un senatore, qui un ministro o un assessore…) non se la sente di mandare in onda reportage su semafori, datteri o colibrì. Ci sono le elezioni: non si parla di politica.
Il Consiglio di amministrazione della Rai, invitato dal presidente della Commissione di vigilanza parlamentare Sergio Zavoli a prendere atto della sentenza del Tar e a sospendere il regolamento varato dall’Autorità garante per le comunicazioni che «interpreta» la legge sulla par condicio (70ª interpretazione in dieci anni) vietando tutti i talk show, da «Porta a Porta» ad «Annozero», ha restituito la palla: diteci voi cosa fare. Il tempo di riunirsi e forse, chissà, la palla sarà ridata al Cda. Che potrebbe chiedere lumi al Tar. E questi, vedi mai, al Consiglio di Stato. E da qui di anno in anno alla Cassazione. Alla Corte costituzionale. E su su fino alla Corte europea dei diritti dell’uomo. All’Onu.
Nel frattempo, forti della sentenza citata, le tivù private potranno mettere in cantiere tutti i talk show che riterranno utili. Purché rispettino, ovvio, un minimo di buonsenso e accortezza nella distribuzione delle diverse opinioni. E se non la rispetteranno? Si vedrà. Quale sia la realtà, bollata come «squilibrata» dalla stessa autorità di garanzia, lo dicono i dati dell’Osservatorio di Pavia. Che ha visto nel 2009 non solo i tiggì Mediaset (record al Tg4: 81% contro il 12,5) ma anche quelli del servizio pubblico (tolto il Tg3) dedicare la stragrande maggioranza dei servizi al governo e al centrodestra e spazi assai ridotti all’opposizione. C’è chi dirà: è sempre andata così. Con indignazioni a targhe alterne. Verissimo. Il Tg ammiraglio Rai, per dire, si è spinto ad appiccicare applausi finti (sbertucciati da «Striscia») non solo al Cavaliere all’Onu. Né si possono dimenticare episodi come le sei-interviste- sei a esponenti dell’Ulivo in uno stesso tiggì. Era giusto? Lasciamo la risposta allo stesso Berlusconi quando aveva tre tivù tutte sue ma era all’opposizione: «Con un terzo dello spazio al governo, uno alla maggioranza, uno alla minoranza la sinistra finisce per aver spazi doppi: è una prepotenza».
Aveva ragione. Ed è un peccato che non se ne sia ricordato in questi giorni, mentre certe intercettazioni, forse penalmente irrilevanti, consigliavano a maggior ragione un via libera alla sfida aperta dei dibattiti tivù. Gli italiani hanno in media 43 anni. Immaginare che non sappiano pesare Vespa e Santoro, Floris e Paragone, non è solo assurdo: è un po’ offensivo. E in ogni caso l’intervento diretto del Cavaliere fa cadere una volta per tutte il velo sulla promessa iniziale: «Alla Rai non sposterò nemmeno una pianta per non dare l’impressione di voler favorire i miei affari». Non è andata così. Quanto agli uomini «di garanzia» piazzati ai vertici della Rai e della Commissione di Vigilanza, continuino pure a passarsi la palla. Ma se secondo loro il blocco dei talk show è davvero una menomazione alla democrazia che richiama addirittura il «filo spinato» (così si è avventurato a dire Zavoli) come possono rimanere al loro posto un solo minuto in più?
Il Corriere della Sera 16.03.10