attualità, politica italiana

"Il cinismo assoluto", di Massimo Giannini

Con un incredibile “blitzkrieg” di prima serata, effettuato come sempre in un format televisivo sicuro perché posto al riparo dalle domande vere e dunque pericolose, il presidente del Consiglio ha varcato l’ennesimo confine. La sua “intervista” al Tg2 è in realtà il livoroso comizio di un capo-popolo che, in nome del plebiscito tributatogli dagli italiani e in forza del suo potere assoluto sacro e inviolabile, è ormai pronto a tutto. Anche a stravolgere quel che resta di un equilibrio istituzionale che lui stesso ha sistematicamente “picconato” nel corso del suo avventuroso Ventennio.

Perché questo ha fatto, ieri sera, Silvio Berlusconi. Per spacciarsi ancora una volta come una “vittima innocente” di fronte all’opinione pubblica, e per rilanciare le sue farneticanti accuse alle procure “scese in campo” contro di lui “dettando i modi e i tempi della campagna elettorale”, il premier non ha esitato a piegare a suo uso e consumo le parole misurate del Capo dello Stato. Altro che “tirare la giacchetta” al presidente della Repubblica: Berlusconi gli ha letteralmente strappato di dosso l’abito di “garante sopra le parti” che la Costituzione gli assegna.

Quell'”abito” riluceva sufficientemente chiaro, nel comunicato che Giorgio Napolitano aveva diffuso ieri mattina, per arginare le polemiche sempre più tossiche intorno all’inchiesta della Procura di Trani. Al Csm, di cui è presidente, il Capo dello Stato ricorda che non si deve mai “pronunciare preventivamente sullo svolgimento delle inchieste” perché, “come recita lo stesso regolamento del Csm, quest’ultimo può prendere in esame “le relazioni conclusive delle inchieste amministrative eseguite dall’Ispettorato generale presso il ministero della Giustizia”. Ma al governo ricorda come le ispezioni del ministero non possono “interferire nell’attività di indagine di qualsiasi Procura, esistendo nell’ordinamento i rimedi opportuni nei confronti di eventuali violazioni compiute dai magistrati titolari dei procedimenti”. Ma fa di più, il Quirinale: precisa che è stata “corretta” la decisione presa dal Comitato di presidenza del Csm di affidare alla VI Commissione la richiesta “sottoscritta da gran parte dei membri del Consiglio per l’apertura di una pratica inerente l’ispezione” disposta dal ministro della Giustizia presso la Procura di Trani. La conclusione del presidente è inequivoca: “È altamente auspicabile che in un periodo di particolari tensioni politiche qual è quello della campagna per le elezioni regionali, si evitino drammatizzazioni e contrapposizioni, come sempre fuorvianti sul piano istituzionale”.

Invece di dar prova di quell’equilibrio istituzionale e di quel senso di responsabilità politica invocati proprio da Napolitano, Berlusconi fa l’esatto opposto. Invece di rispettare finalmente le regole del gioco democratico, fa saltare per l’ennesima volta il tavolo. Invece di prendere atto della netta presa di posizione della più alta carica dello Stato, ne strumentalizza e ne distorce radicalmente il messaggio. Il comunicato di Napolitano, declinato secondo il verbo palesemente capzioso e tecnicamente sedizioso del Cavaliere, diventa una pubblica “sconfessione” dell’iniziativa del Csm. E dunque “l’ennesima dimostrazione di un uso intollerabile della giustizia per fini di lotta politica contro di noi”.

In questi anni Berlusconi ci ha abituato a tutto. Nella discesa agli inferi della “Repubblica del Male Minore” ce ne ha fatte vedere di tutti i colori. Ma ad un simile abisso di irresponsabilità e di cinismo, probabilmente, non ci aveva ancora precipitato. E invece a questo, ormai, siamo arrivati. All’abuso di potere elevato a metodo di governo. Non c’è altro modo, per definire un'”esegesi” così clamorosamente falsa, e dunque costituzionalmente eversiva, delle dichiarazioni e delle funzioni del presidente della Repubblica. E non è tutto. In questa disperata escalation autoritaria del premier l’abuso si somma ad abuso.

Non c’è solo l’inaccettabile “abuso politico” su Napolitano, nella performance mediatica di ieri sera. C’è anche altro. Molto altro. Il presidente del Consiglio parlava in playback. L’audio ufficiale riproponeva la narrazione artificiale di sempre, che amplifica l’irrealtà dei “fattoidi”: il solito “partito dell’amore” che sconfiggerà “il partito dell’odio”, i soliti “miracoli fatti all’Aquila e in Abruzzo”, i soliti “successi ottenuti in questi due anni di lavoro straordinario” rispetto ai “disastrosi fallimenti” della solita sinistra sovietica e sanguinaria e ai pericolosi intendimenti delle solite toghe politicizzate e assatanate. In realtà, la vera voce che ci sembrava di ascoltare, e che riflette la realtà dei fatti, è quella delle intercettazioni telefoniche agli atti della procura di Trani. Quella che grida “io ho parlato con il direttore Masi” intimandogli la chiusura dei talk show politici “perché non c’è nessuna televisione europea in cui ci sono questi pollai e allora perché noi dobbiamo avere queste fabbriche di fango e di odio”. Quella che urla all’orecchio di Giancarlo Innocenzi “quello che adesso bisogna concertare è che l’azione vostra sia da stimolo alla Rai per dire “chiudiamo tutto”.

Cos’altro è tutto questo, prima e al di là di ogni implicazione di carattere penale, se non un manifesto abuso di potere? In quale altra democrazia liberale del mondo il presidente del Consiglio (leader di un partito che si definisce prima Casa, poi Popolo “della libertà”) può permettersi di trattare come un suo maggiordomo il commissario di un’Autorità amministrativa che per legge dovrebbe essere “indipendente”? In quale altro Zimbabwe del mondo il capo di un governo (già proprietario di un impero mediatico privato) può permettersi di trattare come un suo dipendente il direttore generale del servizio pubblico radiotelevisivo? I tanti, pensosi liberali alle vongole dell’Italia terzista si ostinano a dire che queste sono domande risibili. Ripetono che l’Italia è una magnifica democrazia, perché “è bastato un Tar a fermare il presunto golpe sulle liste” e perché in fondo, di tutti gli “strappi” tentati da Berlusconi, quasi nessuno gli riesce.

Questa sì, è una favola. Le regole sono ormai carta straccia. A pochi giorni dal voto per le regionali, i talk show politici sono stati silenziati, e sugli schermi va in onda, gigantesca e solitaria, l’effigie e la parola del Capo. Qualcuno si è accorto che ieri sera, mentre il premier ammoniva le masse dagli schermi del Tg2, vicino al tricolore e alla bandiera dell’Unione Europea campeggiava il simbolo elettorale del Pdl con lo slogan “Berlusconi presidente”? L’ultimo abuso, dopo quello commesso contro Napolitano. E altri ne verranno. Per nostra sventura, e con buona pace dei teorici del “Male Minore”.
La Repubblica 18.03.10