memoria

"Il pericolo", di Mario Pirani

Correva l´anno 1952 e Roma venne chiamata ad eleggere il suo Consiglio comunale. Erano elezioni normali. La guerra era finita da sette anni, nel 1947 si era ricominciato a votare.
La Costituzione era stata approvata con l´unità di tutti i partiti antifascisti, che nel 1948 si erano divisi e contrapposti: a sinistra i comunisti e i socialisti, al centro-destra la Dc e i partiti laici minori (social-democratici, repubblicani e liberali). Tra questi due schieramenti, divisi anche sul piano internazionale, gli uni con l´Urss, gli altri, orientati dall´America e dal Patto Atlantico, si svolgeva il confronto. Un confronto anche asperrimo ma che mai superò i limiti della convivenza democratica. All´estrema destra, fuori di quello che si chiamava l´«arco costituzionale», i monarchici e l´Msi che allora si richiamava apertamente al fascismo repubblichino di Salò avevano un diritto di tribuna in Parlamento e nel Paese, ma non potevano aspirare a tornare al governo poiché rappresentavano esplicitamente quei valori politici, o, meglio, quei disvalori (tirannia, guerra, monarchia, razzismo) , da cui gli italiani si erano liberati solo qualche anno prima. Questo il contesto in cui Pio XII lanciò la cosiddetta «operazione Sturzo», dal nome del fondatore del vecchio partito popolare (la Dc degli anni Venti) incaricato di presentarla. Un´operazione che, in nome della salvezza di Roma dal pericolo comunista, proponeva l´alleanza della Dc con gli ultimi cascami della monarchia e del peggior fascismo. A capo del governo e del partito cattolico vi era Alcide De Gasperi, un grande statista che stava ricostruendo l´Italia, aveva respinto i comunisti all´opposizione e garantito l´alleanza permanente tra la Dc e i partiti laici. De Gasperi respinse il suggerimento vaticano e papa Pacelli adirato non volle mai più riceverlo. Ma se De Gasperi avesse accettato l´invito di papa Pacelli egli, non solo, avrebbe smentito l´opera sua, ma non avrebbe neppure realizzato tutte le tappe seguenti che videro, sempre nel quadro democratico, la vittoria dei partiti che si opponevano al comunismo, fino alla caduta del muro di Berlino.
Quell´episodio è ricordato ancor oggi, almeno dagli storici, perché simboleggia il permanere di una volontà intrusiva del Vaticano nelle vicende interne del nostro Paese, una pulsione che il più delle volte è stata assecondata a sproposito, con danni per lo stesso mondo cattolico, attraverso lo sbandieramento di minacce evocate ad arte e del tutto irreali. Per questo la discesa in campo della Conferenza episcopale a qualche giorno dalle elezioni regionali, richiama lo spirito dell´iniziativa pacelliana di 58 anni orsono. Tra parentesi vale la pena ricordare che nel 1952 i comunisti erano contrari ad ogni rivendicazione del divorzio e dell´aborto ed espellevano dal partito gli omosessuali, a riprova che gli anatemi vaticani sono quasi sempre strumentali e niente affatto legati a valori perenni. Resta il riflesso automatico di una Gerarchia che non ha ancora elaborato la fine della Questione romana e vorrebbe oggi scomunicare Emma Bonino come nel 1870 scomunicò il Corpo dei Bersaglieri dopo la carica di Porta Pia. Una Gerarchia pronta ad accodarsi al pluridivorziato Cavaliere delle «veline», alla Lega anti immigranti dei respingimenti in mare, a chi specula sui terremotati , pur di riaffermare un dominio, puramente simbolico, sui cittadini del Lazio, come se fossero ancora sudditi dello Stato della Chiesa.
L´irruzione vaticana ha, inoltre, forzato il significato di elezioni che, malgrado tutto, avrebbero dovuto rimanere amministrative e decidere sulla sanità e sulle altre voci del bilancio regionale. Se non è stato così non è certo per responsabilità del centro sinistra e della sua candidata alla Presidenza del Lazio che fa bene a ricordare come nell´opera che sarà chiamata a svolgere, se vincerà, non verrà certo chiamata ad occuparsi della legge sull´aborto, approvata, comunque, dall´80% degli italiani, tra cui, per sua esplicita ammissione, anche dalla candidata della Destra, Renata Polverini.
Oltre al Lazio ha acquistato, peraltro, una valenza nazionale anche il voto del Piemonte, non per l´exploit di volgarità berlusconiana contro Mercedes Bresso, quanto per il significato che acquisterebbe una vittoria della Lega e del razzismo nella Regione che ha fatto l´unità d´Italia. Una responsabilità non da poco per gli elettori piemontesi.
In questa situazione fra due giorni gli italiani si recheranno alle urne. La torsione impressa alla campagna elettorale dalla gerarchia ecclesiastica e dalle violenze verbali di Berlusconi dovrebbero aver convinto gli elettori di centrosinistra del danno gravissimo che arrecherebbe un loro più o meno corposo astensionismo. In gioco non vi sono solo i governi regionali ma la difesa di quel che resta del laicismo e dei valori costituzionali. Rossana Rossanda ha spiegato ieri sul Manifesto perché voterà per Emma Bonino, anche se sa bene trattarsi di una liberista di ferro. Analogo il discorso anche per Mercedes Bresso e per gli altri candidati di centro sinistra. La posta è diventata più alta del governo delle singole Regioni.
La Repubblica 26.03.10