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Fosse Ardeatine, il dovere della memoria

Napolitano in occasione del 66°anniversario della strage: “Rispettare la Costituzione e le istituzioni”. Delegazione PD partecipa alla commemorazione

Ricorre oggi il 66° anniversario dell’ eccidio delle Fosse Ardeatine, il massacro compiuto a Roma dalle truppe di occupazione della Germania nazista il 24 marzo 1944, ai danni di 335 civili e militari italiani, come atto di rappresaglia in seguito a un attacco partigiano, per cacciare le truppe di invasori tedeschi, avvenuto il giorno prima in via Rasella. Per la sua efferatezza e per le tragiche circostanze che portarono al suo compimento, è diventato l’evento simbolo della violenza nazista durante il periodo dell’occupazione in Italia.
Per non dimenticare, per non ripetere gli errori del passato, per riflettere sulle lezioni che la storia impartisce, il Partito Democratico, con le sue delegazioni, ricorda questa giornata in tutta Italia. A Roma, dove è avvenuta la strage, Il presidente della Repubblica Giorgio Napolitano ha deposto oggi una corona di fiori davanti alla lapide che ricorda i martiri delle Fosse Ardeatine. Durante la cerimonia di commemorazione dell’eccidio sono intervenuti tra gli altri, una delegazione del PD con il coordinatore della Segreteria, Maurizio Migliavacca, il vicepresidente Pd del Senato Vannino Chiti, il presidente della Provincia di Roma Nicola Zingaretti, il vice presidente della Regione Lazio Esterino Montino, esponenti della comunità ebraica e cattolica ed alcuni esponenti del centrodestra, a partire dal ministro della Difesa, Ignazio la Russa e dal sindaco della capitale, Gianni Alemanno.
Queste le parole di Giorgio Napolitano: “Sono qui per ribadire cosa abbia rappresentato il superamento della guerra e della tragica esperienza della barbarie nazista”. E sul suo mandato al Quirinale ha lanciato un nuovo monito al rispetto delle istituzioni e della Costituzione: ”Tenere unito il Paese, non penso ad altro che a questo: a come influire su questo per la mia parte”. Spiegando come intende la sua funzione costituzionale di rappresentante dell’unita’ nazionale: “Ho il dovere come si sa e come sta scritto nella Costituzione di rappresentare l’unità nazionale. Non penso ad altro che a tenere unito il Paese. ‘Noi dobbiamo onorare la Costituzione anche rispettando tutte le istituzioni dello Stato democratico”.
Maurizio Migliavacca ha affermato come questa sia “una ricorrenza che ci
ricorda i valori di democrazia e libertà su cui è fondata la Costituzione
Repubblicana e che ci invita a non dimenticare mai di portare il massimo
rispetto alle istituzioni dello Stato. La memoria è un valore fondamentale
da preservare, soprattutto quando si tratta della necessità di tramandare
nel tempo vicende di terribile dolore e di violenza totale, in cui venne
rinnegato il senso stesso dell’esistere”.
Purtroppo è vero come ha detto Rosy Bindi, presidente del Pd, che chi cerca lo scontro con le istituzioni, offende la democrazia “e purtroppo questo è lo stile del nostro presidente del Consiglio”. “Berlusconi deve smetterla di fomentare tensioni fra poteri dello Stato – ha detto Enrico Letta, vice segretario del Pd – e se vuole portare le riforme nei gazebo, faremo valere le nostre buone ragioni anche lì”.
Il Senatore Vannino Chiti, ha ricordato come la terribile rappresaglia, comunicata alla popolazione solo dopo il suo svolgimento, coinvolse uomini e ragazzi prelevati in maggior parte dal carcere di Regina Coeli e dal comando-prigione delle SS di via Tasso, alcuni con la sola colpa di essere ebrei. E come quella strage rappresenti uno tra i più gravi episodi nei quali la belva nazista, pur di fronte alla disfatta imminente, ferocemente e inutilmente scatenava sulla popolazione civile italiana la sua furia distruttrice. “Dobbiamo conservare – ha aggiunto – la memoria di queste vittime innocenti e di tutti coloro che combatterono per la libertà e la democrazia. Grazie al loro sacrificio e’ nata la Repubblica fondata sulla Costituzione”. ”E’ indispensabile ancora più in giorni come questi e di fronte agli enormi sacrifici attraverso cui l’Italia è diventata una Repubblica democratica, riflettere e adottare comportamenti che siano ispirati al rispetto verso tutte le istituzioni”.
Roma 66 anni fa. Si ricorda che il quadro storico di Roma – dopo l’8 settembre 1943, l’armistizio di Cassibile, la fuga del Re Vittorio Emanuele III, e l’ingresso delle truppe tedesche – era quello di una città sotto il controllo effettivo dei nazisti e dopo lo sbarco di Anzio, il 22 gennaio 1944 l’intera provincia romana venne dichiarata “zona di operazioni”. Albert Kesselring, comandante del fronte meridionale, nominò capo della Gestapo di Roma, conferendogli direttamente il controllo dell’ordine pubblico in città, l’ufficiale delle SS Herbert Kappler, già resosi protagonista della deportazione dal ghetto ebraico il 16 ottobre 1943 di 1.023 ebrei romani verso i campi di sterminio tedeschi e delle atroci torture contro i partigiani detenuti nel carcere di via Tasso. Kappler avviò una campagna del terrore con frequenti rastrellamenti ed arresti di antifascisti e semplici sospettati, sgominò in breve quasi ogni gruppo della resistenza romana. Solo i GAP comunisti – Gruppi di Azione Patriottica delle brigate Garibaldi, che dipendevano ufficialmente dalla Giunta militare che era emanazione del Comitato di Liberazione Nazionale mantennero una buona efficienza operativa.
È in questo contesto che i quadri comunisti della Resistenza romana giunsero alla determinazione di reagire con le armi e di attaccare militarmente l’occupante con un’azione dal forte valore simbolico: il 23 marzo 1944, anniversario della fondazione dei fasci di combattimento, ebbe luogo l’attacco contro il battaglione tedesco in via Rasella. Vennero uccisi 31 militari e un altro soldato morì il giorno successivo, mentre persero la vita anche due passanti italiani.
In seguito all’azione partigiana Hitler tra vaneggiamenti su Roma da distruggere interamente e quartieri rasi al suolo stabilì la modalità della vigliacca rappresaglia: dieci italiani fucilati per ogni soldato tedesco ucciso. L’eccidio avvenne immediatamente e fu affidato al colonnello Herbert Kappler, coadiuvato dal capitano Priebke. Secondo il diritto bellico, le modalità di rappresaglia condotta dai nazisti, hanno violato le Convenzioni vigenti, quella Dell’Aja del 1907 e quella di Ginevra del 1929. Non risultò l’esecuzione da parte tedesca di alcuna seria indagine per appurare l’identità dei responsabili dell’attacco, non si attesero le 24 ore di consuetudine affinché gli stessi si consegnassero spontaneamente, non venne neppure affisso il consueto bando nelle pubbliche piazze, limitando l’affissione, secondo la testimonianza dell’ambasciatore Roberto Caracciolo, ai soli uffici tedeschi, condizioni necessarie per la legittimità dell’azione di rappresaglia.
L’ordine di esecuzione riguardò 320 persone, poiché inizialmente erano morti 32 soldati tedeschi. Durante la notte morì un altro soldato tedesco e Kappler decise di uccidere altre 10 persone. Erroneamente, causa la “fretta” di eseguire la rappresaglia, furono aggiunte 5 persone in più nell’elenco, ed i tedeschi, per eliminare scomodi testimoni, uccisero anche loro. Nella scelta delle 355 vittime, furono privilegiati criteri di connessione con la resistenza militare monarchica e partigiana, e gente appartenente alla religione ebraica; nessuno di essi aveva avuto un qualche ruolo nell’ attacco a Via Rasella.
I militari tedeschi, trascinarono i condannati, alcuni dei quali torturati precedentemente, presso le antiche cave di pozzolana site nei pressi di via Ardeatina, scelte quale luogo strategico per l’esecuzione e per poter meglio occultare i cadaveri successivamente. Compiuto il massacro, infierirono sulle vittime, facendo esplodere numerose mine per far crollare le cave e chiudere la fossa comune e rendere più difficoltosa la scoperta dell’ eccidio.
“Chi scelse un luogo così nascosto per commettere questo eccidio, una cava ai margini della città, lo ha fatto forse nella speranza che tutto si dimenticasse. Che dopo 66 anni si sia ancora qui con tanti giovani per non dimenticare, e’ un atto dovuto ai martiri ed un segno della sconfitta di chi fece l’eccidio” ha ammonito il presidente della Provincia di Roma, Nicola Zingaretti, al termine della cerimonia in ricordo dei martiri delle Fosse Ardeatine. Una commemorazione che, secondo Zingaretti,”conferma quanto sia importante non dimenticare: essere qui non e’ una parentesi cerimoniosa ma deve essere un’ azione supportata ogni giorno da comportamenti coerenti a difesa della democrazia e della libertà'”.

“Facendo crollare con il brillare delle mine le volte delle caverne di pozzolana sui resti dei trucidati, le S. S. credettero di aver riempito per sempre la loro bocca di terra affinché non parlassero.
Dai loro Sacelli nella vasta Tomba delle Ardeatine quei Morti gloriosi Vi parlano.
Si rivolgono a Voi, che Vi incamminate per il sentiero della vita, non già per rinnovare odi e divisioni ma per ricordarVi che Essi morirono per l’Italia, per un’Italia per sempre libera da dittature, violenza e guerre.
Nel buio dell’antro, illuminato dal bagliore di torcie sinistre, perirono cattolici ed ebrei, credenti ed atei, carabinieri e comunisti, democristiani e liberali, repubblicani e monarchici, ufficiali e soldati d’ogni arma, vecchi e ragazzi, espressioni dei più diversi ceti sociali.
In quell’inferno si levò benedicente la mano d’un sacerdote condannato a morte per gli altri.
Questo dicono i Morti delle Ardeatine: in quell’attimo orrendo noi conoscemmo una indistruttibile unità resa sacra dalla maestà della morte.”
(Associazione Nazionale Familiari Martiri delle Fosse Ardeatine)

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